Lussemburgo, 29 gennaio 2009. Non è possibile aggirare l'esame di Stato stabilito dalle leggi del proprio Paese per esercitare una professione, semplicemente andando in un altro Paese membro, facendosi riconoscere il titolo lì e poi tornare nel luogo di provenienza per esercitare la professione: è complicato e sembra assurdo ma, grazie alla normativa europea, sia il ministero della Giustizia che il Consiglio di Stato hanno avuto dei dubbi che, invece, fosse possibile. La Corte di giustizia europea, invece, ha sgombrato il campo: no, la direttiva 89/48/CEE sul riconoscimento dei diplomi non permette questo e il temporaneo esilio per evitare l'esame di Stato non servirà più a niente.
La direttiva, in effetti, conferisce ad ogni richiedente che sia titolare di un «diploma», che gli consenta di esercitare una professione regolamentata in uno Stato membro, il diritto di esercitare la medesima professione in ogni altro Stato membro. E, fin qui, la questione è semplice.
L’esercizio della professione di ingegnere, sia in Italia che in Spagna, è subordinato al possesso di un diploma universitario e all’iscrizione all’albo dell’ordine professionale. Il sistema italiano però - e qui in un certo senso nasce il problema - prevede peraltro, contrariamente a quello spagnolo, un esame di Stato, il cui superamento è indispensabile ai fini dell'abilitazione all'esercizio della professione.
Un cittadino italiano, titolare di un titolo di studi di ingegnere meccanico rilasciato nel 1999 dall’Università di Torino (Italia), nel 2001 ha chiesto ed ottenuto in Spagna l’omologazione del suo titolo italiano. Avvalendosi del certificato di omologazione, l'ingegnere italiano si è iscritto all’albo di uno dei «colegios de ingenieros técnicos industriales» di Catalogna, per essere abilitato a esercitare la professione regolamentata di ingegnere tecnico industriale, specialità meccanica, in Spagna.
Detto questo, l'ingegenere italiano non ha svolto un’attività professionale fuori dall’Italia e non ha seguito una formazione, né superato esami previsti dal sistema di istruzione spagnolo. Del pari, non ha sostenuto l’esame di Stato previsto dalla normativa italiana per ottenere l’abilitazione all’esercizio della professione di ingegnere.
Fin qui niente di male. Ma nel 2002, su domanda dell'ingegnere ormai italo-spagnolo, il Ministero della Giustizia italiano ha riconosciuto la validità del titolo spagnolo ai fini della sua iscrizione all’albo degli ingegneri in Italia. Insomma, era fatta!
Invece no: il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha impugnato la decisione sostenendo che, ai sensi della direttiva e della pertinente normativa nazionale, le autorità italiane non potevano riconoscere il titolo spagnolo dell'ingegnere italiano, avendo tale riconoscimento la conseguenza di esonerarlo dall’esame di Stato previsto dalla normativa italiana.
Sembrava una questione semplice. Invece no, e lo scontro tra ministero della Giustizia e albo degli ingegneri è arrivato in alto, fino addirittura al Consiglio di Stato. La suprema magistratura amministrativa italiana si è, a sua volta, rivolta alla Corte di giustizia, per chiedere se la direttiva 89/48 potesse essere invocata dall'ingegnere per accedere alla professione di ingegnere in Italia.
La Corte ha gettato acqua fredda sul povero laureato italiano. I giudici europei hanno stabilito che, secondo la definizione stessa della direttiva, un «diploma» non include il titolo rilasciato da uno Stato membro che non attesti alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro e non si fondi né su di un esame, né su di un’esperienza professionale acquisita in detto Stato membro.
