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Risposta a Giancarlo Zingoni (Il Giorno/Il Resto del Carlino
/La Nazione del 15 gennaio 2006:
”Porte chiuse a molti se il giornalista è dottore”).

Giornalisti sospesi tra terza media e laurea.
“L’attività giornalistica è oggi
professione. La professione
richiede un bagaglio culturale
specifico per il suo espletamento”.
Parola di Consiglio di Stato.
Se il giornalista è dottore
la professione è più libera.
----------------
di Franco Abruzzo
presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia.
----------------------------------------------------------------------------------.
PROFESSIONI - Il “dlgs La Loggia” in via di pubblicazione nella “Gazzetta Ufficiale”:
“Spetta solo alla legge statale
la tutela delle professioni.
Il Governo ha il potere di
disciplinare l’esame di Stato”.
La professione giornalistica
(italiana) riconosciuta
a livello comunitario
con i Dlgs 277/2003 e 319/1994.
-------------------------------------
Analisi di Franco Abruzzo/ presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia; docente a contratto di Diritto dell’informazione presso l’Uni verità di Milano Bicocca e presso l’Università Iulm di Milano



Giancarlo Zingoni, vicedirettore generale della Fieg e vicepresidente dell’Inpgi, ha spiegato che imporre ai futuri giornalisti professionisti di studiare in Università è un qualcosa che danneggia gli  editori e viola norme costituzionali e comunitarie. In sostanza non si comprende dove sia l’interesse generale a vedere i futuri giornalisti, a differenza di oggi, con un titolo obbligatorio di laurea almeno triennale. Gli editori in sostanza rivendicano indirettamente il diritto di assumere come giornalisti tutti coloro che, a proprio discrezionale giudizio, ritengono di avviare all’attività di informazione, dimenticando che nell’ultimo decennio i laureati praticanti sono circa il 75% di quelli che hanno sostenuto l’esame di Stato. Gli editori vogliono “fare” i giornalisti come se nulla fosse accaduto rispetto al Regio decreto (Rd) n. 384/1928 e alla stessa legge n. 69/1963,  che davano e danno soltanto agli editori stessi il potere di  “creare” i praticanti giornalisti. Zingoni, però, non ha spiegato sul rovescio qual è l’interesse generale che vorrebbe i giornalisti professionisti condannati alla terza media, mentre l’obbligo scolastico è stato portato a 16 anni. A una battuta è lecito opporne un’altra.


Zingoni, che è un professionista serio e stimato, dimentica che l’Europa richiede dal dicembre 1988 (direttiva 89/48/Cee) ai professionisti regolamentati (quali sono i giornalisti professionisti) il possesso di una laurea almeno triennale  e che il comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999 (Gabinetto D’Alema) dà al Governo il potere, con regolamento amministrativo, di  riformare l’esame di Stato delle professioni organizzate con l’Ordine (come quella dei giornalisti), agganciando l’esame di  Stato alle nuove lauree. E’ quello che ha fatto il Governo Berlusconi dopo un parere richiesto dal Governo Amato ed espresso con l’atto 2228/20002 dai massimi giudici amministrativi del Paese. Ha scritto la II sezione del Consiglio di Stato dando via libera alla riforma attuata oggi dal Governo Berlusconi: “L’attività giornalistica si configura, dunque, vieppiù oggi come professione in relazione all’aumentato bagaglio culturale specifico per il suo espletamento: bagaglio in relazione al quale appare obsoleto – e dunque suscettibile di revisione normativa secondo l’intento legislativo della legge n. 4/1999 – il contenuto delle prove d’idoneità come oggi configurato dall’art. 32 della legge n. 69/1963 e dall’art. 44 del DPR n. 115/1965. Infatti, mutati i requisiti culturali per l’esercizio di una professione, l’accertamento dell’idoneità professionale non può prescindere da essi, tenuto conto che ‘il titolo di studio precede la maturazione professionale’ (C. Cost., 27 luglio 1995, n. 412)”.


La riforma dell’esame di Stato, con l’approvazione (il 22 dicembre 2005) da parte del Consiglio dei ministri del “regolamento Siliquini” che sostituirà il  Dpr 328/2001, renderà, contrariamente a quello che ha scritto Giancarlo Zingoni, più facile l’accesso alla professione giornalistica. Il “nuovo” Dpr  328, che disciplina  la prova di idoneità di 21 professioni intellettuali, sana una discrasia tra Ordine dei giornalisti e normativa comunitaria in tema di accesso, mandando in soffitta le restrizioni attuali. Oggi si entra nella professione soltanto se si è assunti come praticanti. Basta la terza media! Gli editori hanno da 78 anni il potere assoluto (fissato con legge) di gestire, prescindendo dai titoli di studio e con scelte incontrollabili, il diritto costituzionale al lavoro professionale giornalistico. Con il vincolo di una laurea qualsiasi per l’accesso al praticantato biennale viene superato un sistema medioevale di selezione paternalistica  e per giunta fortemente antidemocratico.  L’Università, invece, aprendo le porte a tutti, è la via maestra della  formazione dei “nuovi” giornalisti. Per gli studenti   “meritevoli e capaci”, privi di mezzi, scattano le provvidenze statali e regionali (borse di studio e assegni alle famiglie).


La direttiva 2005/36/Cee (“Zappalà”) ha dato cittadinanza piena agli Ordini italiani, mentre le associazioni professionali inglesi e irlandesi si accingono ad assumere veste giuridica come i nostri Ordini. L’Ue, con la direttiva 89/48/Ce (recepita dal dlgs 115/1992), vuole, come riferito, che i professionisti (e i giornalisti sono così per legge) siano in possesso almeno di una laurea triennale. Oggi, infatti,  la professione di giornalista rientra tra quelle riconosciute come tali dal dlgs 2 maggio 1994 n. 319, che ha dato “attuazione alla direttiva 92/51/CEE relativa ad un  secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale che integra la direttiva 89/48/CEE”.  Il dlgs 8 luglio 2003 n. 277 ha dato, invece, attuazione della direttiva 2001/19/CE, che modifica le direttive del Consiglio relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali.  L’allegato II  del dlgs 277/2003 (che ha sostituito l’allegato C del Dlgs 319/1994) cita espressamente la professione di giornalista come vigilata dal  Ministero della Giustizia. I dlgs 277/2003 e 319/1994 in sostanza dicono che la professione giornalistica  (italiana) ha oggi il  placet dell’Unione europea.


