S’intitola “Quando l’Italia perse la faccia” – L’orrore giudiziario che travolse Enzo Tortora, il libro-intervista che il penalista Raffaele della Valle ha scritto insieme con il giornalista Francesco Kostner, per i tipi di Luigi Pellegrini Editore, in occasione del quarantennale dell’arresto del presentatore genovese, avvenuto il 17 giugno 1983 su ordine della Procura di Napoli.
Il volume, che sarà disponibile in tutte le librerie a partire dal 15 giugno, ricostruisce la vicenda giudiziaria che travolse Tortora con l’accusa di far parte della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo e con un ruolo di primissimo piano nel traffico della droga gestito dall’organizzazione criminale napoletana. Responsabilità gravissime e infamanti, apparse subito prive di fondamento (“Il più grande esempio di macelleria giudiziaria del nostro Paese”, definì il caso Giorgio Bocca), ma che non impedirono a Tortora, di essere condannato in primo grado a dieci anni di reclusione. Un’assurda e indimostrata impalcatura probatoria che cadde miseramente nel processo di Appello, conclusosi il 15 settembre 1986, per poi essere definitivamente smentita dalla Corte di Cassazione.
Oggi, per la prima volta in modo compiuto ed analitico, l’avvocato della Valle, che fece parte del collegio difensivo di Tortora insieme con il professor Alberto Dall’Ora e l’avvocato Antonio Coppola, racconta la storia giudiziaria assurta nell’immaginario collettivo a simbolo di una Giustizia contraria ai principi costituzionali e alle fondamentali regole di un equo ed equilibrato processo penale.
Raffaele della Valle, Raffaele Della Valle (Acqui Terme, 1939), laureato in Giurisprudenza all'Università Cattolica di Milano, è uno dei maggiori penalisti italiani. Segretario della Gioventù liberale a Monza dal 1959 al 1970, è stato Consigliere comunale nella stessa città dal 1970 al 1983 e membro del Consiglio nazionale del PLI. Ha altresì svolto le funzioni di vice Pretore onorario presso il Tribunale di Monza. Nel 1994 è stato eletto deputato nelle file di Forza Italia, di cui è stato capogruppo, quindi vice Presidente della Camera. Ha fatto parte della Commissione Giustizia di Montecitorio, nella quale ha svolto l'attività di relatore per il disegno di legge sulla custodia cautelare, ed è stato altresì membro della Commissione Stragi. Nel 1983 ha difeso, con gli avvocati Alberto Dall'Ora e Antonio Coppola, il presentatore Enzo Tortora, ingiustamente accusato di essere affiliato alla camorra e assolto con formula piena dopo una lunga e drammatica vicenda giudiziaria. Della Valle è stato protagonista di importanti processi italiani di cronaca nera: tra gli altri, quello della modella americana Terry Broome, imputata per l'omicidio del ricco rampollo romano Francesco D'Alessio; quello nei confronti del militare italo-ucraino Vitalij Markiv, accusato dell'uccisione del fotocronista autonomo Andrea Rocchelli, nonché quello dell'ex dissidente sovietico Andrej Mironov, assolto con formula piena e con sentenza passata in giudicato.
Francesco Kostner, giornalista, formatosi nella redazione cosentina del quotidiano Gazzetta del Sud, dal 2008 al 2017 è stato responsabile Relazioni esterne e Comunicazione e capo Ufficio stampa dell’Università della Calabria. Ha pubblicato con Gianni De Michelis La lunga ombra di Yalta (3a ed. Marsilio, 2003) e La lezione della Storia - Sul futuro dell’Italia e le prospettive dell’Europa (Marsilio, 2013); con Enzo Paolini Agguato a Giacomo Mancini - Storia di un processo per ’ndrangheta senza prove (Rubbettino, 2011); con Costantino Belluscio Con Saragat al Quirinale (Marsilio, 2004); con Gerardo Sacco Sono Nessuno! - Il mio lungo viaggio tra arte e vita (2a ed. Rubbettino, 2017). Per i nostri tipi ha pubblicato, tra gli altri, la sfida di Altomonte – Costantino Belluscio tra arte, spettacolo e cultura (2015); La borsa o la vita? - Ripensare la società dopo il Covid-19 (2020); con Ettore Loizzo Confessioni di un Gran Maestro (2020); con Costantino Belluscio Il Vangelo secondo don Stilo - Il prete scomodo che per forza doveva essere mafioso (Pellegrini, 2020); il pamphlet Faccio quel che voglio e della legge me ne fotto! Intorno al concetto di delinquenza istituzionale (3a ed. 2021); con Roberto Castagna l’intervista Leader al contrario – libertà, giustizia sociale, tutela dei lavoratori (2022).
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Libero Mercoledì 31 Maggio 2023 Pagina 26 - LA GIUSTIZIA FALLACE CONTINUA A FALLIRE. IL CASO TORTORA RACCONTATO DAL SUO AVVOCATO - In un libro Raffaele della Valle ricostruisce la tragedia giudiziaria che coinvolse il famoso giornalista «Sciatteria, pressapochismo, inosservanza delle norme processuali come durante l’Inquisizione...».