Infatti, l’applicazione della direttiva in una situazione di tal genere si risolverebbe nel consentire ad un soggetto che abbia conseguito, nello Stato membro in cui ha svolto i suoi studi, esclusivamente un titolo che, di per sé, non dà accesso alla professione regolamentata, di accedervi egualmente, senza che tuttavia il titolo di omologazione conseguito altrove attesti l’acquisizione di una qualifica supplementare o di un’esperienza professionale. Un siffatto risultato sarebbe contrario al principio sancito dalla direttiva, secondo cui gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire il livello minimo di qualifica necessario allo scopo di garantire la qualità delle prestazioni fornite sul loro territorio. Insomma, l'esame di Stato italiano non si può aggirare. (l.f.) (www.cittadinolex.it)
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione) 29 gennaio 2009 (*) «Riconoscimento dei diplomi – Direttiva 89/48/CEE – Omologazione di un titolo di studio – Ingegnere»
Nel procedimento C‑311/06, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Consiglio di Stato con decisione 28 febbraio 2006, pervenuta in cancelleria il 17 luglio 2006, nella causa
Consiglio Nazionale degli Ingegneri
contro
Ministero della Giustizia,
M. C.,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg. J.‑C. Bonichot, K. Schiemann (relatore), J. Makarczyk e L. Bay Larsen, giudici,
avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 settembre 2007,
considerate le osservazioni presentate:
– per il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, dall’avv. A. Romei;
– per il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. S. Fiorentino, avvocato dello Stato;
– per il governo belga, dalla sig.ra L. Van den Broeck, in qualità di agente;
– per il governo ceco, inizialmente dal sig. T. Boček, successivamente dal sig. M. Smolek, in qualità di agenti;
– per il governo ellenico, dalla sig.ra E. Skandalou, in qualità di agente;
– per il governo cipriota, dal sig. C. Lycourgos e dalla sig.ra I. Neofitou, in qualità di agenti;
– per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di agente;
– per il governo svedese, dalla sig.ra A. Falk e dal sig. A. Kruse, in qualità di agenti;
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. H. Støvlbæk e dalla sig.ra E. Montaguti, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 28 febbraio 2008,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19, pag. 16).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone il Consiglio Nazionale degli Ingegneri al Ministero della Giustizia in merito al riconoscimento che quest’ultimo ha accordato al sig. M. C., cittadino italiano, di un titolo spagnolo di ingegnere, ottenuto attraverso l’omologazione di un diploma italiano, ai fini della sua iscrizione all’albo degli ingegneri in Italia.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 Il primo ‘considerando’ della direttiva 89/48 è formulato come segue:
«considerando che in virtù dell’articolo 3, lettera c) del Trattato l’eliminazione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e dei servizi costituisce uno degli obiettivi della Comunità; che, per i cittadini degli Stati membri, essa implica segnatamente la facoltà di esercitare una professione, a titolo indipendente o dipendente, in uno Stato membro diverso da quello nel quale essi hanno acquisito le loro qualifiche professionali».
4 Il terzo ‘considerando’ di tale direttiva così recita:
«considerando che, onde soddisfare rapidamente le aspettative dei cittadini europei in possesso di diplomi di istruzione superiore che sancisc[o]no formazioni professionali e sono rilasciati in uno Stato membro diverso da quello nel quale essi desiderano esercitare la loro professione, è opportuno istituire anche un altro metodo di riconoscimento di detti diplomi atto ad agevolare l’esercizio di tutte le attività professionali subordinate in un determinato Stato membro ospitante al possesso di una formazione post-secondaria, sempreché essi siano in possesso di siffatti diplomi che li preparino a dette attività, sanzionino un ciclo di studi di almeno tre anni e siano stati rilasciati in un altro Stato membro».
5 Il quinto ‘considerando’ della suddetta direttiva precisa quanto segue:
«considerando che, relativamente alle professioni per il cui esercizio la Comunità non ha stabilito il livello minimo di qualifica necessario, gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire detto livello allo scopo di garantire la qualità delle prestazioni fornite sul loro territorio; che tuttavia essi non possono, senza violare gli obblighi loro incombenti in virtù dell’articolo 5 del Trattato, imporre ad un cittadino di uno Stato membro di acquisire qualifiche che essi di solito si limitano a determinare riferendosi ai diplomi rilasciati nel quadro dei loro sistemi nazionali di insegnamento, quando l’interessato ha già acquisito in tutto o in parte dette qualifiche in un altro Stato membro; che ogni Stato membro ospitante nel quale una professione è regolamentata è pertanto tenuto a prendere in considerazione le qualifiche acquisite in un altro Stato membro e ad esaminare se esse corrispondono a quelle prescritte dalle disposizioni nazionali».