Il nostro Ordine dei Giornalisti  peraltro è  in linea con quello che chiede la Ue: possesso di  “una” laurea almeno triennale per i futuri professionisti, tariffe indicative  e non vincolanti, facoltà dei cittadini comunitari di diventare giornalisti italiani sostenendo l’esame di  Stato nella loro lingua, facoltà per i giornalisti extracomunitari  di chiedere l’iscrizione nei nostri Albi. 


(da "Il Giorno" del 22 gennaio 2006)


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Il Giorno/Il Resto del Carlino/La Nazione del 15 gennaio 2006

Porte chiuse a molti

se il giornalista è dottore


  


di Giancarlo Zingoni


L’ultimo 22 dicembre è stato approvato all’esame preliminare il progetto di riforma dell’accesso alle professioni e sui relativi esami di Stato. Tale prospettiva di riforma riguarderà anche l’accesso alla professione giornalistica che prevede per quest’ultima, già a partire dal 2013, che possano essere ammessi all’esame di abilitazione i candidati in possesso di un titolo accademico triennale succeduto da una pratica giornalistica da svolgersi con il conseguimento di una laurea specialistica di due anni ovvero con lo svolgimento di un master universitario biennale o con la frequenza di corsi biennali presso Istituti di formazione al giornalismo riconosciuti dall’ordine nazionale dei giornalisti.


Viene in tal modo profondamente modificato l’attuale meccanismo di accesso alla professione che oggi prevede che possano abilitarsi tutti coloro che abbiano frequentato la scuola dell’obbligo e che siano in possesso di una certificazione di svolgimento di una pratica giornalistica, della durata di diciotto mesi, all’interno di strutture editoriali.


Se dovesse passare questa proposta, basato sull’elevazione del titolo di studio, l’Italia sarebbe l’unico paese occidentale ad applicare una simile restrizione; in tal caso la carriera giornalistica potrebbe risultare preclusa a coloro che non saranno in grado di sostenere le spese universitarie o per i master.


Gli autori della riforma hanno inoltre ignorato i gravi problemi di costituzionalità e legittimità che essa prospetta nei confronti delle aziende editoriali e dei cittadini che aspirano a svolgere l’attività giornalistica in forma professionale.


In più, questa stessa legge, un volta approvata, potrebbe risultare addirittura contraria alle determinazioni della Corte Costituzionale che si era espressa in senso positivo fissando due principi fondamentali della suddetta legittimità: una legge che ponesse ostacoli o discriminazioni all’accesso alla professione giornalistica porterebbe un grave e pericoloso attentato all’art. 21 della Costituzione; le norme che disciplinano l’Ordine, per essere legittime, debbono assicurare a tutti il diritto di accedervi e non attribuire ai suoi organi poteri di tale ampiezza da costituire minaccia alla libertà dei soggetti.


L’attuale ordinamento in vigore di accesso alla professione giornalistica rispetta tali condizioni che invece verrebbero disattese in caso di conferma dell’attuale proposta di legge, a ciò si aggiunga  che ricadrebbe sull’Ordine professionale, una posizione di assoluto monopolio sulla scelta, formazione professionale e selezione dei futuri giornalisti.


Si riproporrà, quindi, per l’Ordine dei Giornalisti, il problema della sua legittimità costituzionale, considerato che i nuovi poteri che gli vengono conferiti ledono il diritto generale di accesso alla professione di tutti gli interessati e costituiscono una minaccia alla libertà di lavoro degli stessi.


La posizione di monopolio sul controllo dell’accesso alla professione giornalistica riconosciuta all’Ordine appare, inoltre, contrastare con gli orientamenti manifestati dalla Commissione Europea sulla liberalizzazione delle professioni in Europa. La Commissione stessa si è già espressa nei confronti degli organismi professionali, decisioni, queste ultime, che si pongono in aperto conflitto con alcune determinazioni comunitarie relative agli atti o pratiche diretti ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune.


Non vi è dubbio che il nuovo regolamento della professione giornalistica determinerà sfavorevoli condizioni di concorrenza per gli aspiranti giornalisti italiani rispetto alla libertà di cui godranno i giornalisti degli Stati membri qualora decidano di operare nel nostro Paese. Essi infatti potranno svolgere l’attività professionale secondo le normative dei Paesi di origine che non prevedono iscrizioni ad Ordini, superamento di esami e possesso del titolo di studio,condizioni invece richieste ai giornalisti italiani.


Ciò potrebbe determinare l’apertura di una procedura d’infrazione da parte dell’Autorità garante del mercato per l’indicata alterazione delle condizioni di concorrenza.


La riforma appare inoltre del tutto inutile rispetto all'obiettivo che si propone in quanto la parificazione contrattuale tra professionisti e pubblicisti consente comunque alle aziende editoriali di assumere stabilmente come redattori i pubblicisti  medesimi, i quali sono iscritti al loro elenco senza condizionamenti di esami e titoli di studio specifici.


Il via libero definitivo al decreto, anche se approvato in fase preliminare dal CdM, dovrà comunque avvenire dopo il parere positivo del Consiglio di Stato, a cui è demandato il giudizio di legittimità su una riforma rischiosa, per l’esercizio della libertà di stampa, e che potrà avere ripercussioni ed effetti negativi anche sul delicato sistema previdenziale del settore.


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PROFESSIONI - Il “dlgs La Loggia” in via di pubblicazione nella “Gazzetta Ufficiale”:
“Spetta solo alla legge statale
la tutela delle professioni.
Il Governo ha il potere di
disciplinare l’esame di Stato”.
La professione giornalistica
(italiana) riconosciuta
a livello  comunitario
con i Dlgs 277/2003 e 319/1994


Analisi di Franco Abruzzo/ presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia; docente a contratto di Diritto dell’informazione presso l’Uni verità di Milano Bicocca e presso l’Università Iulm di Milano


INDICE


1. Il “dlgs la Loggia” del 2 dicembre 2005 definisce i poteri dello Stato e delle regioni in  materia di professioni e fa da sfondo alla riscrittura del Dpr 328/2001 sull’esame di Stato di 21 professioni deliberata il 22 dicembre 2005 dal Consiglio dei Ministri nel rispetto dell’articolo 33 (V comma) della Costituzione,  di 5 sentenze della Corte costituzionale,  della direttiva 89/48/Cee (dlgs 115/1992) nonché della legge 4/1999 (articolo 1, comma 18)


2. Cinque sentenze (353/2003,  319/2005, 355/2005,  405/2005 e 424/2005) della Corte costituzionale difendono l’unità giuridica della Repubblica in tema di poteri di  Stato in materia di Albi e professioni.


