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UNIVERSITÀ IULM.
Inaugurazione a.a. 08/09:
la relazione del Rettore
Giovanni Pugliesi
mette sotto accusa
baronie, nepotismi e
familismi nelle università.
Fra le richieste,
“l’effettiva parificazione
tra sistema universitario
statale e non statale”
attraverso la valutazione
incentivante, parametro per
la distribuzione delle risorse
basata sui risultati
scientifici degli atenei.

In:http://www.primaonline.it/wp-content/plugins/Flutter/files_flutter/1234799445RelazioneRettore-Prof.Puglisi_DEF.doc


 


LIBERA UNIVERSITÀ DI LINGUE E COMUNICAZIONE


 


IULM - MILANO


 


 


RELAZIONE DEL RETTORE


PROF. GIOVANNI PUGLISI


 


Inaugurazione Anno Accademico 2008-2009 - 16 febbraio 2009


 


Il testo integrale della relazione del rettore dello Iulm (Libera Università di Lingue e Comunicazione) di Milano, professor Giovanni Puglisi, letta in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2008-2009, in presenza del ministro dei Beni culturali Sandro Bondi. Sotto accusa, per il rettore, baronie, nepotismi e familismi nelle università. Fra le sue richieste, “l’effettiva parificazione tra sistema univeritario statale e non statale” attraverso la valutazione incentivante, parametro per la distribuzione delle risorse basata sui risultati scientifici degli atenei.


 


Sono stato molto incerto se tenere questa cerimonia oggi e successivamente – una volta che ho deciso di tenerla – se fare la mia rituale relazione. Accettata l’idea di tenere l’una e l’altra, vengo a spiegare i motivi della mia originaria ritrosia, con i quali sostanzialmente esaurisco la stessa relazione.


L’Università italiana ha, a mio avviso, bisogno di un’attenzione più discreta e meno gridata, soprattutto non può e non deve essere il luogo della pubblica gogna di ogni nefandezza italiana, come ormai i media in particolare, ma buona parte di un’opinione pubblica, distrattamente colpevolista, tendono a fare, sull’onda proprio di siffatta informazione strumentalmente gridata.


Non voglio essere frainteso. È chiaro a tutti che oggi – un po’ come ieri, ma forse un po’ di più di ieri – un forte malessere attraversa il mondo universitario, in particolare quello dei giovani che aspirano alla vita accademica. Ed è altrettanto chiaro che questo malessere ha origine in alcuni atteggiamenti “baronali” sconsiderati e arroganti, che – oggi di certo più di ieri, giacché “baroni” si nasce e non si diventa! – caratterizzano alcuni parvenus del cosiddetto baronaggio accademico.


 


È giusto mettere alle corde questi personaggi, isolandoli – l’ostracismo dei pari è sempre stato nella storia la sanzione peggiore! – e, se ne ricorrono le circostanze, mettendoli anche in galera. È, invece, assolutamente ingiusto e, spesso, ignobile usare questi casi – oggettivamente una minoranza, rispetto alla maggioranza silenziosa e onesta, che fa dignitosamente e rigorosamente il proprio dovere – per criminalizzare tutti, tutti noi, tutti voi!


 


È quello che mi è accaduto qualche giorno addietro a Berlino, durante un Convegno, nel quale un noto giornalista italiano – seppur con molto garbo nei modi oratori e personalmente anche nei miei confronti – ha puntato il dito in modo forte e indiscriminato contro tutta l’università italiana. Ho reagito con fermezza, ma ero e sono convinto che avesse un argomento a suo favore: l’Università è il luogo per eccellenza esemplare dell’educazione alla correttezza e all’onestà intellettuale e morale; un vulnus nel costume universitario è molto più grave e più deformante delle coscienze individuali e sociali di quanto non lo sia, anche se giuridicamente equivalente, uno analogo nel mondo del giornalismo, della diplomazia, del notariato o della magistratura. Un discorso a parte meriterebbero le dinastie della politica che qui, però, mi esimo dall’avviare, giacché ci porterebbe lontano!


 


È però indiscutibile che situazioni analoghe sono presenti in tutti, o quasi, gli altri settori della vita sociale e pubblica e in tali casi non destano il clamore che destano invece nel nostro mondo, con effetti devastanti socialmente e culturalmente. Se mi indigno, pertanto, per il clamore che suscita il nepotismo o il familismo nell’università non è per negarlo, né per minimizzarlo, bensì per favorire un’azione corale di rigetto di tali personaggi estranei alla nostra cultura di persone oneste e per aiutare tutti coloro che sono ben intenzionati a sostenere questa azione di moralizzazione, senza scandalismi di regime e senza alibi di qualsivoglia tipo, a porre in essere tutti gli strumenti per debellare questa vera e propria metastasi accademica.