6 L’art. 1, lett. a) e b), della direttiva 89/48 dispone quanto segue:
«Ai sensi della presente direttiva si intende:
a) per diploma, qualsiasi diploma, certificato o altro titolo o qualsiasi insieme di diplomi, certificati o altri titoli:
– che sia stato rilasciato da un’autorità competente in uno Stato membro, designata in conformità delle sue disposizioni legislative, regolamentari o amministrative,
– da cui risulti che il titolare ha seguito con successo un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale, in un’università o un istituto di istruzione superiore o in un altro istituto dello stesso livello di formazione e, se del caso, che ha seguito con successo la formazione professionale richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari e
– dal quale risulti che il titolare possiede le qualifiche professionali richieste per accedere ad una professione regolamentata in detto Stato membro o esercitarla,
quando la formazione sancita dal diploma, certificato o altro titolo è stata acquisita in misura preponderante nella Comunità o quando il titolare ha un’esperienza professionale di tre anni, certificata dallo Stato membro che ha riconosciuto il diploma, certificato o altro titolo rilasciato in un paese terzo.
È assimilato a un diploma ai sensi del primo comma qualsiasi diploma, certificato o altro titolo, o qualsiasi insieme di diplomi, certificati o altri titoli che sia stato rilasciato da un’autorità competente in uno Stato membro qualora sancisca una formazione acquisita nella Comunità e riconosciuta da un’autorità competente in tale Stato membro come formazione di livello equivalente e qualora esso conferisca gli stessi diritti d’accesso e d’esercizio di una professione regolamentata;
b) per Stato membro ospitante, lo Stato membro nel quale un cittadino di un altro Stato membro chiede di esercitare una professione ivi regolamentata senza aver ottenuto nello stesso il suo diploma o avervi esercitato per la prima volta la professione in questione».
7 Unicamente nella sua versione italiana ed ungherese, l’art. 1, lett. b), della direttiva 89/48 prende in considerazione un cittadino «di un altro Stato membro» («egy másik tagállam»), in luogo di un cittadino «di uno Stato membro».
8 L’art. 2, primo comma, della direttiva 89/48 così recita:
«La presente direttiva si applica a qualunque cittadino di uno Stato membro che intenda esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante».
9 Unicamente nelle sue versioni in lingua tedesca e ungherese, l’art. 2, primo comma, di tale direttiva riguarda l’esercizio di una professione regolamentata «in un altro Stato membro» («in einem anderen Mitgliedstaat»/«egy másik tagállamban») piuttosto che l’esercizio di una professione regolamentata in uno «Stato membro ospitante».
10 L’art. 3, primo comma, lett. a), della direttiva 89/48 prevede quanto segue:
«Quando nello Stato membro ospitante l’accesso o l’esercizio di una professione regolamentata è subordinato al possesso di un diploma, l’autorità competente non può rifiutare ad un cittadino di un altro Stato membro, per mancanza di qualifiche, l’accesso a/o l’esercizio di tale professione, alle stesse condizioni che vengono applicate ai propri cittadini:
a) se il richiedente possiede il diploma che è prescritto in un altro Stato membro per l’accesso o l’esercizio di questa stessa professione sul suo territorio, e che è stato ottenuto in un altro Stato membro (…)».
11 Unicamente nelle sue versioni in lingua italiana, spagnola e slovena, l’art. 3, primo comma, di tale direttiva riguarda un rifiuto ad un cittadino «di un altro Stato membro» («de otro Estado miembro»/«druge dr¿ave članice») piuttosto che un rifiuto ad un cittadino di uno «Stato membro».
12 Inoltre, unicamente nelle sue versioni in lingua italiana e slovena, l’art. 3, primo comma, lett. a), di tale direttiva riguarda un diploma ottenuto «in un altro Stato membro» («drugi dr¿avi članici») piuttosto che un diploma ottenuto «in uno Stato membro».
13 Nonostante l’art. 3 della direttiva 89/48, l’art. 4 della medesima consente allo Stato membro ospitante, in presenza di determinati presupposti, di esigere che il richiedente provi di possedere un’esperienza professionale di una durata determinata, compia un tirocinio di adattamento per un periodo massimo di tre anni o si sottoponga a una prova attitudinale. Questo stesso articolo fissa talune regole e condizioni applicabili alle misure compensative che possono essere imposte per ovviare all’inadeguatezza della formazione di cui fa stato il richiedente medesimo.