3.  Con la direttiva comunitaria 89/48/Cee (dlgs 115/1992), l’Europa ha deciso che i professionisti “regolamentati”  debbano avere almeno una laurea triennale.  I dlgs 277/2003 (direttiva 2001/19/CE) e 319/1994 (direttiva 92/51/CEE) dicono che la professione giornalistica (italiana), organizzata (ex legge 69/1963) con l’Ordine e l’Albo (come vuole l’art. 2229 Cc) e costituzionalmente legittima (sentenze 11 e 98/1968, 2/1971, 71/1991, 505/1995 e  38/1997 della Consulta),  ha oggi il riconoscimento dell’Unione europea. Il sistema ordinistico italiano compatibile con la Ue (direttiva 2005/36/Ce o “direttiva Zappalà”). L’accesso alle professioni tramite università via democratica per eccellenza.  L’accesso alle professioni tramite università via democratica per eccellenza. 


4. Conclusioni. Il “progetto  Siliquini” richiede agli aspiranti praticanti il possesso di una laurea triennale “qualsiasi”, ma non “ad hoc”, accogliendo sostanzialmente il punto di vista liberista della Fieg. La preparazione dei praticanti suddivisa in 4 aree disciplinari distribuite in un biennio di frequenza della laurea specialistica (o magistrale) in giornalismo, di un master in giornalismo oppure di un corso in uno degli Istituti per la Formazione al Giornalismo riconosciuti dall’Ordine nazionale dei Giornalisti.



1.                Il “dlgs la Loggia” del 2 dicembre 2005 (nota 1) definisce i poteri dello Stato e delle regioni in  materia di professioni e fa da sfondo alla riscrittura del Dpr 328/2001 sull’esame di Stato di 21 professioni deliberata il 22 dicembre 2005 dal Consiglio dei Ministri nel rispetto dell’articolo 33 (V comma) della Costituzione,  di 5 sentenze della Corte costituzionale,  della direttiva 89/48/Cee (dlgs 115/1992) nonché della legge 4/1999 (articolo 1, comma 18) (nota 2).


La legge statale definisce “i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali necessari per l'esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo  Stato”. Pertanto  sul rovescio sono di competenza  statale  la formazione professionale universitaria; la disciplina dell'esame di stato previsto per l'esercizio delle professioni intellettuali, nonché i titoli, compreso il tirocinio, e le abilitazioni richiesti per l'esercizio professionale; l'ordinamento e l'organizzazione degli ordini e dei collegi professionali; gli albi, i registri; gli elenchi o i ruoli nazionali previsti a tutela dell'affidamento del pubblico; la rilevanza civile e penale dei titoli professionali e il riconoscimento e l'equipollenza, ai fini dell'accesso alle professioni, di quelli conseguiti all'estero. Le associazioni rappresentative di professionisti, “che non esercitano attività regolamentate o tipiche di professioni disciplinate ai sensi dell'articolo 2229 del Codice civile, se in possesso dei requisiti e nel rispetto delle condizioni prescritte dalla legge per il conseguimento della personalità giuridica, possono essere riconosciute dalla regione nel cui ambito territoriale si esauriscono le relative finalità statutarie”.  Questi  sono alcuni dei principi fondamentali, che si applicano a tutte le professioni,  definiti dal Governo con il decreto legislativo approvato nella seduta del 2 dicembre 2005 “in attuazione della delega all'individuazione di principi fondamentali su materie a competenza ripartita Stato-Regioni contenuta nell'art. 1 della legge n. 131 del 2003”. In sostanza il “dlgs La Loggia” afferma che il Governo ha mantenuto, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, i poteri  di disciplinare le professioni, gli Albi e l’esame di Stato  come riconosciuto  ripetutamente, dopo l’entrata in vigore nel 2001 del nuovo Titolo V della Costituzione,  dalla Corte costituzionale con le sentenze 353/2003,  319/2005, 355/2005,  405/2005 e 424/2005. Va detto che l’articolo 33 (quinto comma) della Costituzione conferisce il potere esclusivo allo Stato di legiferare  in tema di  “esame di Stato” per l’accesso alle professioni intellettuali.  “Tutto ciò che attiene allo status del professionista e delle libere professioni è riconducibile all’articolo 33 della Costituzione, il quale parla di esame di Stato” (Vincenzo  Caianiello, ”L’inserimento delle professioni nel titolo V della Costituzione” in Atti del Convegno nazionale “Quale federalismo per le professioni” del 18 marzo 2002 in Codroipo-Ud).


Appaiono pertanto frutto di incompetenza e in alcuni casi di distrazioni le critiche al potere regolamentare del Governo (previsto dal comma 18 dell’articolo 1  della legge 4/1999 e confermato, come riferito, da 5 sentenze della Consulta) in tema di  “integrazione e modificazione” degli ordinamenti vigenti in tema di esame di Stato e di collegamento alle lauree della Riforma Berlinguer/Moratti. Anche lo schema di decreto legislativo (“dlgs La Loggia”) definitivamente approvato il 2 dicembre 2005 (in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) ha fatto  da sfondo alla riscrittura del Dpr 328/2001 deliberata dal Consiglio dei Ministri il 22 dicembre 2005. Il nuovo “Dpr 328/2001” disciplina  l’esame di Stato di 21 professioni intellettuali (dottore agronomo e dottore forestale, agrotecnico e agrotecnico laureato, architetto, pianificatore paesaggista e conservatore, assistente sociale, attuario, biologo, chimico, consulente del lavoro, farmacista, geologo, geometra e geometra laureato, giornalista, ingegnere, perito agrario e perito agrario laureato, perito industriale e perito industriale laureato, psicologo, tecnologo alimentare e veterinario, statistici).


