di Franco Abruzzo/ presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia
Il presidente della Repubblica, dopo un’attesa di due mesi, la sera del 2 febbraio ha firmato il “dlgs La Loggia” che, attuando la legge 131/2003, fa chiarezza - in linea con 5 sentenze della Consulta - sulle competenze di Stato e Regioni in tema di professioni. Il Presidente della Repubblica ha rotto l’assedio di alcune forze economiche e politiche (Confindustria, Fieg, potentati editoriali rappresentati da Repubblica e Corriere della Sera, una certa sinistra liberista impersonata da Amato, D’Alema e Bersani) alle professioni intellettuali. Il clima nelle settimane precedenti era apparso “torbido e pesante”. Era in atto un nuovo scontro tra Governo Berlusconi e opposizioni. Si voleva bloccare il “dlgs la Loggia” per tagliare la strada al “decreto Siliquini”, che disciplina l’esame di Stato di 21 professioni intellettuali (tre le quali quella di giornalista) così come impone l’articolo 1 (comma 18) della legge 4/1999 (varata dal Governo D’Alema). Il “decreto Siliquini” è un regolamento (figlio di una legge) che “disciplina i requisiti per l’ammissione all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, delle prove relative e del loro svolgimento”. L’Ue, con la direttiva 89/48/Ce (recepita dal dlgs 115/1992), vuole che i professionisti (e i giornalisti sono tali per legge) siano in possesso almeno di una laurea triennale. I dlgs 277/2003 e 319/1994 dicono che la professione giornalistica (italiana), organizzata con l’Ordine e l’Albo ex art. 2229 Cc e costituzionalmente legittima (sentenze 11/1968, 71/1991 e 38/1997 della Consulta), ha oggi il riconoscimento dell’Unione europea.
Nelle stesse ore il Consiglio di Stato, chiamato a dare il parere di legge sul “decreto Siliquini” (approvato dal Governo il 22 dicembre 2005), ha ritenuto “pertanto opportuno che il Ministero riferente, di intesa con il Ministero della giustizia, riesamini il testo proposto alla luce delle considerazioni svolte ed anche sulla base della eventuale emanazione del decreto legislativo che individua i principi fondamentali in materia di professioni, sospendendo nel frattempo l’espressione del parere, che si riserva di formulare in termini definitivi e compiuti sul testo che sarà trasmesso all’esito del suddetto riesame”. La sezione Atti Normativi del Consiglio di Stato ha dimenticato che l’Ue, con la direttiva 89/48/Ce (recepita dal dlgs 115/1992 e nella legge 4/1999), vuole che i professionisti (e i giornalisti sono tali per legge) siano in possesso almeno di una laurea triennale. E le direttive prevalgono sulle leggi interne. L’Ordine dei giornalisti potrebbe disapplicare sul punto la normativa nazionale del 1963 e dare spazio a quella comunitaria, chiedendo il possesso di una laurea triennale a chi intende scriversi nel Registro dei Praticanti.
Il Consiglio di Stato scrive (in maniera infondata e arbitraria) che il nuovo Dpr può “riguardare le professioni per le quali tale titolo di studio non è richiesto dalle norme legislative vigenti, tanto meno modificando tale requisito, come è invece previsto dallo schema di regolamento in esame per varie professioni tra le quali quella di giornalista”. Ma il 21 maggio 2001 la stessa sezione consultiva (Atti normativi) del CdS ha dato via libera al decreto, preparato dal Governo Amato, che richiedeva la laurea triennale per tre professioni (geometra, perito agrario e perito industriale) vincolate per legge -come i giornalisti – al possesso di un diploma. Due pesi e due misure. Meglio dire due Governi (Amato e Berlusconi) e due decisioni (opposte). Ma non è finita. La II sezione consultiva del Cds, con il parere 2228/2002, chiesto da Giuliano Amato (nella veste di ministro ad interim dell’Istruzione/Università), ha concluso scrivendo: ”Al quesito posto dall’amministrazione deve dunque darsi la seguente risposta: non sussistono motivi ostativi alla riforma dell’ordinamento professionale dei giornalisti, come prevista dall’art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999, citato all’inizio delle presenti considerazioni”. La legge 4/99, infatti, collega l’esame di Stato alla laurea della riforma e non opera distinzioni tra professioni con lauree e senza lauree. La sezione Atti Normativi non ha tenuto in nessun conto il parere dei colleghi della II sezione consultiva, incorrendo in una omissione molto grave. Ora i ministri Moratti e Castelli possono chiedere che il Consiglio di Stato esprima il parere in adunanza generale (art. 23 del Rd 1054/1924).