 


Non credo assolutamente che essa si debelli con i proclami rivoluzionari o con le norme legislative di facciata: ciononostante ben venga la “riforma Gelmini” dei concorsi universitari, anche se qualche cosa in più forse si sarebbe potuta fare. Ciò che manca e che non si può restituire né all’università, né ad alcuno per legge è il piacere dell’etica, quel gusto della virtù, che libero da schematismi o stereotipi ideologici e confessionali, dia al comportamento individuale la rotondità della giustizia, la bellezza del risultato, la dignità del messaggio educativo.


 


Oggi non vale lo scandalismo della denuncia moralistica fine a se stessa come, però, non vale neppure – e forse meno che mai – l’alibi, molto diffuso, che essendo tutti corrotti, nessuno è corrotto. È questo un film che il nostro Paese ha già visto altre volte, in alcuni casi anche in luoghi e Aule molto importanti, con protagonisti di tutto rispetto e di grande rilievo istituzionale; eppure  nella sostanza, non ha portato bene a nessuno, né a coloro che pronunciavano l’arringa, né tanto meno al Paese. I due casi che più di tutti sono esemplari, in questo senso complesso, sono quello che aprì “Tangentopoli” e, più di recente, il caso che portò alla caduta del Governo presieduto da Romano Prodi. Vorrei, anzi, dire che la teoria del “tutti colpevoli, quindi nessuno colpevole” è la peggiore delle autodifese.


 


Un Paese, un’Università ricchi di storia e di dignità come i nostri, non meritano affatto questa fine: i concorsi universitari in Italia, come nei Paesi civili di tutto il mondo, debbono perdere assolutamente la maschera ipocrita della competizione libera da condizionamenti di scuola e debbono recuperare quella dimensione etica, proprio quel piacere dell’etica del quale parlavo prima, che senza far ombra alla continuità scientifica di una scuola accademica o di un gruppo di ricerca, ne salvaguardi, con cristallina trasparenza, la natura di  cooptazione, senza enfatizzarne i moralismi, ma anche senza timore della verità responsabile. Guardare Oltralpe o Oltreoceano  vuol dire proprio questo: rinunciare alla delega normativa alla riforma dei concorsi, tanto ipocrita, quanto inefficace, e riscoprire il piacere della virtù. Potere dire con soddisfazione e orgoglio, ma contemporaneamente con il consenso dell’intera comunità scientifica “ho messo in cattedra un mio allievo”, senza che questo possa essere né oggetto di indagine giudiziaria, né motivo di ignominia scientifica sia per il maestro che per l’allievo.


 


Ciò corrisponde al riconoscimento universale di due parametri di riferimento: la responsabilità e la valutazione. È la responsabilità scientifica ed etica, che deve accompagnare queste scelte: la caduta di responsabilità, prima di essere una caduta di stile, è un danno irreversibile alla propria università, al proprio gruppo disciplinare, alla propria comunità scientifica, al proprio Paese. Se oggi il nostro sistema universitario è fra i primi posti nella classifica delle top universities [parlo del “sistema” e non già dei singoli Atenei che, oltre ogni ridicola auto-definizione di “ateneo di qualità”, non compaiono individualmente nella top hundred delle università di tutto il mondo], è possibile perché, aldilà delle performances di singoli atenei, abbiamo saputo produrre, come sistema Italia, studiosi e risultati scientifici assolutamente apprezzabili e apprezzati, perché i nostri laureati – anche quelli che dicono di essere, e forse in alcuni casi lo sono davvero, in fuga – oltre ad esportare i loro cervelli, esportano quell’accumulazione di ricchezza scientifica che il  nostro sistema universitario ha saputo dare loro nei periodi di formazione.


 


 Da ciò discende l’altro parametro: la valutazione incentivante. Ogni Ateneo deve avere le risorse che merita, tanto di personale, quanto finanziarie; anzi le seconde debbono essere misurate sulle capacità e sui risultati scientifici delle prime. È un po’ come dire, secondo un antico adagio latino, similia similibus curantur, ovvero un’università che ha reclutato asini, dovrà essere valutata per quel risultato, che non dovrebbe comunque dare alcun riscontro, neppure minimamente riequilibrativo,  a verifica degli investimenti pubblici o privati su quell’Ateneo.


