ROMA - Ai dipendenti un punto in più di taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 20 mila euro lordi, oltre alla conferma dei 2 punti tagliati dal governo Draghi, e l'aliquota al 5 per cento per i premi di produttività. Agli autonomi la flat tax a 85 mila euro e lo stop alle multe per negozianti e professionisti che non accettano i pagamenti con carta al di sotto dei 30 euro. Ai pensionati un ridimensionamento di Opzione donna e una rivalutazione delle pensioni che utilizza un sistema meno favorevole rispetto agli scaglioni usati in precedenza (tranne che per gli assegni molto bassi). Una differenziazione di trattamento che viene contestata anche dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che ha affermato che «alcuni dipendenti iniziano a dire alle imprese che preferiscono passare alla partita Iva, perché così risparmiano sulle tasse». Mentre l'ex sottosegretaria all'Economia Maria Cecilia Guerra, ora deputata del Gruppo Pd-Idp, stigmatizza «lo spezzatino del sistema fiscale, in cui ogni categoria di persone ha la sua imposta», criterio iniquo e «non giustificabile da nessun punto di vista».
Non si tratta solo della flat tax «Non si capisce perché quello che va a raccogliere funghi o fa lezioni private debba avere un'aliquota più bassa rispetto a un lavoratore dipendente di una piccola impresa, che non può contare neanche sui premi di produzione», rileva Guerra. Ma non si tratta solo della flat tax: «C'è anche l'esenzione per i redditi agrari, ma perché? La semplificazione si ottiene solo con un sistema più razionale, e quindi più equo, in cui si rispetti il principio fondamentale per cui a pari reddito si paghi pari imposta».
Fuga verso la partita Iva Il rischio di una fuga dei dipendenti verso la partita Iva era stato segnalato anche con la flat tax a 65.000 euro: ad esempio in una rivista di settore il segretario generale Cisl Medici del Lazio Lucilla Boschero denuncia il sempre più frequente ricorso da parte delle Asl a medici con contratto libero professionale, per ricoprire posizioni da dipendente. E non si tratta dell'unica distorsione generata da questo tipo di regime fiscale: «La flat tax incita a occultare i ricavi per mantenere quelli dichiarati entro la soglia agevolata», denuncia Maria Cecilia Guerra.
Le perplessità degli autonomi Che ci possano essere distorsioni non lo negano neanche gli stessi autonomi. «La flat tax costituisce un impedimento alla crescita di uno studio professionale. - ammette Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni - Nessuno così è invogliato a investire su se stesso e a far crescere uno studio associato. E comunque i professionisti che hanno molte spese non possono applicare il forfettario, perché in quel caso sono vietate le detrazioni. La flat tax è adatta solo alle partite Iva con monocommittenza e con fatturati relativamente bassi». E di conseguenza, ipotizza Stella, il passaggio da 65.000 a 85.000 euro comporterà la scelta di questo regime fiscale da parte di non più di 40.000 autonomi.
Quanto all'iniquità della misura, e del trattamento di dipendenti e autonomi, Stella obietta che «i dipendenti hanno una detrazione fiscale quasi doppia rispetto agli autonomi (il riferimento è alla no-tax area, ndr ), e durante il periodo del Covid sono stati tutelati grazie ai sostegni e agli ammortizzatori sociali».
I sindacati: "Insufficiente" «Inaccettabile, iniquo, incompatibile con la Costituzione. - twitta Emilio Didone, segretario Fnp Cisl pensionati - Come si può ridurre le tasse solo agli autonomi con Iva mentre il lavoratore dipendente e pensionato, con lo stesso reddito, pagano tre volte tanto?». Mentre Michele De Palma, segretario generale della Fiom Cgil, non contesta la flat tax, ma chiede piuttosto un taglio più significativo del cuneo fiscale, in modo da ricavare risorse «da dare ai lavoratori dipendenti per contrastare l'inflazione e il caro energia». Una posizione analoga a quella del segretario generale della Fim Cisl Roberto Benaglia: «È chiaro che la detassazione dal 10 al 5% dei premi di risultato e un taglio di un punto del cuneo fiscale per i redditi più bassi sono misure insufficienti per i lavoratori dipendenti. Non possiamo pensare che il prossimo appuntamento per i lavoratori sia la legge di Bilancio del 2023: dobbiamo tornare a confrontarci subito con il governo, per reperire nuove risorse dal contrasto all'evasione fiscale e dagli extraprofitti, da utilizzare per far crescere il potere d'acquisto dei lavoratori ».
Proteste anche sui social Le contestazioni sull'iniquità della tassazione si inseguono anche sui social: «Un lavoratore dipendente che ha un reddito di 85.000 euro - si legge su Facebook - paga di Irpef 30.000 euro, 12.800 invece per i lavoratori autonomi e partite Iva. Ora, trovare una giustificazione e una logica, con una motivazione economica, è dura». «Le disuguaglianze si allargano », si legge su Twitter.