La sezione Atti Normativi ha sostanzialmente accolto il punto di vista degli editori Fieg da sempre impegnati nella difesa delle loro prerogative, che risalgono al 1928, di “creare” i giornalisti, prescindendo dai titoli di studio. Il “nuovo” Dpr 328 sana una discrasia tra Ordine dei giornalisti e normativa comunitaria in tema di accesso, mandando in soffitta le restrizioni attuali. Oggi sono gli editori che decidono chi entra nella professione giornalistica come praticante, prescindendo dal titolo di studio. La normativa professionale del 1963 (legge 69) ferisce i principi costituzionali della dignità della persona e dell’uguaglianza, quando assegna agli editori il potere esclusivo di manipolare, con scelte incontrollabili, il diritto costituzionale al lavoro professionale dei giornalisti. Con il passaggio dell’accesso all’Università, viene superato un sistema medioevale di selezione paternalistica e per giunta fortemente antidemocratico. L’Università, invece, aprendo le porte a tutti, è la via maestra della formazione dei “nuovi” giornalisti.
Gli attacchi al “decreto Siliquini” non sono venuti soltanto dalla Fieg. La Conferenza delle Regioni il 20 dicembre ha scritto al Consiglio di Stato “forte” di un presunto diritto di intervento in tema di professioni. Le due manovre a tenaglia (Fieg e Regioni) sono state contrastate dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Milano, che, nelle stesse ore, ha trasmesso alla suprema magistratura amministrativa e anche al Quirinale una memoria documentata con la quale, come ha scritto la Corte costituzionale in 5 sentenze tra il 2003 e il 2005, ha rivendicato allo Stato il diritto di disciplinare l’esame di Stato e l’aggancio dell’esame alle lauree della riforma universitaria.
La maggioranza delle Regioni (16 su 20) sono amministrate da giunte di sinistra. In passato i Governi di centrosinistra hanno elevato diversi alti funzionari statali al rango di magistrati del Consiglio di Stato: bisogna capire come si muovono oggi per gratitudine questi ex burocrati. Il “decreto Siliquini” era finito in una morsa, mentre l’Ufficio legislativo del Quirinale da due mesi circa studiava il “dlgs La Loggia”. Una situazione assurda, perché il dlgs ha alle spalle due sentenze della Consulta sulla legge/madre (la 131/2003) e altre 5 sentenze in tema di competenza esclusiva dello Stato sulle professioni. Il Consiglio di Stato ha discusso il 23 gennaio il parere. Poi non ha atteso la firma di Ciampi sul “dlgs la Loggia”. E il 3 febbraio ha notificato la decisione di “sospendere l’espressione del parere in attesa che l’Amministrazione provveda al supplemento istruttorio richiesto”.
