5.4.2017 - Qualche settimana fa è stato presentato alla Camera dei Deputati il “Rapporto numero 4 anno 2017 sul bilancio del sistema previdenziale italiano - Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2015” a cura del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali. Cifre e commenti inequivocabili smentiscono in modo clamoroso la disinformazione corrente sulla spesa pensionistica fatta circolare ad arte e spesso “bevuta” dai media senza verifica alcuna. Ecco i dati nudi e crudi:
1) Non è vero che la spesa per pensioni sia oltre il 15% del Pil (Istat, Ocse, Eurostat): siamo al 10,6%, tra i più virtuosi nella Ue.
Nel 2015 la spesa pensionistica pura, relativa a tutte le gestioni (al netto della quota Gias, gestione interventi assistenziali, finanziata dalla fiscalità generale) è stata di 217,8 miliardi. Alla spesa pensionistica vanno sottratte le imposte per 49,3 miliardi che lo Stato incassa direttamente (una semplice partita di giro, perciò una non spesa). Il totale si riduce a 168,5 miliardi (10,6% del Pil), perfettamente in linea con i virtuosi Paesi Ue.
2) Non è vero che le pensioni vecchiaia-anzianità-superstiti sono in rosso: il bilancio contributi-prestazioni è attivo per 3,7 miliardi
Le entrate contributive risultano nel 2015 pari a 191,3 miliardi. Alle entrate contributive totali va sottratta la quota Gias e Gpt (19,1 miliardi di trasferimenti a carico dello Stato). Le entrate da contributi effettivi (lavoratori e datori di lavoro) si attestano quindi a 172,2 miliardi. “Se separassimo davvero l’assistenza dalla previdenza – sottolinea puntiglioso il rapporto - dovremmo sottrarre a questa cifra anche l’importo delle integrazioni al minimo che, essendo dipendenti dal reddito e non dal sistema di contribuzione, non dovrebbero gravare sulla spesa per pensioni previdenziali, scendendo così a 159,1 miliardi”. Trascurando le integrazioni al minimo, scopriamo comunque che il bilancio previdenziale è in attivo di 3,7 miliardi, a dimostrazione del fatto che il nostro sistema, grazie a numerose riforme, è già stato stabilizzato e messo in sicurezza. “Ciò – ammonisce il rapporto - dovrebbe indurre a maggiore prudenza nel proporre tagli alle pensioni, deindicizzazioni varie e contributi di solidarietà che non fanno bene al sistema”.
3) Non è vero che per protezione sociale siamo in coda nella media Ue: con 447,3 miliardi assorbe il 54,13% della spesa statale.
Nel nostro Paese la spesa per il welfare nel 2015 è stata pari a 447,3 miliardi di euro, ed ha inciso per il 54,13 % dell’intera spesa statale (826,4 miliardi), e per il 27,34 % del Pil (1636,3 miliardi). Sommando altre funzioni sociali quali la casa, l’esclusione sociale, la famiglia e le spese di funzionamento degli enti che gestiscono le varie funzioni di welfare, il totale sale al 30% circa del Pil, cioè uno dei livelli più elevati dell’Europa a 27 Paesi.
Oltre alle pensioni, al totale del welfare contribuiscono voci diverse: sanità per 112,4 miliardi; assistenza (Gias, Gpt, pensioni e assegni sociali, pensioni di guerra, invalidità) per 68,9 miliardi; prestazioni temporanee (assegni famigliari, integrazioni salariali, disoccupazione, malattia e maternità) per 28.3 miliardi; prestazioni Inail per 9,9 miliardi e welfare enti locali per 9,8 miliardi. L’insieme degli interventi assistenziali ha riguardato 3.964.183 soggetti, per un costo totale annuo di circa 23 miliardi: pensioni di invalidità civile e indennità di accompagnamento (17,3 miliardi); pensioni e assegni sociali (4,7 miliardi); pensioni di guerra (1,3 miliardi). A queste spese vanno aggiunte altre prestazioni assistenziali, come integrazioni al minimo della pensione e maggiorazioni sociali, per un totale di 8.431.449 beneficiari ed una spesa totale di quasi 119 miliardi.
“Nel 2015, su 100 prestazioni liquidate (poste in pagamento), ben il 51 per cento sono assistenziali. E’ questa voce – avverte il rapporto - che deve essere attentamente monitorata. La spesa sociale, in gran parte fatta a debito, cresce molto più rapidamente (+0,65%) di quella pubblica totale (+0,11%) e del Pil, trascinata soprattutto dalla spesa per assistenza che, a differenza di quella pensionistica, non ha regole precise, un monitoraggio efficace e spesso non ha strumenti di controllo”. Fuori controllo è l’assistenza, quindi, non le pensioni sorrette dai contributi.
4) Non è vero che la media delle pensioni è di 12.136 euro come dice l’Istat, ma di 17.323: quindi oltre i mille euro al mese.
Un’altra mazzata sulle bufale di giornali e tv, enti, politici e sedicenti esperti: “Per garantire una corretta informazione sugli importi delle pensioni – bacchetta il rapporto - si dovrebbe far riferimento non al numero di prestazioni, ma a quello dei pensionati, cioè i soggetti fisici, che spesso percepiscono più prestazioni”.
