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INPGI, LA FIEG VERO CONVITATO DI PIETRA NELLA CRISI DELLA PREVIDENZA DEI GIORNALISTI. Sono loro, da sempre, i veri convitati di pietra della crisi previdenziale dei giornalisti. E come tutti i convitati di pietra, evitano di apparire. Ma ci vuole davvero poco per sorprenderli nelle loro manovre: sono gli editori della Fieg. Almeno dal 2009 hanno lucrato sugli stati di crisi cosiddetti prospettici eliminando dai radar un’intera generazione di giornalisti e precarizzando le redazioni con l’innesto di figure ibride, non garantite, ricattabili sul versante etico-deontologico-professionale e su quello economico.

di Carlo Chianura/Puntoeacapo

30.6.2021 - Se ci fossero ispezioni continuative nelle redazioni piccole, medie e grandi si scoprirebbero situazioni di degrado e di illegalità e conseguentemente si dovrebbero sanare a norma di legge migliaia di rapporti di lavoro, trasformandoli da finto-autonomi a contratti a tempo indeterminato. Non si fanno, queste ispezioni, perché oggettivamente molte aziende chiuderebbero i battenti. Ma invece di reagire a questo stato di irregolarità se non di illegalità come fanno le imprese sane, cioé ricorrendo al proprio patrimonio o indebitandosi e facendo investimenti di trasformazione esattamente come è avvenuto e avviene nel resto d’Europa, gli editori preferiscono restare nella loro ridotta e casomai aumentarsi i compensi.


Ma i punti che vorremmo affrontare oggi sono due e riguardano un unico tema: per quale motivo la Fieg preferisce mantenere lo status quo previdenziale. Non parlano, ma magari in futuro li sentirete invocare la difesa dell’autonomia previdenziale della professione, potrebbero spingersi a citare l’articolo 21 della Costituzione.


Il primo punto è che loro, nell’Inpgi, ci stanno benissimo. Anche a dispetto delle condizioni disperate del patrimonio e della cassa un tempo floridi dell’istituto. La causa è persino banale: non si devono toccare gli equilibri e le regole perché tra quest’anno e il 2022 la Fieg si prepara a espellere altre centinaia di colleghi, con questo mettendo definitivamente in ginocchio l’Inpgi.


E allora, se putacaso dovessero applicarsi le regole Inps alle pensioni anticipate, si perderebbe il privilegio che finora gli editori hanno avuto di mandare a casa giornalisti di 62 anni (fino a poco tempo fa erano 58, ma loro non disperano su un ritorno al passato) con soli 25 anni e 5 mesi di contributi. Mettetevi nei loro panni: a dicembre 2021 scade Quota 100 Inps (62 anni di età e ben 38 di contributi); avete urgenza di disfarvi di centinaia di stipendi garantiti dall’epoca in cui la Fnsi faceva i contratti. Che fate, allora? Accettate le regole Inps, con Quota 100 in via di scadenza, quando potete vantare una meravigliosa (e migliorabile, ah, ci fosse ancora Martella…) Quota 87,5 Inpgi (62 anni di età e 25,5 di contributi)?


E allora le due debolezze si sorreggono: alla Fieg fa comodo sfruttare le pieghe della 416, cosa possibile mantenendo in piedi l’attuale sistema, alla maggioranza Inpgi-Fnsi mantenere la propria rendita di posizione. E la salute, la stessa sopravvivenza, dell’Istituto nazionale di previdenza? Chissene…


Il secondo punto su cui vorremmo sollecitare l’attenzione ha dell’incredibile e propone una contraddizione insanabile. Da anni si parla della possibilità che i cosiddetti comunicatori (addetti agli Uffici relazioni col pubblico, impiegati e funzionari non giornalisti degli uffici stampa e delle agenzie di comunicazione) entrino dal 2023 nell’Inpgi. Tralasciamo che non si sa quanti sono gli interessati e che tanti di questi lavoratori hanno già urlato indisponibilità verso questi ingressi.


La notizia clamorosa è che la Fieg sta facendo circolare riservatamente la voce che a entrare nei prossimi anni potrebbero essere TUTTI gli addetti delle case editrici. Si parla di 30.000 nuovi contribuenti. Sembra che questa voce sia giunta sia all’Inps che agli irritati sindacati confederali. Ed è arrivata naturalmente ai vertici Inpgi-Fnsi che in questo modo sono blanditi da questa fausta eventualità e che non farebbero tante storie sul certo (l’uscita di nuovi prepensionati) in cambio di un incerto-eventuale.


Ma la contraddizione insanabile è questa: come si concilia la strenua difesa della unicità e della insostituibilità dell’Inpgi con il fatto che con l’ingresso di una massa superiore al doppio dei giornalisti attivi si modificherebbe geneticamente l’ente? Il quale dunque smetterebbe di essere l’istituto di previdenza dei giornalisti e anzi di fatto smetterebbe di esistere in quanto tale. Bel rebus per gli estremisti cadregari che oggi gridano “Giù le mani dall’Inpgi”, no?





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