7 settembre 2021- Con ordinanza 22170 del 2021, la Corte di Cassazione, in continuità con l’orientamento più recente, ha ribadito che i giornalisti pensionati possono lavorare senza limite di cumulo tra pensione di anzianità e reddito (Ordinanza n.22170/2021).
La Corte di Appello di Brescia ha confermato la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda di un giornalista in pensione per la restituzione delle somme illegittimamente decurtate dall’INPGI sulla pensione di anzianità in godimento sul presupposto dell’inapplicabilità delle regole sul cumulo della pensione con i redditi da lavoro valide per le forme previdenziali pubbliche. Tali trattenute erano state operate in applicazione dell’articolo 15 del regolamento INPGI che prevede, in caso di reddito lavorativo superiore ad euro 20.000, la riduzione della pensione di anzianità del 50%.
La Corte territoriale ha ritenuto inapplicabile la disciplina richiamata dall’Istituto a fondamento delle trattenute, per essere il Fondo sostitutivo regolato dall’articolo 44, comma 1, della legge n. 289 del 2002 e non invece dal comma 7 (concernente solo gli enti previdenziali privatizzati diversi che gestiscono forme di previdenza sostitutive) e, alla stregua di tali argomentazioni, ha disapplicato l’articolo 15 del regolamento INPGI.
Contro tale sentenza l’INPGI, ha proposto ricorso, rigettato sulla base delle seguenti motivazioni.
In continuità con l’orientamento più recente della Corte di Cassazione (Cass. n. 21470 del 2020 e n. 19573 del 2019), si è riaffermato che la norma regolatrice della fattispecie ratione temporis di cui all’art. 72, comma 2, legge n. 388/2000 poi esteso dall’art. 44, comma 2, legge n. 289 del 2002, è tale da legittimare l’interpretazione della stessa nel senso che il regime di cumulo tra pensione di anzianità e redditi da lavoro dalla stessa introdotta operi identicamente per la previdenza sociale obbligatoria e per le forme sostitutive della stessa anche ove gestite da enti privatizzati cosicché la stessa previsione possa rappresentare quella «norma espressa» che lo stesso INPGI sostiene essere necessaria perché la disciplina dettata per i trattamenti pensionistici gestiti dall’AGO sia applicabile all’Istituto medesimo.
Questa interpretazione, non appare in contrasto con la pronunzia resa dalla Corte (sentenza n. 17589 del 2015), riferita alla lettura da darsi alla disciplina sul contenimento della spesa pensionistica di cui al d.l. 6.12.2011 n. 201, lettura per la quale la sancita non estensibilità, del riferimento alle forme esclusive e sostitutive dell’AGO, a quelle gestite dagli enti privatizzati, lungi dal valere come criterio interpretativo generale, per cui quella formula non comprenderebbe, in ogni caso, le forme previdenziali gestite dagli enti privatizzati si giustifica con specifico riferimento a quella normativa, recante il regime degli enti privatizzati gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza regolato in apposita sede.
La sentenza n. 19573 del 2019 cit. ha peraltro riaffermato, nel solco di Cass. n.1098 del 2012, che l’autonomia finanziaria dell’INPGI non va enfatizzata giacché non è integrale, soccorrendo in alcuni casi nei confronti dei suoi iscritti la fiscalità generale (arg. ex art. 37, comma 1- bis, legge n. 416 del 1981, quanto all’onere annuale sostenuto dall’INPGI per i trattamenti di pensione anticipata e l’accesso al trattamento della pensione di vecchiaia ordinaria da parte dei beneficiari dei predetti trattamenti al compimento dell’età prescritta). Pertanto, conformemente a tale orientamento la sentenza impugnata ha disapplicato l’art. 15 del Regolamento dell’INPGI che disciplina la materia del cumulo tra reddito da lavoro e trattamento pensionistico difformemente da quanto previsto nel regime relativo all’AGO.