 


Vale la pena precisare, però, due cose: 1) la valutazione incentivante aprirebbe finalmente la strada alla effettiva parificazione tra sistema universitario statale e non statale; 2) la valorizzazione di coloro, i quali hanno la fortuna – adesso sfortuna per i veramente bravi – di essere nati in una famiglia di docenti universitari, dovrebbe passare attraverso possibili cooptazioni decise e fatte da altri, diversi dai propri familiari e possibilmente lontane dalle “sedi” di famiglia sia accademiche che auspicabilmente anche disciplinari.


 


Se l’Università italiana, infatti, soffre di elefantiasi in molti sensi, le colpe non sono solo degli accademici, sono anche del mondo politico, che spesso ha richiesto le proliferazioni a scopi clientelari di collegio elettorale, ma in ogni caso ha autorizzato tali crescite sconsiderate: se ciascuno con umiltà e riservatezza facesse un po’ di autocritica, o anche forse solo di autoanalisi, molti dei clamori di cui parlavo all’inizio non avrebbero ragion d’essere.


 


È un po’ la storia della riforma della governance degli Atenei: è vero, c’è molto da rivedere e di sicuro il radicamento vacuo del potere, soprattutto se legato ad interessi clientelari, professionali o di gruppo, è esecrabile; nessuno però si illuda né di autoassolversi in termini di responsabilità politica, né di risolvere i problemi metastatici delle università con la sola riduzione del numero dei mandati dei Rettori: lo dico con forza e chiarezza, proprio perché avendo l’onore di esprimere all’interno della CRUI gli Atenei non-statali, ai quali le norme legislative si applicano agli Statuti “ove compatibili” con grande libertà di scelta tra le cose da recepire e quelle da lasciare da parte, non corro il rischio di essere frainteso. Personalmente penso che l’intelligenza al potere non si conta con i mandati, ma con il risultato dell’azione di governo. Un incapace alla guida di un Ateneo può fare molto più danno di una persona intelligente anche se longeva in termini di anni di “potere”!


 


A questo punto credo che sia chiaro il motivo della mia reticenza ad intervenire oggi: la nostra Università non meritava comunque un atteggiamento rinunciatario del suo Rettore. L’Università IULM, infatti, è un’università giovane, direi di mezz’età, che ha saputo, grazie a tutti i suoi docenti, ai suoi studenti-laureati, oggi nel mondo del lavoro e delle professioni, al suo personale non docente, conquistarsi un posto rispettato e talora sinceramente apprezzato nel panorama italiano, libera, davvero, da condizionamenti di ogni tipo, erede di una coppia esemplare, Baridon – Bo, proiettata sempre di più nei sistemi della comunicazione a tutto tondo, come “università leader”.


 


È per questo che oggi abbiamo scelto di dedicare questa inaugurazione ad un padre-leader, a sua volta, della comunicazione, Maurizio Costanzo. In un parterre come quello che quest’Ateneo si onora di avere di “comunicatori d’eccellenza” come Fedele Confalonieri, Cesare Romiti, Marco Tronchetti Provera, Arrigo Levi, Giuseppe De Rita, Alberto Sordi, Mike Bongiorno, Maurizio Costanzo sembra quasi (e sottolineo quasi) chiudere il cerchio della contemporaneità. Con Costanzo si conclude, infatti, la serie dei comunicatori-maestri che hanno saputo, oltre che inventare un format, dare anima e voce alle loro stesse creature, accompagnandole nel tempo per mano, senza mai abbandonarle, anche quando i cloni, non sempre all’altezza dell’originale, hanno saturato il mercato della decenza.


 


Sono questi gli esempi che vogliamo additare ai nostri giovani, sono queste le vie della vita, che ciascuno di loro saprà seguire, se avrà la fortuna di trovarne l’accesso nell’intricata selva della quotidianità.


 


Al Ministro della Cultura, l’amico senatore Sandro Bondi, che ci ha fatto l’onore della sua presenza, vorrei fare un augurio e insieme rivolgere un appello. L’augurio è che il nostro Paese, ovvero questa splendida Italia, possa essere sempre all’altezza del ruolo di vera, grande potenza culturale come la storia e l’immagine dell’Italia nel mondo mostrano e meritano: quest’anno celebreremo a Torino il G8 delle Università, a Palermo il J8, allargato ai giovani dei paesi rivieraschi del Mediterraneo (grande iniziativa di cooperazione culturale volta all’educazione allo sviluppo sostenibile e all’educazione alla cultura della legalità e della pace), a Lucca il G8 delle ricerca scientifica, e a Monza, spero, per iniziativa e volontà proprio del Ministro Bondi e del Ministro Frattini, la Davos della cultura, che l’Italia si impegna a celebrare periodicamente. Sono impegni importanti e riconoscimenti significativi, che l’Italia non può che considerare un onore e un dovere verso i propri illustri progenitori culturali e insieme verso le generazioni future. Complimenti Ministro Bondi a Lei e al Governo italiano.