La normativa nazionale
La disciplina della professione di ingegnere in Spagna e in Italia
14 La professione di ingegnere è una professione regolamentata sia in Spagna sia in Italia.
– I sistemi di formazione e le condizioni di accesso alla professione di ingegnere
15 I sistemi di formazione italiano e spagnolo sono simili per quanto riguarda le qualifiche in ingegneria. In tali due Stati membri, dette qualifiche possono essere conseguite in esito ad un ciclo di studi post-secondari della durata di tre o di cinque anni.
16 In Italia, i diplomi universitari ottenuti dopo tre anni di studio («laurea triennale») sanzionano la formazione degli ingegneri juniores («ingegnere junior»).
17 L’accesso alla professione di ingegnere junior è subordinato al possesso del diploma universitario e al superamento dell’esame di Stato corrispondente alla professione di cui trattasi [art. 4 del regio decreto 23 ottobre 1925, n. 2537 (Gazzetta ufficiale 15 febbraio 1926, n. 37)]. Tale esame di Stato comprende, secondo gli artt. 47 e 48 del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328 (Supplemento ordinario alla GURI n. 190 del 17 agosto 2001), almeno due prove scritte, una prova orale e una prova pratica. Ai candidati che hanno sostenuto con esito positivo l’esame di Stato viene conferita l’abilitazione all’esercizio della professione di ingegnere.
18 In Spagna i diplomi universitari ottenuti dopo tre anni di studio danno accesso alla qualifica di ingegnere tecnico («ingeniero técnico»).
19 La normativa spagnola in materia di diplomi universitari opera una distinzione tra due tipi di diplomi, ossia tra i «diplomi ufficiali», che sono validi su tutto il territorio nazionale e che danno accesso alle professioni regolamentate, e i «diplomi propri» che possono rilasciare le diverse università se lo ritengono opportuno, ma che non danno accesso, in particolare, alle professioni regolamentate. Questa materia è disciplinata dalla legge organica 21 dicembre 2001, n. 6/2001, relativa alle università (BOE n. 307 del 24 dicembre 2001, pag. 49400).
20 In Spagna l’accesso alla professione di ingegnere tecnico è, in linea di principio, subordinato al possesso del diploma universitario ufficiale, ai sensi della legge organica n. 6/2001, corrispondente alla professione di cui trattasi.
21 Sia in Italia sia in Spagna, l’esercizio della professione di ingegnere richiede altresì l’iscrizione all’albo di un ordine professionale. In Italia, un albo degli ingegneri è tenuto in ogni provincia dal Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri. Tale albo si divide in due sezioni, di cui la sezione B è riservata agli ingegneri juniores. In Spagna, a seconda delle specializzazioni e delle regioni, sono competenti diversi «colegios de ingenieros» (ordini degli ingegneri). In questi due Stati membri, l’iscrizione all’albo degli ingegneri costituisce una semplice formalità amministrativa che non attesta, di per sé, alcuna qualifica professionale delle persone interessate, ma che è diretta a garantire che l’esercizio della professione avvenga nel rispetto di talune norme deontologiche.
– La professione di ingegnere meccanico in Italia
22 Coloro che intendano esercitare la professione di ingegnere meccanico in Italia devono generalmente essere titolari del diploma universitario di ingegnere meccanico («laurea in ingegneria meccanica»), che sanziona una formazione triennale, nonché dell’abilitazione all’esercizio della professione di ingegnere, conseguita dopo il superamento dell’esame di Stato. Inoltre, è necessario essere iscritti all’albo degli ingegneri di una provincia, nella sezione B, settore industriale.
– La professione di ingegnere tecnico industriale, specialità meccanica, in Spagna
23 In Spagna coloro che desiderano esercitare la professione di ingegnere tecnico industriale, specialità meccanica («ingeniero técnico industrial, especialidad en mecánica»), devono generalmente essere titolari del diploma universitario ufficiale, ai sensi della legge organica n. 6/2001, di ingegnere tecnico industriale, specialità meccanica. Tale diploma di ingegnere tecnico si consegue dopo tre anni di studio. Inoltre, essi devono essere iscritti all’albo del «Colegio de Ingenieros Técnicos Industriales» (ordine professionale degli ingegneri tecnici industriali).