Di VITTORIO FELTRI
Il lettore dirà: ma allora è una fissazione. Ancora Enzo Tortora? La mia risposta è che finché avrò la forza di tenere un martello tra le mani, che in questo caso è metafora della macchina per scrivere ode suoi attuali surrogati cibernetici, lo picchierò come fa il batacchio sulla campana per ricordare la sua tremenda vicenda e rendere edotti i distratti che il sistema capace di stritolare un uomo perbene è ancora lì, intatto. Una macchina che si avvale di magistrati negligenti e bisognosi di fama in perfetta sincronia svizzera – nel senso dell’orologio – con la cricca di giornalisti cicisbei delle procure e – nel caso di Tortora – invidiosi di un collega mille volte più bravo di loro. L’occasione di riparlarne sta in un libro che consiglio vivamente. Lo ha scritto, sottoponendosi alle domande del preciso e capace Francesco Kostner, Raffaele della Valle (Quando l’Italia perse la faccia L’orrore giudiziario che travolse Enzo Tortora, Pellegrini editore, pagine 160, € 15. Prefazione di Salvo Andò. Posfazione di Santo Emanuele Mungari). Raffaele è stato il primo difensore di Tortora, identificato con il suo cliente al punto di soffrire quanto Enzo, una lacerazione del cuore e della mente che non gli ha tolto la lucidità del grande avvocato, come del resto fu magnifica la squadra dei legali del giornalista e conduttore televisivo (comprendeva, oltre al penalista monzese, Alberto Dall’Ora e Antonio Coppola). IL LAVORO DA CRONISTA Lo dico a ragion veduta. Ho seguito il processo a Napoli. E facendo il mio modesto lavoro di cronista non penzolante dalle labbra degli inquirenti, anzi inquisitori, ma propenso come prassi notturna a leggere le carte processuali invece che giocare al tavolo della noia con gli stimati colleghi specializzati in quelle da poker o da scopa, mi sono trovato a essere testimone angosciato di un’innocenza che zampillava come una fontana da quelle che avrebbero dovuto essere prove per inchiodare l’imputato. Esempio. I pubblici ministeri scovarono sull’agenda di un camorrista (tale Giuseppe Puca) il nome Tortora seguito da un numero. Mi dissi: provo. Dalla camera di hotel afferrai così la cornetta: mi rispose sgraziatamente e minacciosamente un “Tortona” napoletano. Mi stramaledisse, non era il fottutissimo Enzo. Erano così predisposti a incastrare Tortora, che interpretarono a comodo loro e delle loro tesi scombinate, la grafia di Puca. Incredibile? Normale. Nessuno aveva verificato nelle stanze dei giudici o della polizia giudiziaria la circostanza che demoliva l’accusa, e soprattutto documentava il pregiudizio di colpevolezza che in primo grado seppellì Tortora con una condanna a dieci annidi carcere. Ricordo lo sbiancare del volto di Raffaele, quando si udì la parola “Condanna!”. Stupore assoluto anche nel sottoscritto. Ma non è questo lo scampolo di memoria più amaro: la proclamazione della sentenza suscitò mugugni di soddisfazione in troppi cronisti che facevano sfacciatamente il tifo per i camorristi accusatori. Ci sono fatti che non si possono cancellare, e pesano ancora. Mi consola appena il rivedere, a pag. 122 del volumetto, la fotografia di della Valle in lacrime dopo la sentenza di assoluzione. (Chiarisco: non rivendico una superiorità morale rispetto ai gazzettieri, segugi da Procura, amanti della briscola e dell’azzardo: il fatto è che detesto quei passatempi, e li fuggo come la peste. Sono superiore nei passatempi, tutto lì). Il colloquio ha due fasi. La prima, divorante, è il racconto del caso Tortora, che tutti credono di conoscere, ma non è così. La copertina per scelta cosciente propone la fotografia più famosa, documenta l’immortalità di uno scempio. Tortora tra i carabinieri, inerme, in manette, dato in pasto ai precare i carnefici, penso a certi quadri raffiguranti la decapitazione di Giovanni Battista del Caravaggio, o il martirio di santa Cecilia ritratto da Guido Reni. LE STRANEZZE Dice della Valle: «La “sciatteria”, il pressapochismo, l’inosservanza delle norme processuali la fanno da padrone, tanto che, alla fine, si potrebbe concludere che ci fu un tempo (gli anni dal giugno 1983 all’estate 1986) in cui, inopinatamente, in un Tribunale Italiano, venne ripristinata, ovviamente con il consenso di una larga parte di opinione pubblica, l’inquisizione di manzoniana memoria. Di più. A leggere i verbali dei “quattro dell’Ave Maria”, ossia Pandico, Barra, Melluso, Margutti, nonché di altri ancora, e quello del cosiddetto confronto in dibattimento Melluso/Tortora, ci si accorge di essere, nella migliore delle ipotesi, in presenza di discorsi alla fratelli De Rege, noti comici degli anni ’30-’40 del secolo scorso, il cui repertorio venne ripreso tempo dopo dalla celebre coppia Walter Chiari e Carlo Campanini in una loro rappresentazione televisiva dal titolo “Vieni avanti cretino”. Eppure, nessuno, nonostante l’evidente falsità di tutto quanto andava in onda, nessuno ripeto si accorse di tante stranezze. Non si accorsero di nulla i Pm, altrettanto fecero i Giudici del Tribunale di Napoli, la più parte dei giornalisti compiacenti e, incredibile dictu, neppure una parte dell’avvocatura, la quale si guardò bene dal dare “un’occhiata” all’originale e personale sistema in uso sulla nomina del difensore di ufficio». Il problema è che – secondo Raffaele – non si è deciso a scardinare il sistema dell’ingiustizia ancora vigente e a ricostruire su fondamenta solide il palazzo della Giustizia. P.S. Ho ritrovato una citazione, che non commento. La traggo dal Processo di Franz Kafka. Il protagonista del romanzo, Josef K. durante la prima udienza dice: «Quello che mi è successo è sì un caso isolato, e come tale non molto importante, perché io non lo prendo molto sul serio, ma è il segno di un provvedimento che viene applicato verso parecchi altri. Io mi batto per costoro, non per me». Raffaele della Valle suona la campana per tutti.