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ANALISI di Caterina Malavenda/Diffamazione, rettifica a doppio taglio/
L'operatività della causa di non punibilità condizionata alla volontà della parte offesa - Troppo severa anche la sanzione dell'interdizione.


ALLARME!!! ALLARME!!! ALLARME!!!Colleghi, occhio alla (contro)riforma del reato di diffamazione a mezzo stampa. Tutte le forze politiche, d’intesa, stanno preparando qualcosa di sgradevole e di pesante per noi…...Il provvedimento, approvato dalla Camera, ora è all’esame del Senato. Siamo ancora in tempo per fermare chi intende mettere sotto schiaffo i giornalisti. Mobilitiamoci con l’Unione nazionale  cronisti italiani (Unci)!!!  Oggi il pericolo reale è l’interdizione dalla professione da uno a sei mesi! Rischiamo il posto di lavoro e lo stipendio!  PASSAPAROLA!!!!  Su www.odg.mi.it  e su www.francoabruzzo.it le informazioni complete sull’argomento.Fto  Franco Abruzzo, presidente OgL-3357227238  Da “IL SOLE 24 ORE” del 29 ottobre 2004

ANALISI

Diffamazione, rettifica a doppio taglio

L'operatività della causa di non punibilità condizionata alla volontà della parte offesa - Troppo severa anche la sanzione dell'interdizione.


 


di CATERINA MALAVENDA


Le nuove norme sulla diffamazione hanno introdotto elementi positivi nella disciplina previgente: l'eliminazione della pena detentiva per tutti i delitti contro l'onore; la "cancellazione" della riparazione pecuniaria (una sorta di previsto solo per le diffamazioni a mezzo stampa); la riduzione ad un anno del termine di prescrizione dell'azione civile per danno alla reputazione; la possibile condanna del querelante al pagamento di una somma di denaro in caso di "lite temeraria"; il tetto "massimo" del danno non patrimoniale fissato a 30.000 euro.


Numerose sono, però, le ombre che offuscano anche le modifiche più incisive. Si è potenziato l'istituto della rettifica: se pubblicata nei dovuti modi e soprattutto senza commenti, è causa di non punibilità per l'autore dell'offesa, cioè, di norma, il giornalista.


Questi ha il diritto, anche facendo ricorso alla procedura d'urgenza ex articolo 700 Codice di procedura civile contro il suo direttore, di ottenerne la pubblicazione. Anche a voler tralasciare la valutazione dei rischi derivanti da una tale iniziativa (quanti saranno i redattori ordinari disposti a correrli?) occorre riflettere su alcuni dati: la rettifica è, per legge, indirizzata al direttore, che non ha alcun obbligo di portarla a conoscenza del giornalista interessato; la pubblicazione della rettifica non pare avere alcuna conseguenza diretta sulla punibilità del direttore, stando al "nuovo" reato disegnato dall'articolo 57 Codice penale; l'operatività della causa di non punibilità dipende esclusivamente dalla volontà della persona offesa, cioè da una sua richiesta formale, non essendo prevista alcuna scriminante per la pubblicazione "spontanea".


Quanti processi saranno evitati, a queste condizioni? Ed è giusto imporre al direttore la pubblicazione "senza commento", anche quando il fatto rettificato è vero?


Se non va più in carcere, ammesso che tale prospettiva sia mai stata reale, il giornalista è però soggetto a pene forse meno afflittive, ma certe.


Alla seconda condanna per diffamazione, verrà automaticamente interdetto dalla professione da uno a sei mesi (senza stipendio e senza contributi) dallo stesso giudice penale. Inoltre, fin dalla prima condanna, sarà sottoposto a procedimento disciplinare dall'ordine professionale, cui il giudice dovrà trasmettere gli atti, con probabili sanzioni aggiuntive. Tutto per bilanciare la soppressione di una pena detentiva, di fatto, quasi mai applicata e mai in concreto espiata.


Il procedimento penale sarà forse più spedito, ma certo più rischioso. All'eliminazione della pena detentiva, prima assai elevata per i casi più gravi, segue la soppressione dell'udienza preliminare, finora un vero "filtro", per l'alto numero di proscioglimenti; il dibattimento potrà, inoltre, essere celebrato da un Got, cioè da un giudice onorario, in luogo di quello togato.


Potrebbe poi aumentare, salvo l'opposizione espressa del querelante, il ricorso al decreto penale, una "condanna" senza processo, cui l'interessato può opporsi, entro e non oltre 15 giorni dalla notifica: per inviati e collaboratori esterni, in caso di notifica in redazione, il rischio di ritardi irreparabili è assai elevato.


Ultima ombra è quella che si allunga sul direttore. Il "vecchio" ed assai criticato articolo 57 del Codice penale gli attribuiva la responsabilità per un reato colposo ( era detto espressamente) consistente nel non aver controllato il contenuto del suo giornale, abbastanza da evitare la commissione di reati.


Non solo è mancato il coraggio di eliminare tale previsione, almeno quando si tratta di articoli firmati, ma si è fatto ricorso ad espressioni che sembrano aggravarne la posizione.


Se vi è concorso con il giornalista, il direttore risponde del medesimo reato. Se, invece, il reato del giornalista è conseguenza della violazione di non meglio specificati (violazione che costituisce dunque il presupposto di fatto) il direttore (da altri) , avendo solo diritto ad uno sconto di pena.


La locuzione , quantomeno oscura, se esclude la responsabilità per le contravvenzioni altrui consente, ove applicata alla lettera, solleva inquietanti interrogativi: il direttore risponde, a sua volta , del delitto di diffamazione commesso da altri? Ed, in tal caso, sarà soggetto alle medesime conseguenze? In particolare, se così fosse, data la inevitabile, più elevata soglia di rischio, quanti direttori saranno prima o poi interdetti dalla professione e sanzionati dall'ordine?


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in http://www.odg.mi.it/595modifiche.htm


Da "ItaliaOggi" del 28 ottobre 2004


Nuove norme sulla diffamazione:


la libertà di informazione sotto minaccia.


A rischio anche i direttori responsabili


(In coda il nuovo testo della legge n. 47/1948 sulla stampa)


di Franco Abruzzo


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