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Negli Usa un sito
è stato costretto a rivelare
i nomi dei sei autori
di una diffamazione

Se l'anonimato
non protegge
il blogger quando
il web è usato
per distribuire
insulti e accuse false.

LIBERTÀ SE NON FA DANNI - Uno studente al quale hanno portato via l'auto per sbaglio crea un gruppo contro la società di rimozione che ora chiede 750mila dollari di danni.

di Daniela Roveda per


Il Sole 24 Ore  24/8/2010


L'anonimato protegge i blogger da cause per diffamazione, e in ogni caso la Costituzione tutela il diritto alla libertà di espressione. Sbagliata la prima affermazione, e sbagliata almeno in parte la seconda: negli Usa è partita un'offensiva legale contro l'uso selvaggio e irresponsabile di Internet e contro chi usa il web per distribuire informazioni, insulti o accuse false. La legge non offre regole precise, ogni caso è unico, e condanne sono a discrezione del giudice; ma a giudicare da alcuni grossi casi recenti, «il trend che sta emergendo è chiaro» dice Kimberley Isbell, avvocato del Citizen Media Law Project all'Università di Harvard. Blogger, teenager inesperti e cittadini assetati di vendetta farebbero bene a stare attenti. Soprattutto perché l'anonimato non protegge più. Un sito di informazione nella città di Henderson in North Carolina è stato obbligato da un giudice a rivelare l'identità di sei blogger che avevano pubblicato commenti diffamanti su un individuo. La legge Usa consente solo alle società che forniscono servizi internet come America Online o Yahoo! di mantenere l'anonimato dei propri utenti, il singolo blogger non gode di questa tutela.


Esemplare è anche il caso del blogger ultraconservatore Hal Turner del New Jersey, che rischia 10 anni di carcere per avere scritto che tre giudici di una corte d'appello di Chicago «meritano di essere ammazzati» per una sentenza contro il diritto al porto d'armi. Una giuria popolare ha impiegato meno di due ore per condannare il signor Turner, colpevole anche di avere pubblicato nomi, indirizzi e numeri di telefono dei tre giudici in questione. Il diritto alla libertà d'espressione sancito dal primo emendamento della Costituzione americana ha quindi i suoi limiti.


Ne sa qualcosa anche chi usa Internet per coprire di vergogna società incompetenti o abusive, un diritto considerato sacro sul web: lo studente ventunenne Justin Kurtz rischia per esempio di dover pagare 750mila dollari di danni alla società di carroattrezzi T&J Towing, colpevole di avergli erroneamente portato via la macchina parcheggiata legalmente per strada a Kalamazoo nel Michigan. Dopo aver dovuto pagare 118 dollari per riprendersi l'auto, Kurtz ha aperto una pagina su Facebook dal titolo "Cittadini di Kalamazoo contro la T&J Towing" a cui hanno aderito in 800; il volume di business della T&J è crollato e l'azienda gli ha fatto causa. Chi crede nel diritto inalienabile di esprimere quello che vuole su Internet può vincere in tribunale, ma deve essere pronto a investire anni e montagne di denaro in spese legali.


 


 


 


 





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