Esempio: “Calcolando la pensione media, valore spesso utilizzato per raffronti ed analisi, si possono ottenere due importi tra loro assai differenti: 1) Se si calcola sul numero totale delle prestazioni (23.095.567) l’importo della pensione media è pari 12.136 euro; 2) Se invece si divide il monte pensioni per i 16.179.377 pensionati beneficiari di questi trattamenti, l’importo medio pro capite sale a 17.323 euro annui (oltre quindi i mille euro al mese). Ovviamente il secondo dato è il più corretto, anche se spesso i media e la stessa Istat adottano impropriamente il primo”.
5) Non è vero che ci sono 15,6 milioni di pensionati sotto i mille euro: sono meno di 6,9 milioni, e con scarsa o nulla contribuzione.
“Per le stesse ragioni – chiosa ancora l’analisi - in totale i pensionati con trattamento sotto i mille euro non sono quindi 15,6 milioni, come spesso dicono i comunicati Istat e Inps in modo inesatto, ma poco meno di 6,9 milioni, e peraltro quasi tutti con pensioni assistenziali oppure integrate al minimo. Quindi tutti soggetti che in 66 anni di vita attiva hanno versato pochi o nulli contributi (e hanno pagato anche poche o nulle tasse) e che da pensionati sono ancora a carico della collettività alla quale, salvo i veri bisognosi, che però sono meno della metà, hanno ben poco contribuito durante la vita lavorativa”. Il coraggio della verità…
6) Scandalo Irpef: metà dei cittadini paga un’imposta media di 305 euro, mentre la sola spesa sanitaria è di 1850 euro a testa Come coprire le future prestazioni del welfare, considerando la colossale evasione fiscale, mai scalfita? “E’ ovvio che una siffatta situazione sia poco sostenibile nel medio termine – commenta il rapporto - anche perché a guardare le dichiarazioni Irpef degli italiani vien da pensare anzitutto che non siamo un Paese appartenente al G7, ma in fase di sviluppo. E soprattutto che finanziare il nostro generoso welfare potrebbe essere sempre più difficile in futuro”. Infatti, analizzando le tabelle Irpef, emerge che i primi 18 milioni di contribuenti (cui corrispondono 27,9 milioni di abitanti, quasi la metà degli italiani), dichiarano un reddito da zero a 15 mila euro (600 lordi al mese) e pagano un’imposta media di circa 305 euro l’anno, versando anche pochissimi contributi. Considerando che la spesa sanitaria pro capite ammontava nel 2014 a 1.850 euro (fonte Agenas), solo per garantire la sanità a questi cittadini occorrerà reperire 43 miliardi. Poi c’è tutto il resto: scuola, sicurezza, strade, funzionamento della macchina pubblica e così via.
7) Dipendenti e pensionati mantengono gli autonomi: due milioni di “desaparecidos fiscali”, il 93% è a carico degli altri lavoratori.
I lavoratori dipendenti rappresentano la metà dei contribuenti (20,4 milioni su un totale di 40,7 milioni) e versano 99 miliardi di Irpef, quasi il 60% su un totale di 167 miliardi. I pensionati (14,8 milioni di dichiaranti) ne pagano 58,5 miliardi (35% del totale). Tutt’altra musica per i lavoratori autonomi, che versano 9,6 miliardi, il restante 5,7% del totale. Istat e Censis ne stimano circa 7,5 milioni, ma i dichiaranti sono soltanto 5,4 milioni, di cui i versanti con redditi positivi appena 2,8 milioni. Di questi, oltre i tre quarti (77 per cento) dichiarano redditi tra 3.500 e 11.000 euro lordi e pagano un’Irpef media di circa 200 euro l’anno. Un altro 15,9% - con redditi tra i 15 mila e i 35 mila euro - paga un’Irpef media di circa 1.500 euro, insufficiente anche per coprire i costi della sola sanità. In pratica il 93,5% (non considerando i quasi 2 milioni che non risultano al Fisco) è a carico degli altri lavoratori.
Chi pagherà in futuro i miliardi di euro per coprire i buchi del servizio sanitario e i cento e passa miliardi della spesa per assistenza? Come si potranno pagare le pensioni agli oltre 10 milioni di soggetti che, non dichiarando nulla ai fini Irpef, ovviamente sono anche privi di contribuzione? A queste domande il rapporto non sa dare risposte, ma potrei suggerirne una: non pagheranno certo dipendenti e pensionati. Abbiamo già dato. . TESTO IN https://www.facebook.com/groups/1011216088931339/permalink/1473510286035248/
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Quarto Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano - Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell'assistenza per l'anno 2015 in http://www.itinerariprevidenziali.it/site/home/biblioteca/pubblicazioni/quarto-rapporto-bilancio-del-sistema-previdenziale-italiano.html
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27.2.2017. INPGI E CIPAG, GESTIONI IN AFFANNO - Itinerari previdenziali: i soli contributi raccolti non bastano per pagare le pensioni. - di Bruno Fioretti/di ItaliaOggiSette- - TESTO IN http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=22773
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28.2.2017 - QUARTO RAPPORTO SUL BILANCIO DEL SISTEMA PREVIDENZIALE ITALIANO - Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2015. Il sistema delle Casse privatizzate dei liberi professionisti: il quadro generale e gli andamenti 2015 delle singole Casse (da pagina 42 a pagina 57). A cura del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali. - TESTO IN http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=22779