Milano, 7 novembre 2010. Vince il diritto di difesa, un diritto inviolabile Gli enti pubblici (tra i quali gli Ordini professionali e le Università) tenuti ad applicare la legge 241/1990 prima dell’adozione di un provvedimento negativo devono spiegare (nei particolari) al destinatario dell’atto i motivi alla base del “no”. “La P.A. non può sottrarsi all'onere della comunicazione dei motivi ostativi, nel provvedimento negativo, ai sensi dell'art. 10 bis della legge n. 241/1990, qualora non si verta in tema di atti d'urgenza, riservati o vincolati” (Cons. Stato Sez. VI Sent., 17-10-2008, n. 5055). L’articolo 10/bis è stato introdotto l’11 febbraio 2005 nella legge 241/1990. Potrebbero pertanto essere annullate, nell’ambito dell’Ordine dei giornalisti, decine di delibere disciplinari perché gli organi deliberanti hanno “saltato” il “preavviso di rigetto” oppure le procedure omogenee stabilite dalla sentenza 505/1995 della Corte costituzionale (interpretativa dell’articolo 56 della legge professionale). In bilico anche i provvedimenti amministrativi di enti pubblici (Università comprese).
Tra le varie forme della partecipazione al procedimento amministrativo merita sicuramente una menzione particolare quella prevista dall’art. 10 bis, introdotto dalla legge 15/2005 nel capo III della L. 241/90, proprio perché la partecipazione, come scrive Vincenzo Boncristiano in www.ltalex.com del 27/3/2007, assume in tale previsione normativa connotati peculiari. E’ utile ai fini espositivi citare testualmente l’ articolo: “Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali”.
L’adozione di un provvedimento negativo è subordinata alla comunicazione dei motivi che non consentono l’accoglimento dell’istanza. Il mancato rispetto dell’articolo 10-bis determina l’annullamento della delibera o del provvedimento emessi dalle pubbliche amministrazioni come si evince da questa massima: “Gli atti di diniego adottati a seguito di una nuova istanza, di una specifica istruttoria e di una nuova valutazione rispetto a quelle sottostanti al precedente provvedimento negativo, non hanno natura meramente confermativa e sono pertanto illegittimi ove non preceduti dal preavviso di rigetto ex art. 10 bis legge n. 241 del 1990” (Cons. Giust. Amm. Sic., 26-05-2010, n. 710). Diversi Tar sottolineano che l’annullamento dell’atto viziato si impone nel caso in cui la violazione formale abbia inciso sulla legittimità sostanziale del provvedimento impugnato. Gli enti pubblici sono tenuti a motivare i provvedimenti negativi come emerge da quest’altra massima: “Il provvedimento amministrativo nel quale non si dia conto delle motivazioni in risposta alle argomentate osservazioni proposte dal privato a seguito dell'avviso dato ai sensi dell'art. 10 bis della legge n. 241/1990, limitandosi l'amministrazione ad affermare in modo apodittico e con formula di mero stile che non emergono nuovi elementi tali da far volgere la decisione in senso favorevole, è illegittimo, richiedendo tale norma di dare espressamente conto delle ragioni che hanno portato a disattendere le controdeduzioni formulate (Riforma della sentenza del Tar Toscana - Firenze, sez. II, n. 00130/2001)”. (Cons. Stato Sez. IV, 31-03-2010, n. 1834).
Il preavviso di rigetto che non faccia richiamo di tutte le circostanze sulle quali si fonderà il provvedimento conclusivo è, nella sostanza, parzialmente mancante, con conseguente violazione dell'art. 10 bis della legge n. 241/90. (T.A.R. Sicilia Catania Sez. IV Sent., 14-01-2010, n. 9). Per concludere, si può osservare che “Stante l'analogia tra tutti gli istituti previsti dalla legge n. 241 del 1990 finalizzati alla partecipazione del destinatario al procedimento amministrativo, si deve ritenere che l'art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 vada applicato anche alle violazioni di cui all'art. 10-bis della stessa legge” (Cons. Giust. Amm. Sic., 24-11-2009, n. 1154). L’articolo 21.octies parla di “Annullabilità del provvedimento”: “È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza”.
“Si può obiettare, però, a tale ricostruzione, che un chiaro indizio della volontà del legislatore di rendere vincolante il disposto dell’art. 10 bis si ricava dalla circostanza secondo la quale l’art 21-octies ultima parte prevede (solo) per la mancata comunicazione d’avvio del procedimento la non annullabilità del provvedimento, qualora “l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Quindi, l’argomento a contrario suggerisce che la pubblica amministrazione, in caso di mancato preavviso di rigetto, non può evitare l’annullabilità ricorrendo all’integrazione in giudizio della motivazione ex art. 21-octies comma 2, ultima parte (in queste senso ex pluribus Tar Piemonte -Torino sez. I sent. n. 3296/2005)” (Vincenzo Boncristiano in www.ltalex.com del 27/3/2007). C’è anche questa massima da valutare: “La violazione dell'art. 10 bis, L. n. 241/1990 non può ritenersi tale da produrre ex se l'illegittimità del provvedimento finale, dovendo la disposizione sul preavviso di rigetto, essere interpretata alla luce del successivo art. 21 octies comma 2, che impone al Giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo; l'art. 21 octies rende, quindi, irrilevante la violazione delle norme sul procedimento o sulla forma dell'atto per il fatto che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. (Riforma della sentenza del T.A.R. Puglia n. 3826/2007)” (Cons. Stato Sez. V, 07-09-2009, n. 5235).
