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Cassazione: perché sulle minacce di Francesco De Carolis al giornalista Paolo Borrometi ci sarà un nuovo processo d’appello bis a Catania che riguarderà l’aggravante del metodo mafioso.

13.7.2021 - La quinta sezione penale della Cassazione ha spiegato perché sulle minacce di Francesco De Carolis al giornalista Paolo Borrometi, vicedirettore dell’AGI, ci sarà un nuovo processo d’appello bis a Catania che riguarderà l’aggravante del metodo mafioso. I supremi giudici di piazza Cavour hanno accolto il ricorso del Procuratore Generale di Catania per l'erroneo mancato riconoscimento proprio di questa aggravante. Le tesi del P.G. catanese sono state poi condivise dal sostituto Procuratore Generale della Suprema Corte Giovanni Di Leo e dalle parti civili costituite nel processo, cioé oltre a Borrometi, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, la Fnsi e l’Ordine dei giornalisti della Sicilia.  La Cassazione con sentenza n. 24571 del 23 giugno 2021, cliccare su  http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20210623/snpen@s50@a2021@n24571@tS.clean.pdf , ha così annullato con rinvio la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Catania il 4 aprile 2019, che aveva condannato De Carolis a 2 anni, 4 mesi e 20 giorni di reclusione per tentata violenza privata senza, però, applicare anche l’aggravante del metodo mafioso, che era stata, invece, ritenuta sussistente in primo grado dal tribunale di Siracusa nel 2018, quando l'imputato era stato condannato a 2 anni e 8 mesi. Tra breve sarà quindi rifissato il procedimento d’appello bis a Catania. La Suprema Corte ha tenuto a ribadire che "ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 7, legge n. 203 del 1991, è necessario l'effettivo ricorso, nell'occasione delittuosa, al metodo mafioso, il quale deve essersi concretizzato in un comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare sulle vittime del reato la particolare coartazione psicologica evocata dalla norma menzionata e non può essere desunto dalla mera reazione delle stesse vittime alla condotta tenuta dall'agente. In particolare, in riferimento all'aggravante in parola, deve essere sottolineata l'immediata riconducibilità delle intimidazioni ad una matrice criminale qualificata, ben nota alle persone offese anche in riferimento al profilo soggettivo dell'agente, in quanto legato ad ambiente criminale per stretti vincoli familiari. In tal senso, risulta esplicitata una modalità della condotta che evoca la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso riconosciuta come tale dalle vittime e non già dalle stesse meramente supposta, oltre che caratterizzata da un legame immediato con l'azione criminosa, in quanto logicamente funzionale alla più pronta ed agevole perpetrazione del crimine. E comunque, il reato può essere aggravato dal metodo mafioso quando sia utilizzato un messaggio intimidatorio anche silente, cioè privo di esplicita richiesta, purché l'agente faccia riferimento ad associazione che ha raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia".





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