ANALISI DEL “DLGS LA LOGGIA”. E’ previsto che il “dlgs La Loggia”, datato 2 febbraio 2006, venga pubblicato nei prossimi giorni nella Gazzetta Ufficiale. Questa legge statale definisce “i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali necessari per l'esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato”. Pertanto sul rovescio sono di competenza statale “la formazione professionale universitaria; la disciplina dell'esame di stato previsto per l'esercizio delle professioni intellettuali, nonché i titoli, compreso il tirocinio, e le abilitazioni richiesti per l'esercizio professionale; l'ordinamento e l'organizzazione degli ordini e dei collegi professionali; gli albi, i registri; gli elenchi o i ruoli nazionali previsti a tutela dell'affidamento del pubblico; la rilevanza civile e penale dei titoli professionali e il riconoscimento e l'equipollenza, ai fini dell'accesso alle professioni, di quelli conseguiti all'estero” (materie, queste, tutte disciplinate dagli articoli 33 e 35 della Costituzione, dal dlgs 300/1999, dall’articolo 2229 del Cc, dal Codice penale e dalle varie leggi delle professioni intellettuali). Le associazioni rappresentative di professionisti “che non esercitano attività regolamentate o tipiche di professioni disciplinate ai sensi dell'articolo 2229 del Codice civile, se in possesso dei requisiti e nel rispetto delle condizioni prescritte dalla legge per il conseguimento della personalità giuridica, possono essere riconosciute dalla regione nel cui ambito territoriale si esauriscono le relative finalità statutarie”. “L'esercizio dell'attività professionale in forma di lavoro dipendente si svolge secondo specifiche disposizioni normative che assicurino l'autonomia del professionista”. Questi sono alcuni dei principi fondamentali, che si applicano a tutte le professioni regolamentate, definiti dal Governo con il decreto legislativo approvato nella seduta del 2 dicembre 2005 (e firmato il 2 febbraio 2006 dal Presidente della Repubblica) “in attuazione della delega all'individuazione di principi fondamentali su materie a competenza ripartita Stato-Regioni contenuta nell'articolo 1 della legge n. 131 del 2003”.
In sostanza il “dlgs La Loggia” afferma che il Governo ha mantenuto, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, i poteri di disciplinare le professioni, come riconosciuto ripetutamente, dopo l’entrata in vigore nel 2001 del nuovo Titolo V della Costituzione, dalla Corte costituzionale con le sentenze 353/2003, 319/2005, 355/2005, 405/2005 e 424/2005). Fra pochi giorni il Consiglio di Stato si troverà con le spalle al muro: dovrà piegarsi di fronte al “dlgs la Loggia”. E per quanto riguarda i giornalisti non potrà non rispettare il parere 2228/2002 della II sezione consultlva. Sono in ballo la sua coerenza e anche la sua credibilità. La Sezione Atti N ormativi ha mostrato tutti i suoi limiti culturali e costituzionali; e attaccando soltanto i giornalisti ha mostrato di essere in (strana) sintonia soprattutto con Eugenio Scalfari e Francesco Giavazzi (Repubblica e Corriere della Sera), mentre la Fieg cerca di distruggere il Contratto di lavoro giornalistico costruito dalla categoria dal 1911 in poi. Un’alleanza di ferro (oggettiva) tra consiglieri di Stato e potentati economici con l’obiettivo possibile di annientare la libertà, l’autorevolezza, la crescita culturale e l’autonomia di una categoria essenziale nella connotazione democratica della Repubblica.
Franco Abruzzo
Milano, 3 febbraio 2006
Le sentenze contradditorie del Consiglio di Stato:
1) In: www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2328
Parere 2228 del 7 maggio 2002
della II sezione consultiva:
“La prova di idoneità è l’esame di Stato
richiesto dalla Costituzione. Non
sussistono motivi ostativi alla riforma
dell’ordinamento professionale dei giornalisti”.
Al quesito posto dall’amministrazione deve dunque
darsi la seguente risposta: non sussistono motivi
ostativi alla riforma dell’ordinamento professionale
dei giornalisti, come prevista dall’art. 1, comma 18,
della legge n. 4 del 1999, citato all’inizio delle presenti considerazioni”.
2) In: /www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2329
Parere 50 del 3 febbraio 2006 della Sezione
consultiva Atti Normativi:
“Decreto Siliquini” sull’esame
di Stato di 21 professioni:
sospesa l’espressione
del parere e chiesta al Governo
“una nuova istruttoria”.