Per quanto riguarda l’Ordine dei Giornalisti l’articolo 56 della legge istituiva 69/1963 afferma: “Nessuna sanzione disciplinare può essere inflitta senza che l'incolpato sia stato invitato a comparire davanti al Consiglio. Il Consiglio, assunte sommarie informazioni, contesta all'incolpato a mezzo di lettera raccomandata con ricevuta di ritorno i fatti che gli vengono addebitati e le eventuali prove raccolte, e gli assegna un termine non minore di trenta giorni per essere sentito nelle sue discolpe. L'incolpato ha facoltà di presentare documenti e memorie difensive”. La Corte costituzionale, con la sentenza 11-14 dicembre 1995 n. 505 (Gazz. Uff. 20 dicembre 1995, n. 52, Serie speciale), ha dichiarato non fondatala questione di legittimità costituzionale dell'art. 56, secondo comma, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione “sotto il profilo che la norma non consentirebbe al giornalista incolpato di partecipare alla fase istruttoria del procedimento disciplinare a suo carico: la norma infatti può essere interpretata nel senso che, quando in istruttoria si proceda all'accertamento dei fatti attraverso la raccolta di prove, l'incolpata abbia la possibilità di visione dei verbali e di utilizzo di ogni strumento di difesa con memorie illustrative, presentazione di nuovi documenti e deduzione di altre prove, compresa la richiesta di risentire testimoni su fatti e circostanze rilevanti ed attinenti alle contestazioni”.
La seconda sezione civile della Suprema Corte ha così commentato la decisione della Consulta con queste parole di piena adesione: “L'art. 56 l. 3 febbraio 1963 n. 69, che regola il procedimento disciplinare a carico dei giornalisti, deve essere interpretato, alla luce dei principi affermati dalla Corte cost. nella sent. n. 505 del 1995, nel senso che ove l'istruttoria prosegua in detta sede, per l'accertamento dei fatti attraverso la raccolta delle prove, pur non essendo prevista la presenza dell'incolpato e del suo difensore, deve essere riconosciuto il diritto di prendere visione dei verbali e di confutare le prove raccolte non solo attraverso memorie illustrative, ma anche con la presentazione di nuovi documenti e con la deduzione di altre prove, compresa la richiesta di risentire testimoni su fatti e circostanze specifiche rilevanti ed attinenti alle contestazioni (Cass. civ., Sez.II, 29/11/1996, n.10638; FONTE Mass. Giur. It., 1996; riferimenti normativi legge 1963 n.69 Art.56).
La finalità della sentenza 505/1995 della Consulta è quella di consentire al giornalista incolpato la più ampia libertà di difesa al pari dell’articolo 10/bis della legge 241/1990. L’omissione della comunicazione di cui all’articolo 10/bis della legge 241/1990 (o delle clausole di cui all’art. 56 della legge 69/1969 così come lette dalla Consulta), compromettendo lo svolgimento del contraddittorio, determina l’annullabilità della delibera in quanto ha determinato il venir meno di una intera fase del procedimento amministrativo previsto dalla legge per la decisione delle istanze, con la conseguente sussistenza di un vizio di violazione di legge che determina la illegittimità dei provvedimenti conclusivi. L’articolo 10/bis e la sentenza 505/1995 della Consulta realizzano in sostanza anche il principio del diritto di difesa (dice l’art 24 Cost: “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”). Questa violazione - che non è formale ma sostanziale - può essere invocata e azionata in ogni fase del procedimento, riguardando un diritto inviolabile del cittadino. “La P.A. non può sottrarsi all'onere della comunicazione dei motivi ostativi, nel provvedimento negativo, ai sensi dell'art. 10 bis della legge n. 241/1990, qualora non si verta in tema di atti d'urgenza, riservati o vincolati” (Cons. Stato Sez. VI Sent., 17-10-2008, n. 5055). Negli Ordini professionali l’organo decidente è solo il Consiglio al quale il consigliere istruttore deve rinettere gli atti (si veda l’art 6/e della legge 241/1990).
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Legge 7 agosto 1990, n. 241 (1). Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 18 agosto 1990, n. 192.
Articolo 10-bis. Comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza.
1. Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali (32).
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Articolo 6. Compiti del responsabile del procedimento (21).
1. Il responsabile del procedimento:
a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento;
b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;
c) propone l'indizione o, avendone la competenza, indice le conferenze di servizi di cui all'articolo 14;
d) cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti;
e) adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione. L'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale (22).
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(21) Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.
(22) Lettera così modificata dall'art. 4, L. 11 febbraio 2005, n. 15.