La prova di idoneità professionale (art. 32 l. 69/1963) dei giornalisti è “un esame di Stato” e conseguentemente  “non sussistono motivi ostativi alla riforma dell’ordinamento professionale dei giornalisti, come previsto dall’articolo 1 (comma 18) della legge n. 4/1999”. Così si legge nel parere n. 2228 emesso nell’adunanza 13 marzo 2002 (e depositato il 7 maggio 2002) dalla II sezione consultiva del Consiglio di Stato “sulla possibilità di includere la professione giornalistica nella disciplina regolamentare”. L'articolo 1 (comma 18) della legge 4/99  impegna il Ministero dell’Istruzione e dell’Università (Miur), “di concerto con il Ministero di Grazia e  Giustizia e sentiti gli organi direttivi degli Ordini professionali”, a  “integrare e modificare” gli ordinamenti vigenti anche della professione giornalistica (organizzata con l’Ordine, l’Albo e l’esame di Stato). Il comma 18 dell’articolo 1 della legge n. 4/1999 conferisce in effetti  al Ministro dell’Università, di concerto con quello della Giustizia, ampi poteri in tema di riforma degli esami di Stato delle professioni intellettuali regolamentate e dei requisiti per l’ammissione “all’esame di Stato e alle relative prove”, mentre il Dlgs n. 300/1999 affida al Ministero della Giustizia la vigilanza sugli Ordini professionali (principio ripetuto nell’allegato II, ex allegato C, del dlgs 277/2003 per quanto riguarda i giornalisti e richiamato negli allegati del dlgs 319/1994) e al Ministero dell’Università/Istruzione/Ricerca la “missione” di formare i nuovi professionisti.


 


2. Cinque sentenze (353/2003,  319/2005, 355/2005,  405/2005 e 424/2005) della Corte costituzionale difendono l’unità giuridica della Repubblica in tema di poteri di  Stato in materia di Albi e professioni.


In particolare la Corte costituzionale, con la sentenza n. 405/2005, ha bocciato la legge regionale toscana n. 50/2004 che dettava “disposizioni in materia di libere professioni intellettuali”. Spetta allo Stato, ha affermatala la Consulta, “prevedere specifici requisiti di accesso e istituire appositi enti pubblici ad appartenenza necessaria,  cui affidare il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi”. E’ la quarta volta, in meno di due anni, che la Consulta censura radicalmente leggi regionali, affermando la riserva dello Stato in materia di professioni intellettuali regolamentate con leggi e con riferimento all’articolo 2229 del Cc. Si legge nella sentenza: “Non vi è dubbio che la normativa regionale censurata, prevedendo la costituzione obbligatoria dei coordinamenti, disponendo che tali coordinamenti debbano essere finanziati con il contributo degli iscritti agli Ordini o Collegi, attribuendo ad essi funzioni finora svolte dagli Ordini o dai Collegi, e, infine, prevedendo che tali coordinamenti abbiano un ruolo nella neo istituita Commissione per le professioni, organo consultivo della Regione, ha inciso sull'ordinamento e sull'organizzazione degli Ordini e dei Collegi. La vigente normazione riguardante gli Ordini e i Collegi  risponde all'esigenza di tutelare un  rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso e ad istituire appositi enti pubblici ad appartenenza necessaria,  cui affidare il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi. Ciò è, infatti,  finalizzato a garantire il corretto esercizio della professione a tutela dell'affidamento della collettività. Dalla dimensione nazionale – e non locale – dell'interesse sotteso e dalla sua infrazionabilità deriva che ad essere implicata sia la materia “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”, che l'art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione riserva alla competenza  esclusiva dello Stato,  piuttosto che  la materia “professioni” di cui al terzo comma del medesimo articolo 117 della Costituzione, evocata dalla resistente. L'art. 117, terzo comma, della Costituzione, invero, attribuisce alle Regioni la competenza a disciplinare – nei limiti dei principi fondamentali in materia e della competenza statale  all'individuazione delle professioni (sentenze n. 355 del 2005, n. 319 del 2005 e n. 353 del 2003) – tanto le professioni per il cui esercizio non è prevista l'iscrizione ad un Ordine o Collegio, quanto le altre, per le quali detta iscrizione è prevista, peraltro limitatamente ai profili non attinenti all'organizzazione degli Ordini e Collegi. Per tali motivi, gli impugnati articoli 2 e 3 della legge regionale, in quanto istituiscono e attribuiscono funzioni ai coordinamenti regionali, devono dichiararsi costituzionalmente illegittimi. Da tale illegittimità consegue altresì l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 della medesima legge, perché, pur istituendo un organo regionale con compiti consultivi,  prevede in esso la partecipazione di rappresentanti dei predetti coordinamenti, come sopra ritenuti illegittimamente costituiti”.


In precedenza, la Corte costituzionale aveva statuito:


a) con la sentenza n. 353/2003: “…non pare quindi dubbio che, anche oggi, la potestà legislativa regionale in materia di professioni sanitarie debba rispettare il principio, già vigente nella legislazione statale, secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, debba essere riservata allo Stato….”;


b) con la sentenza n. 319/2005: “E va parimenti riaffermato che, in materia di professioni sanitarie, dal complesso dell’ampia legislazione statale già in vigore, analiticamente richiamata dalla ricordata sentenza n. 353 del 2003, si ricava, al di là dei particolari contenuti di singole disposizioni, il principio fondamentale per cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e ordinamenti didattici, è riservata alla legislazione statale. Questo principio si pone quindi come un limite invalicabile dalla potestà legislativa regionale”;


c) con la sentenza n. 355/2005: “….Al riguardo, pur mancando nella legislazione statale una disciplina generale delle professioni, dalla normativa vigente – e segnatamente dall’art. 2229, primo comma, del codice civile, oltre che dalle norme relative alle singole professioni – può trarsi il principio, affermato in più occasioni da questa Corte con riferimento alle professioni sanitarie, che l’individuazione delle professioni, per il suo carattere necessariamente unitario, è riservata allo Stato, rientrando nella competenza delle regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Esula, pertanto, dai limiti della competenza legislativa concorrente delle regioni in materia di professioni l’istituzione di nuovi e diversi albi (rispetto a quelli istituiti dalle leggi statali) per l’esercizio di attività professionali, avendo tali albi una funzione individuatrice delle professioni preclusa in quanto tale alla competenza regionale”; 


d) con la sentenza n. 424/2004: le Regioni non possono legiferare sull'individuazione delle figure professionali e sull'istituzione di nuovi albi, competenze che sono riservate allo Stato “…nel vigore della riforma del Titolo V, Parte seconda, della Costituzione, continua a spettare allo Stato la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente''; e ''ove non ne siano stati formulati di nuovi, la legislazione regionale deve svolgersi nel rispetto di quelli comunque risultanti dalla normativa statale già in vigore. Da essa non si trae alcuno spunto che possa consentire iniziative legislative regionali nell'ambito cui si riferisce la legge impugnata”.