La procedura di riconoscimento in Italia
24 In Italia, il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115 (GURI n. 40 del 18 febbraio 1992; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 115/1992»), è diretto a recepire la direttiva 89/48 nell’ordinamento giuridico nazionale.
25 L’art. 1 del decreto legislativo n. 115/1992, intitolato «Riconoscimento dei titoli di formazione professionale acquisiti nella Comunità europea», recita quanto segue:
«1. Alle condizioni stabilite dalle disposizioni del presente decreto, sono riconosciuti in Italia i titoli rilasciati da un Paese membro della Comunità europea attestanti una formazione professionale al cui possesso la legislazione del medesimo Stato subordina l’esercizio di una professione.
2. Il riconoscimento è concesso a favore del cittadino comunitario ai fini dell’esercizio in Italia, come lavoratore autonomo o dipendente, della professione corrispondente a quella cui è abilitato nel Paese che ha rilasciato i titoli di cui al precedente comma.
3. I titoli sono ammessi al riconoscimento se includono l’attestazione che il richiedente ha seguito con successo un ciclo di studi postsecondari di durata minima di tre anni o di durata equivalente a tempo parziale, in una università o in un istituto di istruzione superiore o in altro istituto di livello di formazione equivalente».
26 Secondo il giudice del rinvio, il decreto legislativo n. 115/1992 non consente il riconoscimento di un diploma rilasciato in un altro Stato membro in base ad un titolo di studio italiano. Detto giudice precisa che, in forza dell’art. 1, n. 3, di tale decreto legislativo, il diploma estero deve attestare che il richiedente ha seguito un ciclo di studi, il che implica che debba sussistere una relazione immediata tra il titolo e il ciclo di studi e che quest’ultimo debba essere direttamente attestato dal diploma. Del resto, tale disposizione non può trovare applicazione con riguardo a un diploma di un altro Stato membro che attesti, in realtà, l’esistenza di un titolo di studi italiano.
La procedura di omologazione in Spagna
27 Nel diritto spagnolo, la procedura di omologazione dei diplomi universitari deve essere distinta dalla procedura di riconoscimento delle qualifiche professionali prevista dal regio decreto 25 ottobre 1991, n. 1665/1991, che disciplina il sistema generale di riconoscimento dei titoli d’istruzione superiore degli Stati membri dell’Unione europea che richiedono una formazione di durata almeno triennale (BOE n. 280 del 22 novembre 1991, pag. 37916), diretto a trasporre la direttiva 89/48 nell’ordinamento giuridico spagnolo. L’omologazione costituisce un controllo del contenuto accademico, in termini di conoscenze, degli studi effettuati per ottenere un diploma.
28 Fino al 4 settembre 2004, la procedura di omologazione dei diplomi universitari stranieri era disciplinata, in Spagna, dal regio decreto 16 gennaio 1987, n. 86 (BOE n. 20 del 23 gennaio 1987), nonché dalla normativa adottata in applicazione di tale regio decreto.
29 La nozione di omologazione era definita all’art. 1 del regio decreto n. 86/1987. Secondo tale disposizione, l’omologazione presuppone il riconoscimento in Spagna della validità ufficiale a fini accademici dei diplomi di istruzione superiore conseguiti all’estero.
30 Dall’art. 2 di tale regio decreto risulta che, sebbene l’omologazione dei diplomi stranieri non richieda necessariamente il superamento di esami supplementari qualora il periodo di formazione attestato dal diploma straniero non sia equivalente a quello attestato dal diploma spagnolo corrispondente, l’omologazione può essere subordinata al superamento di prove riguardanti conoscenze richieste in Spagna per il conseguimento del diploma.
31 In forza dell’art. 3 del regio decreto n. 86/1987, la procedura di omologazione si applica soltanto ad insegnamenti aventi carattere ufficiale. Altri insegnamenti dispensati dalle Università, che non possiedono tale carattere, sono pertanto esclusi dall’ambito di applicazione del regio decreto.
