Il virus del precariato ha infettato ormai tutti i settori produttivi del mercato del lavoro, e il giornalismo non è un eccezione alla regola. Essere giornalisti significa anche non avere una sicurezza economica, non avere un periodo di riposo retribuito, non avere una pensione dopo una vita intera al servizio della professione. Bisogna fare anche i conti con le proprie paure. E la paura di un giornalista precario è quella di ammalarsi perché la malattia non sempre viene riconosciuta. Ma essere giornalisti precari può significare anche un'altra cosa, non meno importante di quelle precedenti. Significa essere dei soggetti deboli. E dei soggetti deboli sono potenzialmente e più facilmente ricattabili. Dal datore di lavoro, dal politico di turno o da gente poco raccomandabile. E ovvio che tutto ciò può avere delle ripercussione sullo stato di salute dell’informazione in Italia, che come possiamo apprendere da organi e statistiche internazionali non è così buono.
Secondo le informazioni dell’INPGI, i contratti a termine sono stati 1783 con una crescita percentuale dello 10, 16% da gennaio a giugno del 2007, rispetto al medesimo periodo nel 2006. Su 30.000 giornalisti, soltanto 12.000 mila hanno un contratto. Sembra che gli editori stiano riducendo all’osso la presenza dei contratualizzati nelle redazioni, iniettando massicce dosi di giornalisti con contratti a termine. Ma va detto, che stanno drasticamente aumentando anche i collaboratori esterni, grazie a internet e il proliferare di magazine e giornali on line tale da far prevedere un mutamento rapido e drastico del lavoro giornalistico. Mutamento di scenario che non sarebbe tanto di per se negativo se non fosse per il fatto che ha creato un’ esercito di giovani collaboratori sfruttati e mal pagati. Dove spesso non hanno alcuna forma di difesa per fare valere i loro diritti. Più collaboratori esterni soli e indifesi, e assenza di qualsiasi forma di controllo sulla professione e di tutela degli autori degli articoli.
I dati che lo stesso Ordine dei giornalisti ha raccolto per dare una dimensione e un volto al pianeta variegata del precariato nel giornalismo fanno venire i brividi. Questi sono alcuni dati. 9 mila testate giornalistiche non iscritte al tribunale. 20 mila giovani che lavorano e svolgono informazione senza essere disciplinati e tutelati. 5 mila precari, rilevati in parte dalle ispezioni Inpgi, che lavorano pagati mediamente a 8 euro a pezzo. 2 euro il pagamento minimo per servizio. A questi dati, a mio avviso, va aggiunto anche “l’universo stage” che coinvolge non soltanto la piccola redazione giornalistica con poche risorse e mezzi, ma anche le grandi redazioni giornalistiche nazionali. Va detto, inoltre, che in molti casi la collaborazione viene sancita da un accordo verbale tra il collaboratore e caposervizio. Alcuni ragazzi “i più fortunati” hanno contratti a progetto rinnovabili di anno in anno e in tantissimi altri casi, l’editore obbliga il giovane ad aprire una partita IVA.
I pagamenti oltre ad essere da fame, vengono fatti anche in ritardo. Questa tendenza del ritardo dei pagamenti si manifesta maggiormente negli uffici stampa (2 – 3 mesi di ritardo), cosi come in occasione di nuovi giornali. I quotidiani e le televisioni sembra che pagano regolarmente, ma il più delle volte a 2/4 mesi. Alcuni fotografi e freelance hanno accumulato crediti fino a 11 mila euro, a volte i pezzi commissionati dalle redazioni e pubblicati non sono pagati. Nel mondo online, i pagamenti vengono spesso in nero. E senza contare dei rimborsi spesso inesistenti. Spese telefoniche, viaggi… sono a carico del collaboratore, o meglio, dei giovani collaboratori.
Da questa situazione non c’è certamente da stare allegri, i nuovi scenari pur apportando interessanti novità nel lavoro giornalistico e sfide per il futuro delle professione stanno creando anche le condizioni di una vera e propria anarchia dove soltanto il soggetto più forte a ragione di esistere. A mio avviso, ci vorrebbe anche l’impegno concreto di prestigiose firme che dovrebbero smettere di dedicarsi appassionatamente alla coltivazione del proprio orticello e prodigarsi alla tutela dei giovani giornalisti. Il primo piccolo passo sarebbe un manifesto o un appello come ha fatto già il sito di Repubblica.it per il caso Rosy Bindi – Berlusconi perché ritengo che la dignità dei giovani giornalisti, anche questa dovrebbe valere qualcosa, diversamente oggi appello e iniziative sono parole vuote e non avrebbero alcun senso di essere attuate.
In: http://generazionep.blog.lastampa.it/generazione_p/2009/11/giornalisti-e-precari-il-futuro-dellinformazione-di-marco-patruno.html (del 6/11/2009)