 


3. Con la direttiva comunitaria 89/48/Cee (dlgs 115/1992), l’Europa ha deciso che i professionisti “regolamentati”  debbano avere almeno una laurea triennale.  I dlgs 277/2003 (direttiva 2001/19/CE) e 319/1994 (direttiva 92/51/CEE) dicono che la professione giornalistica (italiana), organizzata (ex legge 69/1963) con l’Ordine e l’Albo (come vuole l’art. 2229 Cc) e costituzionalmente legittima (sentenze 11 e 98/1968, 2/1971, 71/1991, 505/1995 e  38/1997 della Consulta),  ha oggi il riconoscimento dell’Unione europea. Il sistema ordinistico italiano compatibile con la Ue (direttiva 2005/36/Ce o “direttiva Zappalà”). L’accesso alle professioni tramite università via democratica per eccellenza. 


Il “nuovo” Dpr  328 sana una discrasia tra Ordine dei giornalisti e normativa comunitaria in tema di accesso, mandando in soffitta le restrizioni attuali. Oggi sono gli editori che decidono chi entra nella professione giornalistica come praticante, prescindendo dal titolo di studio. La normativa professionale del 1963 (legge 69) ferisce i principi costituzionali della dignità della persona e  dell’uguaglianza, quando  assegna agli editori il potere esclusivo di manipolare, con scelte incontrollabili, il diritto costituzionale al lavoro professionale dei giornalisti. Con il passaggio dell’accesso all’Università, viene superato un sistema medioevale di selezione paternalistica  e per giunta fortemente antidemocratico.  L’Università, invece, aprendo le porte a tutti, è la via maestra della  formazione dei “nuovi” giornalisti.


La direttiva 89/48/CEE (nota 5)  ha introdotto (con l’articolo 2/bis del dlgs 115/1992) la definizione di professione "regolamentata". Si definisce formazione regolamentata “qualsiasi formazione direttamente orientata all'esercizio di una determinata professione e  consistente in un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale in un'università o in un altro istituto di livello di formazione equivalente e, se del caso, nella formazione professionale, nel tirocinio o nella pratica professionale richiesti oltre il ciclo di studi post-secondari: la struttura e il livello di formazione professionale, del tirocinio o della pratica professionale devono essere stabiliti dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro interessato o soggetti al controllo o all'autorizzazione dell'autorità designata a tal fine”. La direttiva (recepita nel dlgs 115/1992) in conclusione ha fissato il principio per cui l’esercizio delle professioni presuppone il superamento di un ciclo di studi postsecondari di una durata minima di tre anni o di durata equivalente a tempo parziale, in una università o in un istituto di istruzione superiore o in altro istituto dello stesso livello di formazione. I principi fissati dalla direttiva 89/48/CEE sono stati realizzati dalla Repubblica Italiana con la Riforma universitaria 1999/2000/2005  e con il contestuale  collegamento (tramite il comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999) delle lauree (triennali) e delle lauree biennali specialistiche (o magistrali) alle professioni regolamentate organizzate con l’Ordine (o con il Collegio) e con l’esame di Stato. Tra le professioni regolamentate rientra quella di giornalista (ex legge n. 69/1963, sentenze nn. 11 e 98/1968; 2/1971; 71/1991; 505/1995 e 38/1997 della Corte Costituzionale)  alla quale si accede tramite esame di Stato al  pari delle altre.


La  Repubblica Italiana ha recepito in maniera inadeguata, discriminatoria e parziale la direttiva n. 89/48/CEE, non includendo (al pari delle altre) la professione giornalistica nell’Allegato A del Dlgs n. 115/1992, pur in presenza dell’allora Diploma triennale universitario (o laurea  breve)  in Giornalismo (decreto 31 ottobre 1991 noto come “riforma Salvini”). La Repubblica Italiana, pur avendone la facoltà in base all’articolo 11 (punto 1a) del Dlgs n. 115/1992, non ha modificato o integrato (“con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri”)  detto Allegato A, “tenuto conto delle disposizioni vigenti o sopravvenute”, abrogando i commi 4, 5, 6 e 7 dell’articolo 33 della legge n. 69/1963, i quali non stabiliscono alcun percorso formativo universitario minimo per chi intende accedere alla professione giornalistica. Solo nel 2003, con il dlgs 277, la Repubblica italiana ha compiuto un atto di riparazione sostanziale, modificando la tabella  delle professioni (allegato C),  con cittadinanza piena nella Ue,  inclusa nel  dlgs 319/1994 (che ingloba la direttiva 92/51/CEE). Oggi, infatti,  la professione di giornalista rientra tra quelle riconosciute come tali dal dlgs 2 maggio 1994 n. 319, che ha dato “attuazione alla direttiva 92/51/CEE relativa ad un  secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale che integra la direttiva 89/48/CEE”.  Il dlgs 8 luglio 2003 n. 277 (nota 3) ha dato, invece, attuazione della direttiva 2001/19/CE, che modifica le direttive del Consiglio relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali.  L’allegato II  (di cui all'art. 2, comma 1, lettera l) del dlgs 277/2003 cita espressamente la professione di giornalista come vigilata dal  Ministero della Giustizia. L’allegato II del dlgs 277/2003  ha anche sostituito, come riferito, l’allegato C del dlgs 319/1994.  I dlgs 277/2003 e 319/1994 (nota 4) in sostanza dicono, con l’allegato II (ex allegato C), che la professione giornalistica  (italiana), organizzata (ex legge 69/1963) con l’Ordine e l’Albo (in base all’art. 2229 Cc) e costituzionalmente legittima (sentenze 11 e 98/1968, 2/1971, 71/1991, 505/1995 e  38/1997 della Consulta),   ha oggi il riconoscimento dell’Unione europea.


La sentenza della quarta sezione della Corte di giustizia europea del 10 maggio 2001 - (nella causa C-285/00 contro la Repubblica francese, che non aveva adottato la normativa europea per il riconoscimento della professione di psicologo) -  afferma  che “la direttiva 89/48/CEE  va applicata alle professioni regolamentate, cioè a quelle per le  quali l’accesso o l’esercizio sono subordinati, direttamente o indirettamente, mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative,  al possesso di un diploma universitario della durata minima di tre anni”. L’Europa, quindi, vuole che i professionisti italiani, compresi i giornalisti, abbiano almeno una laurea triennale.


“La giurisprudenza costituzionale ha avuto più volte occasione di precisare che la norma dell’art. 33 Cost. reca in sé un principio di professionalità specifica. Essa, cioè, richiede che l’esercizio di attività professionali rivolte al pubblico avvenga in base a conoscenze sufficientemente approfondite e ad un correlato sistema di controlli preventivi e successivi di tali conoscenze, per tutelare l’affidamento della collettività in ordine alle capacità di professionisti le cui prestazioni incidono in modo particolare su valori fondamentali della persona: salute, sicurezza, diritti di difesa, etc. (C.Cost., 23 dicembre 1993, n. 456; 26 gennaio 1990, n. 29)” (parere n. 2228 della Sezione Seconda del Consiglio di Stato emesso nell’adunanza 13 marzo 2002).