32 L’omologazione conferisce al diploma straniero, dal momento in cui è concessa, gli stessi effetti del diploma o grado accademico spagnolo equivalente.
Causa principale e questioni pregiudiziali
33 Il sig. C., cittadino italiano, è titolare di un titolo di studi di ingegnere meccanico rilasciato in data 9 marzo 1999 dall’Università di Torino in esito ad una formazione della durata di tre anni.
34 Il sig. C. ha chiesto in Spagna al Ministero dell’Educazione e delle Scienze l’omologazione del suo titolo di studio italiano, affinché quest’ultimo fosse riconosciuto equivalente al titolo universitario spagnolo corrispondente, in applicazione delle disposizioni del regio decreto n. 86/1987. Il 17 ottobre 2001, detto Ministero ha omologato il titolo di studi italiano del sig. C. ai fini dell’equivalenza al titolo ufficiale spagnolo di ingegnere tecnico industriale, specialità meccanica.
35 Di conseguenza, il sig. C. è abilitato a esercitare in Spagna la professione regolamentata di ingegnere tecnico industriale, specialità meccanica. Avvalendosi del certificato attestante l’omologazione del suo diploma italiano, il sig. C. si è iscritto all’albo di uno dei «colegios de ingenieros técnicos industriales» di Catalogna.
36 È tuttavia pacifico che il sig. C. non ha mai svolto un’attività professionale fuori dall’Italia e non ha seguito una formazione, né superato esami previsti dal sistema di istruzione spagnolo. È altresì pacifico che non ha sostenuto l’esame di Stato previsto dalla normativa italiana per ottenere l’abilitazione all’esercizio della professione di ingegnere.
37 Con domanda 6 marzo 2002, il sig. C. ha chiesto in Italia, al Ministero della Giustizia, il riconoscimento del titolo spagnolo in applicazione del decreto legislativo n. 115/1992, ai fini dell’iscrizione, in detto Stato membro, all’albo degli ingegneri.
38 Secondo la normativa italiana, la domanda è stata sottoposta al parere di una commissione istruttoria che si è pronunciata a maggioranza in senso favorevole, anche se il rappresentante del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, che fa parte della commissione stessa, aveva espresso voto contrario.
39 Con decreto 23 ottobre 2002, il Ministero della Giustizia ha riconosciuto la validità del titolo spagnolo del sig. C. ai fini della sua iscrizione all’albo degli ingegneri (Sezione B, settore industriale). Sulla base di tale decreto il sig. C. è stato iscritto nell’albo dell’Ordine degli ingegneri della città di Alessandria, ove risiede.
40 Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha impugnato detto decreto ministeriale dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sostenendo che, ai sensi della direttiva 89/48 e della pertinente normativa nazionale, le autorità italiane non potevano riconoscere il titolo spagnolo del sig. C., avendo tale riconoscimento la conseguenza di esonerarlo dall’esame di Stato previsto dalla normativa italiana.
41 Con sentenza 5 ottobre 2004, tale giudice ha respinto il ricorso presentato dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, ritenendo legittimo l’operato del Ministero della Giustizia. Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha quindi impugnato tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato.
42 Il Consiglio di Stato ritiene che la direttiva 89/48 non si applichi al caso del sig. C., il quale non avrebbe ottenuto in Spagna alcun «diploma», ai sensi dell’art. 1, primo comma, lett. a), della direttiva 89/48 e fonda la sua domanda esclusivamente su qualifiche italiane. Il Consiglio di Stato nutre tuttavia dubbi a tale riguardo.
43 In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere la decisione e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la Direttiva 89/48/CEE si applica al caso di un cittadino italiano il quale:
– ha conseguito la laurea triennale in ingegneria in Italia;
– ha ottenuto l’omologazione del titolo italiano al corrispondente titolo spagnolo;
– ha ottenuto l’iscrizione all’albo spagnolo degli ingegneri ma non ha mai esercitato quella professione in Spagna, [e]
– ha richiesto in base al titolo di omologazione spagnolo l’iscrizione all’albo degli ingegneri in Italia.
2) In caso di risposta affermativa al primo quesito, se sia compatibile con la Direttiva 89/48/CEE la norma interna (art. l del Decreto Legislativo n. 115 del 1992) che non consente il riconoscimento in Italia di un titolo di un Paese membro a sua volta frutto esclusivo del riconoscimento di un precedente titolo italiano».
