6.2.2021 - Era un mondo di fiaba e di poesia,di gusto della bellezza,di attenzione popolare alla realtà contadina e di sensibilità umana profonda, quello di Pepi Merisio, il grande fotografo di origine caravaggina, morto nei giorni scorsi nella sua abitazione a Bergamo, a 90 anni. E' stato sicuramente uno dei maggiori fotografi italiani del ‘900: ha lasciato testimonianze gigantesche – un centinaio e più di volumi fotografici – e soprattutto il segno di un uomo speciale, aperto alla realtà minore, quella sconosciuta della povera gente, dei paesi, dei borghi, e, principalmente, di una Italia tutta da vedere, da ammirare e da amare nella più intima verità.
Pepi ha guadagnato, nella sua lunga esperienza, una «montagna» di premi e di riconoscimenti, a livello nazionale e internazionale, lui che era diventato fotografo professionista, dopo essere stato per parecchi anni, in gioventù, un autodidatta, nato con il gusto della immagine, perfezionatosi nel tempo, sviluppatosi ad altissimi livelli con prestazioni presso autorevoli riviste italiane e straniere.
Era nato a Caravaggio nel 1931, da una stimata famiglia locale: aveva cominciato ad occuparsi di fotografia all’età di 16 anni, dapprima come amatore, poi via via come fotografo sempre più impegnato e soprattutto autonomo e personalissimo, innamorato del Bello e della armonia della semplicità.
Le prime esperienze erano state avviate nella collaborazione con il Touring Club Italiano. Erano seguite collaborazioni da fotoreporter con le riviste più note dell’epoca, tra gli anni 50 e 70: da «Camera» a «Du» a «Realité» a «Look» a «Paris Match» a «Stern» ed anche a «Famiglia Cristiana».
L' attività di professionista dell’immagine era cominciata formalmente nel 1962 quando aveva cominciato a collaborare alla rinomata rivista «Epoca», una delle più significative nella storia editoriale italiana, dove aveva pubblicato servizi di alto livello, mettendo insieme una serie di immagini che lo condussero ad un prestigioso servizio dal titolo “Una giornata col Papa», nel 1964. Da quel momento aveva avviato un lavoro costante con Paolo VI, seguendolo nei suoi viaggi, alla pari del pittore trevigliese, conterraneo, Trento Longaretti che, a livello di dipinti, aveva partecipato con presenze continue ai viaggi pastorali internazionali di Paolo VI. Pepi ha rivelato fin da allora la profonda sensibilità cristiana, di forte credente.
E’ difficile ricordare tutte le opere che ha realizzato e lasciato: dalla collaborazione con l’amico scultore Floriano Bodini, a quello con i numeri fotografici di «Du» sul Vaticano e sull’Italia cattolica, insomma un procedere ininterrotto di collaborazioni di livello superiore.
Con quali gusti e con quale stile? Il gusto era quello di una indagine gioiosamente fiabesca, ma non per nulla irreale, che comprendeva campagne e paesi nascosti; lo stile era di un professionista che amava l’immagine attraverso la quale «parlava», ossia stabiliva un diretto e immediato rapporto con il lettore. Pepi ha raccontato non solo la terra bergamasca, anche e soprattutto l’Italia intera: tanto per citare, rive deserte di fiumi, tonnare al largo della Sicilia, uomini al lavoro, angoli i più significativi, curiosi e originali della nostra Italia.
Insomma, un genuino, autentico poeta dell’immagine, amico di Ermanno Olmi, con il quale condivideva tipicità socio-culturali, dalla visione della gente umile allo stile di racconti profondamente umani.
Considerato uno dei maggiori fotoreporter a livello internazionale, ha dedicato i suoi scatti al valore della immagine, dandole un significato pieno, di totale partecipazione, con purezza di stile e proprietà di linguaggio.
Insomma, un personaggio di profilo alto, un galantuomo sotto tutti gli aspetti, un artista capace di immedesimarsi nella realtà e soprattutto di raccontarla con serenità, immediatezza e poesia: questa fu sicuramente la sua cifra culturale più significativa, nonché la più coinvolgente per tutti i suoi ammiratori, e sono migliaia. Nel 2019 Bergamo gli ha dedicato una mostra dal titolo «Guardami» al Museo della Fotografia Sestini. In quell’occasione Denis Curti nella introduzione al catalogo della mostra aveva scritto tra l’altro: «Nel suo mirino ci sono sempre il lavoro nei campi, il paesaggio e la vita delle comunità ancorate ai cicli delle stagioni».
Proprio così, le stagioni del vivere sono state per Pepi l’esempio e il traino di un racconto di bellezza infinita, espresso con amore, passione e sapienza figurativa.