Sono mutati i requisiti culturali per l’esercizio delle professioni nell’ambito dei Paesi Ue e, quindi, gli aspiranti giornalisti professionisti italiani non possono essere discriminati (con violazione dell’art. 3 Cost.) rispetto agli altri aspiranti professionisti italiani e a quelli europei sotto il profilo della preparazione universitaria minima di tre anni, principio al quale devono attenersi  (ex Dpr 328/2001) anche alcune professioni un tempo  collegate (al pari di quella giornalistica) a un diploma di scuola media superiore (geometri, ragionieri, periti agrari e periti industriali). “Il titolo di studio precede la maturazione professionale” (Corte Cost., 27 luglio 1995, n. 412, a proposito della professione di psicologo).


Frattanto il sistema ordinistico italiano esce rafforzato dal varo di una nuova direttiva comunitaria. La direttiva 2005/36/Ce (“direttiva Zappalà”) sulle qualifiche professionali (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea L 255/22 del 30 settembre 2005 – nota 6) consente, infatti, agli Stati membri di delegare parte della gestione delle professioni a organismi autonomi, come gli Ordini e i Collegi professionali. Ora, gli Stati avranno due anni di tempo, sino a settembre 2007, per adeguarsi. La normativa riguarda sia il lavoro subordinato che autonomo,


La direttiva “Zappalà” riconosce e definisce la specificità delle professioni liberali. La specificità si concretizza nella personalità, nella responsabilità individuale e nell'indipendenza di chi svolge una professione liberale. Il professionista svolge prestazioni di natura intellettuale (distinte da quelle esecutive), nell'interesse del cliente e della collettività.


Le professioni liberali, proprio perché perseguono l'interesse generale, possono essere esonerate dalla disciplina tipica di chi pratica il commercio e l'industria, come la libera concorrenza, purché ciò avvenga nei limiti di quanto è strettamente necessario a tali obiettivi. In questo quadro, gli Stati Ue potranno prevedere regole che pongono limiti all'esercizio della professione, stabiliti per legge ma anche attraverso codici di autoregolamentazione degli organismi professionali.


La direttiva consente la valorizzazione degli Ordini (o delle associazioni laddove esse siano chiamate a svolgere funzioni analoghe dagli ordinamenti nazionali). Infatti, gli Stati possono delegare questi organismi a svolgere competenze che la direttiva lascia alla competenza nazionale. Tra queste: il ricevimento e la valutazione della dichiarazione preventiva in occasione del primo spostamento del professionista che intende esercitare in libera prestazione dei servizi; la verifica, in occasione della prima prestazione di servizi delle qualifiche professionali aventi impatto sulla salute e la sicurezza che non siano disciplinate dalla sezione specifica della direttiva; lo scambio d'informazioni nell'ambito della cooperazione amministrativa; la conferma dell'autenticità dei documenti forniti dal prestatore di servizi; l'esame della richiesta di autorizzazione per l'esercizio della professione.


In realtà la direttiva non fa che prendere atto della situazione esistente nella maggior parte degli Stati membri, ove i poteri pubblici delegano parte della gestione delle professioni a organismi autonomi. Tuttavia, la direttiva non prevede alcun obbligo di riconoscimento delle associazioni se non per quelle britanniche e irlandesi tassativamente elencate. La professione esercitata dagli iscritti è assimilata alle professioni regolamentate e le associazioni sono ora sottoposte agli obblighi in materia di riconoscimento e iscrizione. In questo modo le associazioni britanniche e irlandesi non potranno più rifiutare l'iscrizione ai cittadini di altri Paesi Ue, obiettando che la professione può essere esercitata da un cittadino di un altro Paese Ue senza riconoscimento perché non regolamentata. La legittimazione degli organismi rappresentativi delle professioni non ha rilievo solo a livello nazionale ma anche europeo.


4. Conclusioni. Il “progetto  Siliquini” richiede agli aspiranti praticanti il possesso di una laurea triennale “qualsiasi”, ma non “ad hoc”, accogliendo sostanzialmente il punto di vista liberista della Fieg. La preparazione dei praticanti suddivisa in 4 aree disciplinari distribuite in un biennio di frequenza della laurea specialistica (o magistrale) in giornalismo, di un master in giornalismo oppure di un corso in uno dei 16 Istituti per la Formazione al Giornalismo riconosciuti dall’Ordine nazionale dei Giornalisti.


Il “progetto  Siliquini”, con l’inserimento dei giornalisti nel “nuovo” Dpr 328/2001, richiede agli aspiranti praticanti il possesso di una laurea triennale “qualsiasi”, ma non “ad hoc”. Gli editori erano contrari all’obbligo di assumere praticanti con laurea specialistica (Giancarlo Zingoni, Convegno di Verona 31 maggio 2002). Il “progetto Siliquini ” sostanzialmente accoglie il punto di vista liberista degli editori e rimane fedele alla impostazione della Corte suprema di Cassazione in tema di titoli per l’accesso all’esame di stato (o prova di idoneità professionale) dei giornalisti: La mancata individuazione di un tipico titolo di studio per sostenere quella prova si spiega con la particolare natura dell’attività giornalistica, che è la più liberale delle professioni, consistente in un particolare prodotto della manifestazione del pensiero attraverso la stampa periodica o i servizi radiofonici e televisivi, la cui specificità sta nella particolare sintesi fra manifestazione del pensiero e la funzione informativa” [Cass., sez. lav., 25 maggio 1996, n. 4840; id., 20 febbraio 1995, n. 1827].