 


L’appello, caro Ministro, è di tenere sempre duro sul registro dell’impegno finanziario verso la cultura, la formazione superiore e la ricerca: capisco le ragioni di Stato, che richiamano il senso di responsabilità politica e sociale in un momento difficile dell’economia mondiale e italiana in particolare, ritengo però irrinunciabile, per storia e per sviluppo socio-economico, per di più sostenibile, che il nostro Paese non abbatta oltre la soglia di resistenza, per altro già superata, nell’investimento in queste aree. La cultura in Italia è una ricchezza economica di secondo livello, è un valore patrimoniale inestimabile in sé, ma è anche un valore economico aggiuntivo per la ricchezza indiretta, materiale e immateriale, che porta al Paese. Le ragioni dell’economia debbono governare i bilanci, le ragioni della cultura debbono sostenere le coscienze, specie dei giovani. Vada avanti con coraggio, signor Ministro, l’Italia migliore e più coraggiosa, quella della cultura e dei giovani che in essa credono, è con Lei!


 


Prima di concludere questa mia breve relazione, mi sia consentito di rivolgere un cordiale saluto a coloro che quest’anno sono entrati a far parte della nostra grande famiglia accademica e un grato ringraziamento a quanti hanno lasciato per raggiunti limiti d’età l’Ateneo. Un grato ringraziamento, ancora, a tutti i Colleghi, giovani e meno giovani, in particolare quanti hanno responsabilità di Governo accademico, per la loro abnegazione nell’impegno scientifico e didattico, che, con franchezza, senza l’aiuto di tutto il personale non docente, difficilmente avrebbe potuto essere così efficace.


 


Andiamo, non senza difficoltà e fatica, verso un rafforzamento dei servizi complementari allo studio e alla ricerca (mensa, caffetteria, residence, associazione laureati, servizi informatici, portale-IULM, intranet, ecc.): a tutti chiediamo pazienza e collaborazione, a tutti assicuro determinazione nei comportamenti correttivi e tempestività nelle decisioni.


 


Parlavo all’inizio di questa mia relazione del piacere della virtù, dell’etica: è questo un insegnamento che mi viene da lontano, dalla mia infanzia, sui banchi di scuola dei Salesiani, che poi ha costituito la stella polare della mia vita. Vorrei che diventasse una missione culturale del nostro tempo, un tempo in cui la misura, la pacatezza, l’equilibrio sembrano essere esuli dalla vita di tutti i giorni. Ho parlato di piacere dell’etica per il nostro mondo universitario e della cultura, ma credo che questa considerazione debba e possa essere estesa a tutto tondo al nostro tempo e a tutte le sue espressioni professionali ed esistenziali. In altre parole vorrei che quello che pare oggi essere solo un sogno, possa presto diventare realtà per le generazioni dei giovani che ci ascoltano e per quelle ancora dopo.


 


Una scrittrice finlandese, Tove Jansson, in un bellissimo racconto L’ottantesimo compleanno [raccolto in Italia in un volume dal titolo suggestivo, Viaggio con bagaglio leggero] la protagonista, a valle di un dialogo con un suo interlocutore, ottuagenario, che domandava cosa desiderasse dalla vita, rispondeva amore, sicurezza, e poi viaggiare, “mi dà un piacere immenso viaggiare”, e l’ottuagenario replicava “Piacere. […] E, sai, una cosa, di tutta la commedia, l’unica cosa davvero importante è provare piacere. Il piacere va e viene. Dapprincipio uno ce l’ha gratis e non lo capisce, lo spreca soltanto. Poi diventa qualcosa da tenere da conto.” Ecco, io sono nella condizione dell’ottuagenario, ho capito l’importanza del piacere, della sua grazia ontologica, anche nei comportamenti di ogni giorno, apparentemente meno riconducibili ad esso. Riaffiora la mia educazione giovanile, quando ancora non sapevo che la virtù fosse un piacere, pensavo invece che fosse solo un dovere. Vorrei che i nostri giovani potessero accorciare l’iter di questa presa di coscienza: il piacere della virtù è davvero qualcosa da tenere da conto.


 


Con questi sentimenti e con questi voti augurali, con l’aiuto di Dio, dichiaro aperto l’Anno Accademico 2008-2009, XL della Fondazione, della Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano.


 


            Viva l’Italia!


 


 


                                                                       Prof. Giovanni PUGLISI


 


 


 


Milano, Università IULM, 16 febbraio 2009





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