Sulle questioni pregiudiziali
44 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se possano invocarsi le disposizioni della direttiva 89/48 per accedere ad una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante, da parte del titolare di un titolo rilasciato da un’autorità di un altro Stato membro che non sanzioni alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro e non si fondi né su un esame né su un’esperienza professionale acquisita in detto Stato membro.
45 Per poter risolvere tale questione, occorre esaminare se il riconoscimento di un titolo come quello oggetto della causa principale ricada nella sfera di applicazione della direttiva 89/48.
46 Con riserva delle disposizioni di cui all’art. 4 della direttiva 89/48, l’art. 3, primo comma, lett. a), della direttiva medesima conferisce ad ogni richiedente che sia titolare di un «diploma», ai sensi della stessa direttiva, che gli consente di esercitare una professione regolamentata in uno Stato membro, il diritto di esercitare la medesima professione in ogni altro Stato membro. La nozione di «diploma», definita dall’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48, costituisce pertanto la chiave di volta del sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore previsti dalla stessa direttiva.
47 Quanto alle qualifiche che fa valere il sig. C., occorre ricordare, anzitutto, che il «diploma», ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48, può essere costituito da un insieme di titoli.
48 Il requisito previsto dall’art. 1, lett. a), primo trattino, della direttiva 89/48, poi, è soddisfatto per quanto riguarda i titoli che fa valere il sig. C., atteso che ciascuno di tali titoli è stato rilasciato da un’autorità competente, designata conformemente alle disposizioni normative, rispettivamente, italiane e spagnole.
49 Per quanto riguarda il requisito previsto dall’art. 1, lett. a), secondo trattino, della direttiva 89/48, dagli atti trasmessi alla Corte risulta manifesto che il sig. C. soddisfaceva la condizione secondo cui il titolare deve aver seguito con successo un ciclo di studi post-secondari di una durata minima di tre anni in un’università. Tale circostanza, infatti, è espressamente attestata dal titolo di studi rilasciato all’interessato dall’Università di Torino.
50 Per quanto riguarda, peraltro, il requisito previsto dall’art. 1, lett. a), terzo trattino, della direttiva 89/48, dal certificato di omologazione redatto dal Ministero dell’Educazione e delle Scienze risulta che il sig. C. è in possesso delle qualifiche professionali richieste per accedere ad una professione regolamentata in Spagna. Anche a voler ritenere che tale elemento non risulti espressamente da detto certificato, esso si evince chiaramente dall’iscrizione del sig. C. all’albo dell’ordine professionale competente in Spagna.
51 Resta da chiarire se, atteso che il certificato di omologazione di cui fa stato il sig. C. non sanziona alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione spagnolo e non si fonda né su di un esame né su di un’esperienza professionale acquisita in Spagna, l’insieme dei titoli in suo possesso può tuttavia essere considerato come un «diploma» ai sensi della direttiva 89/48 ovvero può essere assimilato a un diploma siffatto in forza dell’art. 1, lett. a), secondo comma, della direttiva 89/48.
52 In tale contesto, non possono essere accolti gli argomenti dedotti dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri nonché dai governi italiano ed austriaco, fondati sul tenore letterale di talune versioni linguistiche della direttiva 89/48, che divergono puntualmente, come si è rilevato ai punti 7, 9, 11 e 12 della presente sentenza, da quelli delle altre versioni linguistiche nel menzionare i termini «altro Stato membro» laddove la maggioranza delle versioni linguistiche contiene semplicemente l’indicazione delle espressioni «Stato membro» o «Stato membro ospitante».
53 A tale riguardo, infatti, risulta da costante giurisprudenza che la necessità di applicare e, quindi, di interpretare il diritto comunitario in modo uniforme esclude che, in caso di dubbio, il testo di una disposizione possa essere considerato isolatamente in una delle sue versioni, ma esige, al contrario, che esso sia interpretato ed applicato alla luce dei testi redatti nelle altre lingue ufficiali (sentenze 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder, Racc. pag. 419, punto 3; 2 aprile 1998, causa C‑296/95, EMU Tabac e a., Racc. pag. I‑1605, punto 36, e 9 marzo 2006, causa C‑174/05, Zuid-Hollandse Milieufederatie e Natuur en Milieu, Racc. pag. I‑2443, punto 20).