Il nuovo Dpr/328  si muove nel solco dei lavori parlamentari del 1962/1963 che portarono al varo della legge professionale 69/1963, che non individuò un titolo di studio predeterminato per l’accesso alla professione di giornalista. La nuova normativa stabilisce che è indispensabile una “laurea” (che oggi è soltanto triennale), ma non dice che è quella in  “Scienze della comunicazione”. Tutte le lauree possono  costituire la base per svolgere il praticantato abbinato alla laurea specialistica in giornalismo, a un master biennale in giornalismo o a un  corso biennale presso uno  degli Istituti di formazione al Giornalismo riconosciuti dal Consiglio nazionale dell’Ordine. In sostanza, come ha riconosciuto il Consiglio di Stato (parere 2228/2002), sono “molteplici le forme ed i percorsi culturali attraverso i quali si prepara la capacità del giornalista, la quale, oltretutto, è di tipo e contenuti non solo astratti, ma anche e essenzialmente pragmatici “ e ciò affiora dal nuovo testo del Dpr/328 (articolo 32). La mancanza, da parte del legislatore  dell’individuazione, di un titolo universitario predeterminato per l’ammissione al praticantato si spiega anche “con il valore costituzionale del diritto attivo all’informazione ed alla manifestazione del proprio pensiero, nonché della libertà di stampa” nonché con la circostanza che i giornalisti si occupano soprattutto di “argomenti di attualità” sui quali poi sostengono la prova scritta dell’esame di Stato (art. 32 sia della legge 69/1969 sia del nuovo Dpr/328). Capire l’attualità significa avere  una preparazione vasta, aperta alla gran parte dei saperi universitari.  Ma nulla esclude che la situazione non possa essere destinata a mutare in futuro con la creazione di uno specifico percorso accademico di laurea triennale propedeutica al biennio di praticantato sotto forma esclusiva di laurea specialistica (o magistrale).


Il nuovo esame di Stato consiste (articolo 32 del nuovo Dpr/328) in una prova scritta, della durata di otto ore e da svolgersi in unico giorno, così articolata:


a1) sintesi di un articolo o di altro testo scelto dal candidato tra quelli forniti dalla commissione in un massimo di venti righe, da sessanta battute ciascuna;


b2) redazione di un articolo, non superiore a sessanta righe, da sessanta battute ciascuna, su argomenti di attualità scelti dal candidato tra quelli proposti dalla commissione, in numero non inferiore a sei, tra i seguenti: politica interna ed estera, economia e lavoro, cronaca, sport, cultura, scienze, tecnologie, spettacolo;


c3) svolgimento di un elaborato in una delle seguenti aree:


aa) il sistema dell’informazione e del giornalismo; istituzioni e profilo professionale: diritto dell’informazione e della comunicazione, normative comunitarie, nazionali e ruolo delle autorità indipendenti, etica e deontologia della comunicazione; storia del giornalismo e delle comunicazioni di massa; sociologia della comunicazione, semiotica del testo scritto e visivo, psicologia cognitiva e della comunicazione, scienza dell’opinione pubblica e dei sondaggi; economia dei media, economia e gestione delle imprese editoriali;


bb) fondamenti culturali per le professioni dell’informazione: economia politica, storia economica, marketing; diritto costituzionale, diritto pubblico e diritto pubblico dell’economia, diritto privato, diritto penale; sociologia e scienze sociali; storia moderna e contemporanea, storia delle dottrine politiche; geografia politica ed economica, globalizzazione e relazioni internazionali;


cc) disciplina tecniche per le professioni giornalistiche: organizzazione dei sistemi informativi, principi di management, sociologia dell’organizzazione, modelli redazionali; teorie e tecniche delle comunicazioni di massa, teorie e tecniche dei nuovi media, teorie e modelli del giornalismo; tecniche del linguaggio fotografico e processo di costruzione della narrazione fotogiornalistica e della comunicazione visiva, tecniche del linguaggio televisivo e processi di costruzione delle news per la tv, tecniche del linguaggio radiofonico e processo di costruzione delle news per la radio, tecniche dei linguaggi del giornale quotidiano e periodico, linguaggio delle agenzie di stampa, tecniche di gestione degli uffici stampa; tecniche della ricerca sociale, tecniche di analisi testuale, tecniche di elaborazione e documentazione statistica dei dati, psicologia degli atteggiamenti e delle opinioni, conoscenza funzionale di una lingua straniera;


dd) innovazione, informatica e design dell’informazione: produzione, selezione e trattamento delle immagini, grafica della comunicazione giornalistica, percezione e comunicazione visiva, strumenti e tecnologie dell’informazione visiva, storia dell’informazione visiva, elementi di informatica generale, editoria multimediale, progettazione e gestione delle notizie per i sistemi on-line, sistemi editoriali; elementi di cinema, fotografia e tv, tecnologie dell’immagine digitale.


Il nuovo esame di  Stato è completato da una prova orale diretta ad accertare la conoscenza da parte del candidato delle aree disciplinari  sulle quali si svolge la terza prova scritta. Le aree disciplinari sono quelle, che saranno sviluppate (come si desume dall’articolo 32 del nuovo Dpr/328) nel biennio di praticantato da svolgersi in alternativa nei seguenti modi:


1) una laurea specialistica il cui percorso formativo biennale sia almeno per il 50% costituito da attività pratica orientata alla professione di giornalista e disciplinata sulla base di convenzioni tra l’Università e il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, che verifica anche l’effettivo tirocinio professionale svolto;


2) un master universitario biennale il cui percorso formativo sia disciplinato sulla base di convenzioni tra l’Università e il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, che verifica anche l’effettivo tirocinio professionale svolto;


3) corsi biennali presso Istituti di formazione al giornalismo riconosciuti con deliberazione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti.


 


La quantità, la complessità e la specificità delle "aree disciplinari o materie" oggetto della prova scritta e della prova orale mettono in luce il rigore (già  sottolineato nel parere 2228/2002 della II sezione consultiva del Consiglio di Stato per quanto concerne la vecchia prova di idoneità) della selezione affidata a una Commissione di cui fanno parte un magistrato (presidente), due professori universitari, tre giornalisti e un rappresentante degli editori. Per la prima volta, come vogliono la Ue e l’Antitrust, i giornalisti sono in minoranza nella Commissione di selezione.  Segno positivo e di apertura comunitaria, che consacra la legittimità costituzionale di una professione intellettuale tra le più delicate del panorama nazionale (e non solo). L’esercizio della professione richiede, per assicurare il corretto svolgimento dell'attività, sia a garanzia della collettività che a protezione dei destinatari delle prestazioni, una specifica idoneità (sentenze della Consulta nn. 456/1993,  29/1990,   77/1964 e 15/1999). Gli accertamenti teorico-pratici, congeniali al corretto svolgimento della professione di  giornalista, sono finalizzati pertanto a quella verifica di idoneità tecnica, cui è preordinato l’esame di Stato. L’esame di Stato (art. 33, quinto comma, della Costituzione) “consente di verificare l'idoneità tecnica di chi, avendo i requisiti richiesti, intenda accedere alla professione ottenendo l'iscrizione nell'apposito albo” (Corte Costituzionale, sentenza n. 5/1999).


