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In allegato la sentenza 189/2007

La Corte costituzionale cancella
tre leggi siciliane che estendevano
il Cnlg Fnsi/Fieg agli uffici stampa
degli enti locali isolani. Non è possibile
imporre con norma l’applicazione
del Contratto. I profili professionali
degli addetti agli uffici stampa
debbono essere individuati
e regolamentati dalla contrattazione
collettiva senza che dall'attuazione
di tale previsione possano derivare
nuovi o maggiori oneri
a carico della finanza pubblica.

“Né si scorgono le ragioni per le quali l'applicazione del trattamento economico previsto dal contratto collettivo di lavoro giornalistico sarebbe funzionale alla garanzia della trasparenza e dell'obiettività dell'informazione dovuta dalla pubblica amministrazione ai cittadini”.


Dal nostro corrispondente Francesco M. De Bonis per l’Agenzia Stefani@-web


ROMA. Colpite al cuore e fulminate tre leggi della Regione Sicilia che prevedevano l’applicazione del Contratto nazionale  di lavoro giornalistico (Cnlg Fnsi/Fieg) ai giornalisti che lavorano negli uffici stampa degli enti locali isolani. Stroncate anche le qualifiche di caposervizio e di redattore capo.


La Corte  costituzionale, con la sentenza 189/2007,


1) ha  dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 58, comma 1, della legge della Regione Sicilia 18 maggio 1996 n. 33  nella parte in cui prevede che il contratto nazionale di lavoro giornalistico si applica anche ai giornalisti che fanno parte degli uffici stampa degli enti locali;


2) ha  dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, comma 2, della legge della Regione Sicilia 17 marzo 2000 n. 8 nella  parte in cui prevede che la qualifica ed il trattamento contrattuale di capo servizio si applica anche ai componenti degli uffici stampa degli enti locali;


3) ha  dichiarato  l'illegittimità costituzionale dell'art. 127 (comma 2) della legge della Regione Sicilia 26 marzo 2002 n. 2 nella parte in cui prevede che ai giornalisti componenti gli uffici stampa già esistenti presso gli enti locali è attribuita la qualifica ed il trattamento contrattuale di redattore capo, in applicazione del contratto nazionale di lavoro giornalistico.


Sostanzialmente e indirettamente vince l’ex ministro Roberto Maroni, che,  con la nota 24 settembre 2003 n. 9PP/80907/AG-V-180, ha affermato il principio secondo il quale nel regime previdenziale Inpgi assume rilievo, ai fini dell'iscrizione, soltanto la natura giornalistica del rapporto di lavoro subordinato e non anche l'applicazione del Ccnl giornalistico come precedentemente previsto dal Dlgs 503/1992. Ne consegue che, dal 1° gennaio 2001, devono essere iscritti all’Inpgi, a prescindere dal Ccnl applicato, i giornalisti per i quali concorrano le seguenti condizioni: a) iscrizione all'albo dei giornalisti: registro praticanti, elenco professionisti ed elenco pubblicisti; b) svolgimento di attività lavorativa subordinata di natura giornalistica (negli uffici stampa pubblici).


Ad avviso del Tribunale di Marsala, “le norme impugnate violerebbero i princípi fondamentali, applicabili ai sensi dell'art. 117 della Costituzione anche alle Regioni a statuto speciale nei limiti e nel rispetto degli statuti e delle relative norme di attuazione, espressi dal combinato disposto degli artt. 9 e 10 della legge 7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni), secondo il quale i profili professionali degli addetti agli uffici stampa debbono essere individuati e regolamentati dalla contrattazione collettiva senza che dall'attuazione di tale previsione possano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”:  “il trattamento retributivo dei lavoratori impiegati negli uffici stampa non può essere superiore a quello già spettante in relazione alla categoria in cui essi erano inquadrati prima dell'assegnazione agli uffici stampa, senza incidere, per il resto, sulla potestà normativa dell'amministrazione di rideterminare la propria dotazione organica e di sopportare, per effetto delle modifiche all'apparato organizzativo, un eventuale onere finanziario aggiuntivo”.