54 Peraltro, se è pur vero che si è statuito che la direttiva 89/48 non contiene alcuna limitazione per quanto riguarda lo Stato membro in cui un richiedente deve aver acquisito le sue qualifiche professionali (sentenze 23 ottobre 2008, causa C‑274/05, Commissione/Grecia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 28, e causa C‑286/06, Commissione/Spagna, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 62), tale giurisprudenza pone tuttavia una distinzione tra il luogo geografico in cui si svolge una formazione e il sistema di istruzione di cui essa fa parte. Infatti, in tali sentenze, gli interessati avevano seguito formazioni previste da un sistema di istruzione diverso da quello dello Stato membro in cui intendevano avvalersi delle loro qualifiche professionali.
55 La direttiva 89/48 mira a sopprimere gli ostacoli all’esercizio di una professione in uno Stato membro diverso da quello che ha rilasciato il titolo che attribuisce le qualifiche professionali in oggetto. Dal primo, terzo e quinto ‘considerando’ di detta direttiva risulta che un titolo che sancisca formazioni professionali non può essere assimilato ad un «diploma» ai sensi della stessa direttiva in assenza dell’acquisizione, totale o parziale, delle qualifiche nel contesto del sistema dell’istruzione dello Stato membro che ha rilasciato il titolo de quo. La Corte ha peraltro già avuto modo di sottolineare che un titolo facilita l’accesso ad una professione ovvero il suo esercizio in quanto attesti il possesso di una qualifica supplementare (v., in tal senso, sentenze 31 marzo 1993, causa C‑19/92, Kraus, Racc. pag. I‑1663, punti 18‑23, e 9 settembre 2003, causa C‑285/01, Burbaud, Racc. pag. I‑8219, punti 47‑53).
56 Orbene, l’omologazione spagnola non attesta alcuna qualifica supplementare. Al riguardo, né l’omologazione né l’iscrizione all’albo di uno dei «colegios de ingenieros técnicos industriales» di Catalogna si sono fondate sulla verifica delle qualifiche o delle esperienze professionali acquisite dal sig. C..
57 Accettare, in tale contesto, che la direttiva 89/48 possa essere invocata al fine di beneficiare dell’accesso alla professione regolamentata nella causa principale in Italia si risolverebbe nel consentire ad un soggetto che abbia conseguito esclusivamente un titolo rilasciato da tale Stato membro che, di per sé, non dà accesso a detta professione regolamentata di accedervi egualmente, senza che tuttavia il titolo di omologazione conseguito in Spagna attesti una qualifica supplementare o un’esperienza professionale. Un siffatto risultato sarebbe contrario al principio sancito dalla direttiva 89/48, ed enunciato al suo quinto ‘considerando’, secondo cui gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire il livello minimo di qualifica necessario allo scopo di garantire la qualità delle prestazioni fornite sul loro territorio.
58 Dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che l’art 1, lett. a), della direttiva 89/48 deve essere interpretato nel senso che la definizione della nozione di «diploma» che esso prevede non include il titolo rilasciato da uno Stato membro che non attesti alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro e non si fondi né su di un esame né su di un’esperienza professionale acquisita in detto Stato membro.
59 Di conseguenza, la prima questione deve essere risolta nel senso che le disposizioni della direttiva 89/48 non possono essere invocate, al fine di accedere ad una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante, da parte del titolare di un titolo rilasciato da un’autorità di un altro Stato membro che non sanzioni alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro e non si fondi né su di un esame né su di un’esperienza professionale acquisita in detto Stato membro.
60 In considerazione della risposta data alla prima questione, non occorre procedere alla soluzione della seconda.
Sulle spese
61 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
Le disposizioni della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni, non possono essere invocate, al fine di accedere ad una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante, da parte del titolare di un titolo rilasciato da un’autorità di un altro Stato membro che non sanzioni alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro e non si fondi né su di un esame né su di un’esperienza professionale acquisita in detto Stato membro.
Firme