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PREVIDENZA. La Corte
di giustizia non accetta norme
differenti in base al sesso.

Per l'età della pensione
parità tra uomo e donna.

Le leggi nazionali non possono
stabilire regole discriminatorie.


di Marina Castellaneta
per Il Sole 24 Ore del 24/11/2010

Il divieto di discriminazione diretta o indiretta in base al sesso nel lavoro pubblico e privato, fissato dal diritto Ue, colpisce le scelte del legislatore nazionale in materia di età pensionabile differenziata. È stata la Corte di giustizia Ue, con la sentenza del 18 novembre scorso (causa C-356/09), a tornare sul tema dell'età pensionabile e a ribadire il suo no alle legislazioni interne che fissano un periodo inferiore di 5 anni per il maturamento della pensione delle donne rispetto agli uomini.


Se, però, la Corte, già in passato era intervenuta bocciando le discriminazioni in base all'età (si veda la sentenza di condanna all'Italia del 13 novembre 2008), questa volta i giudici Ue sono intervenuti da un'altra angolazione, ritenendo incompatibili con il diritto comunitario le legislazioni interne che, di fatto, fissano trattamenti diversi solo in ragione del diverso sesso. Questo vuol dire che, per la Corte, il legislatore nazionale non può trattare in modo meno favorevole un individuo rispetto ad un altro solo per la differenza di sesso, se i lavoratori, uomini o donne, si trovano nella stessa situazione. Di conseguenza, potrebbe accadere, accertata la discriminazione in base al sesso sul piano delle condizioni di lavoro, inclusi pensioni e licenziamenti, che anche un uomo si potrebbe ritenere discriminato rispetto a una donna che può andare in pensione prima pur trovandosi nella sua stessa situazione lavorativa.


È stata la Corte di cassazione austriaca a chiamare in causa gli eurogiudici per interpretare la direttiva 76/207 sulla parità di trattamento tra uomini e donne nell'accesso al lavoro, modificata dalla 2002/73 e dalla 2006/54, recepita in Italia con il Dlgs 5/2010. I giudici viennesi erano alla prese con una controversia tra una donna collocata a riposo a 60 anni e la cassa pensioni. La donna aveva chiesto di rimanere in servizio fino a 65 anni (come accadeva per gli uomini) ma la cassa pensioni aveva deciso di licenziare i dipendenti che avevano maturato la pensione. Con una discriminazione - ad avviso della donna - nei confronti delle lavoratrici costrette a lasciare il lavoro prima degli uomini.


Una visione condivisa dalla Corte Ue, chiara nel considerare una discriminazione in base al sesso l'individuazione di età diverse per la pensione tra uomini e donne. Si tratta, per Lussemburgo, di una discriminazione diretta perché le scelte del legislatore nazionale hanno, come conseguenza, che «una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga».


Nel caso all'attenzione della Corte, poi, il raggiungimento dell'età pensionabile permetteva il licenziamento di alcuni lavoratori. Di conseguenza, le funzionarie erano licenziate a 60 anni, mentre gli uomini a 65. Di qui la discriminazione, perché persone che si trovano in situazioni identiche per quanto riguarda la cessazione del rapporto di impiego sono trattate diversamente proprio a causa del sesso. Il pensionamento obbligatorio, infatti, era direttamente associato, per le donne a un'età diversa rispetto agli uomini, con evidenti effetti discriminatori, senza che i lavoratori di sesso femminile si trovassero in una situazione specifica rispetto a quelli di sesso maschile.





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