°°°°°


Nota 1


Decreto Legislativo. Principi fondamentali in materia di professioni, a norma dell'articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131.


(In attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale)


Capo I. Disposizioni generali


Art. 1. Ambito d'applicazione


1. Il presente decreto legislativo individua i principi fondamentali in materia di professioni, di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, che si desumono dalle leggi vigenti ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni.


2. Le regioni esercitano la potestà legislativa in materia di professioni nel rispetto dei principi fondamentali di cui al capo secondo.


3. La potestà legislativa regionale si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale.


4. Nell'ambito di applicazione del presente decreto non rientrano: la formazione professionale universitaria; la disciplina dell'esame di stato previsto per l'esercizio delle professioni intellettuali, nonché i titoli, compreso il tirocinio, e le abilitazioni richiesti per l'esercizio professionale; l'ordinamento e l'organizzazione degli ordini e dei collegi professionali; gli albi, i registri; gli elenchi o i ruoli nazionali previsti a tutela dell'affidamento del pubblico; la rilevanza civile e penale dei titoli professionali e il riconoscimento e l'equipollenza, ai fini dell'accesso alle professioni, di quelli conseguiti all'estero.


Capo II. Principi fondamentali


Art. 2. Libertà professionale


1. L'esercizio della professione, quale espressione del principio della libertà di iniziativa economica, è tutelato in tutte le sue forme e applicazioni, purché non contrarie a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume. Le regioni non possono adottare provvedimenti che ostacolino l'esercizio della professione.


2. Nell'esercizio dell'attività professionale è vietata qualsiasi discriminazione, che sia motivata da ragioni sessuali, razziali, religiose, politiche o da ogni altra condizione personale o sociale, secondo quanto stabilito dalla disciplina statale e comunitaria in materia di occupazione e condizioni di lavoro.


3. L'esercizio dell'attività professionale in forma di lavoro dipendente si svolge secondo specifiche disposizioni normative che assicurino l'autonomia del professionista.


4. Le associazioni rappresentative di professionisti, che non esercitano attività regolamentate o tipiche di professioni disciplinate ai sensi dell'articolo 2229 del Codice civile, se in possesso dei requisiti e nel rispetto delle condizioni prescritte dalla legge per il conseguimento della personalità giuridica, possono essere riconosciute dalla regione nel cui ambito territoriale si esauriscono le relative finalità statutarie.


 


Art. 3. Tutela della concorrenza e del mercato


1. L'esercizio della professione si svolge nel rispetto della disciplina statale della tutela della concorrenza, ivi compresa quella delle deroghe consentite dal diritto comunitario a tutela di interessi pubblici costituzionalmente garantiti o per ragioni imperative di interesse generale, della riserva di attività professionale, delle tariffe e dei corrispettivi professionali, nonché della pubblicità professionale.


2. L'attività professionale esercitata in forma di lavoro autonomo è equiparata all'attività di impresa ai fini della concorrenza di cui agli articoli 81, 82 e 86 (ex artt. 85, 86 e 90) del Trattato Ce, salvo quanto previsto dalla normativa in materia di professioni intellettuali.


3. Gli interventi pubblici a sostegno dello sviluppo delle attività professionali sono ammessi, secondo le rispettive competenze di stato e regioni, nel rispetto della normativa comunitaria.


 


Art. 4. Accesso alle professioni


1. L'accesso all'esercizio delle professioni è libero, nel rispetto delle specifiche disposizioni di legge.


2. La legge statale definisce i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali necessari per l'esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo  Stato.


3. I titoli professionali rilasciati dalla regione nel rispetto dei livelli minimi uniformi di preparazione stabiliti dalle leggi statali consentono l'esercizio dell'attività professionale anche fuori dei limiti territoriali regionali.


Art. 5. Regolazione delle attività professionali


1. L'esercizio delle attività professionali si svolge nel rispetto dei principi di buona fede, dell'affidamento del pubblico e della clientela, della correttezza, della tutela degli interessi pubblici, dell'ampliamento e della specializzazione dell'offerta dei servizi, dell'autonomia e responsabilità del professionista.


Capo III. Disposizioni finali


Art. 6. Regioni a statuto speciale


1. Per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano resta fermo quanto previsto dall'articolo 11 della legge 5 giugno 2003, n. 131.


Art. 7. Norma di rinvio


1. I principi fondamentali di cui al presente decreto legislativo si applicano a tutte le professioni. Restano fermi quelli riguardanti specificamente le singole professioni. Il presente decreto, munito del sigillo dello stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.


…………………


Nota 2


Questo il testo del comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999:


“Con uno o più regolamenti adottati, a norma dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (15), su proposta del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia, sentiti gli organi direttivi degli ordini professionali, con esclusivo riferimento alle attività professionali per il cui esercizio la normativa vigente già prevede l'obbligo di superamento di un esame di Stato, è modificata e integrata la disciplina del relativo ordinamento, dei connessi albi, ordini o collegi, nonché dei requisiti per l'ammissione all'esame di Stato e delle relative prove, in conformità ai seguenti criteri direttivi:


a) determinazione dell'ambito consentito di attività professionale ai titolari di diploma universitario e ai possessori dei titoli istituiti in applicazione dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni;


b) eventuale istituzione di apposite sezioni degli albi, ordini o collegi in relazione agli ambiti di cui alla lettera a), indicando i necessari raccordi con la più generale organizzazione dei predetti albi, ordini o collegi;


c) coerenza dei requisiti di ammissione e delle prove degli esami di Stato con quanto disposto ai sensi della lettera a)”.


-----------------------------


Nota 3


Dlgs 8 luglio 2003 n. 277. Attuazione della direttiva 2001/19/CE che modifica le direttive del Consiglio relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali e le direttive del Consiglio concernenti le professioni di infermiere professionale, dentista, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e medico. (in: www.odg.mi.it/docatts/277dlgs2003.rtf).


 


Nota 4


Dlgs 2 maggio 1994 n. 319. Attuazione della direttiva 92/51/CEE relativa ad un  secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale che integra la direttiva 89/48/CEE. (in:  www.odg.mi.it/docatts/319dlgs94-26dic05.rtf).


 


Nota 5


Dlgs. 27 gennaio 1992 n. 115. Attuazione della direttiva n. 89/48/CEE relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni. (in: www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2158).


 

Nota 6

DIRETTIVA 2005/36/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 7 settembre 2005 (detta “Zappalà”) relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. (in: www.odg.mi.it/docview.asp?DID=2193)


 


 


Milano, 3 gennaio 2006


 


 





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