La Corte costituzionale ha già affermato che il rapporto di impiego alle dipendenze di Regioni ed enti locali è retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed è, perciò, soggetto alle regole che garantiscono l'uniformità di tale tipo di rapporti (sentenza n. 95 del 2007). Conseguentemente i princípi fissati dalla legge statale in materia costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull'esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l'uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale (sentenze n. 234 e n. 106 del 2005; n. 282 del 2004).


In particolare, poi, dalla legge n. 421 del 1992 può trarsi il principio della regolazione mediante contratti collettivi del trattamento economico dei dipendenti pubblici (sentenze n. 308 del 2006 e n. 314 del 2003) che, per le ragioni sopra esposte, si pone quale limite anche della potestà legislativa esclusiva che l'art. 14 (lettera o) dello Statuto di autonomia speciale attribuisce alla Regione Sicilia in materia di «regime degli enti locali».


Si legge nella sentenza:


“Alla luce dei rilievi appena svolti appare chiara l'illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative regionali oggetto delle questioni sollevate dal Tribunale di Marsala. Si tratta, infatti, di norme che determinano il trattamento economico dei dipendenti degli enti locali addetti agli uffici stampa delle amministrazioni di appartenenza. Esse hanno previsto, in un primo momento (art. 58 della legge regionale n. 33 del 1996), che a quei lavoratori si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti; poi (art. 16 della legge regionale n. 8 del 2000), che ad essi è attribuita la qualifica ed il trattamento di capo servizio; infine (art. 127 della legge regionale n. 2 del 2002), che la qualifica ed il trattamento economico che spetta loro è quella di redattore capo.


Le norme censurate si pongono, quindi, in contrasto con il generale principio secondo il quale il trattamento economico dei dipendenti pubblici il cui rapporto di lavoro è stato “privatizzato” deve essere disciplinato dalla contrattazione collettiva.


Non è condivisibile l'assunto espresso sia dalle parti private, sia dalla Regione, secondo cui quel principio nella fattispecie non sarebbe stato leso perché le norme impugnate fanno comunque rinvio ad una fonte contrattuale collettiva, quale il contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico.


In primo luogo, perché le norme censurate non si limitano a rinviare alla contrattazione collettiva di un certo settore, ma specificano anche la qualifica ed il trattamento economico che deve essere riconosciuto agli addetti agli uffici stampa (e quindi, per il personale in questione, la disciplina di questi fondamentali aspetti del rapporto di impiego è il frutto, non del libero esplicarsi dell'autonomia negoziale collettiva, bensì dell'intervento del legislatore). In secondo luogo, e più in generale, perché le disposizioni impugnate in realtà non dispongono che il rapporto di lavoro degli addetti agli uffici stampa debba essere regolato dalla contrattazione collettiva, bensì individuano esse stesse il trattamento che si deve applicare a quel personale (appunto, quello previsto dal contratto collettivo del lavoro giornalistico), onde gli agenti negoziali rappresentativi delle categorie delle amministrazioni datrici di lavoro e dei dipendenti interessati non possono contrattare alcunché in proposito.


Neppure è possibile sostenere che le disposizioni sul trattamento giuridico degli addetti agli uffici stampa sarebbero strettamente funzionali alla regolamentazione di quegli uffici, onde le norme impugnate sarebbero legittime perché dirette, in realtà, a disciplinare gli uffici stampa. Invero, la definizione della struttura e delle funzioni degli uffici stampa è aspetto diverso da quello dell'individuazione della fonte della disciplina del rapporto di impiego di chi a quegli uffici sia addetto. Né si scorgono le ragioni per le quali l'applicazione del trattamento economico previsto dal contratto collettivo di lavoro giornalistico sarebbe funzionale alla garanzia della trasparenza e dell'obiettività dell'informazione dovuta dalla pubblica amministrazione ai cittadini”.







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