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APPELLO AL GOVERNO PER UN INTERVENTO CHE METTA DAVVERO IN SICUREZZA LE PENSIONI DEI GIORNALISTI ITALIANI. L'Inpgi può garantire solo 2 anni di pagamento delle prestazioni in base alla riserva tecnica, ma la liquidità potrebbe finire molto prima. Chiediamo alle istituzioni di valutare ogni soluzione capace di assicurare la pensione a tutti i giornalisti italiani. A partire dalla possibilità di un ritorno alla garanzia pubblica sull’Inpgi, come prima della legge di privatizzazione del 1994.

Illustri signore e signori, scrivo a nome dei Consiglieri di amministrazione e dei Consiglieri generali dell'Inpgi che non si riconoscono nella maggioranza che guida attualmente l'Istituto di previdenza dei giornalisti italiani.Allego a questa mail un appello per la messa in sicurezza delle pensioni della nostra categoria. Abbiamo ritenuto doveroso farVi conoscere le nostre considerazioni dopo che i Consiglieri di maggioranza Vi hanno inviato, nei giorni scorsi, un documento non presentato né discusso nel Consiglio generale dell'11 novembre.


La gestione principale dell’Inpgi, che assicura i giornalisti lavoratori subordinati, è l’unico ente sostitutivo dell'Inps in Italia tra tutte le Casse previdenziali privatizzate, come prevede la legge Rubinacci del 1951 tuttora in vigore. Nel 2020, per il decimo anno consecutivo, la sua gestione previdenziale chiuderà in pesante squilibrio, con un bilancio in perdita per il quarto esercizio consecutivo. Proprio la gravità della situazione necessita, a nostro parere, di un intervento urgente e risolutivo da parte delle Istituzioni.


Vi ringrazio per l’attenzione, anche a nome dei miei colleghi. Cordiali saluti,


Daniela Stigliano (Cda Inpgi)


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APPELLO A PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E MINISTERI VIGILANTI (Economia e  Lavoro).


L’Inpgi può garantire, in base alla riserva tecnica, appena 2 anni di pagamento delle pensioni correnti. Ma la liquidità necessaria per far fronte alle prestazioni previdenziali e alle altre spese dell’Istituto potrebbe finire molto prima. Ecco perché noi, consiglieri di amministrazione e consiglieri generali dell’Inpgi che non ci riconosciamo nella maggioranza che guida l’Istituto, rivolgiamo un appello diretto alla Presidenza del Consiglio e ai Ministeri vigilanti del Lavoro e dell’Economia e delle Finanze perché ricerchino e percorrano con urgenza ogni soluzione necessaria per mettere al sicuro e garantire davvero le pensioni dei giornalisti italiani. Il bilancio di assestamento della gestione sostitutiva dell’Ago per il 2020, approvato (a maggioranza) dal Consiglio di amministrazione il 5 novembre e dal Consiglio generale l’11 novembre, presenta uno squilibrio previdenziale di 197 milioni di euro e un rosso di bilancio di 253 milioni di euro.


Il preventivo 2021 ipotizza una perdita a fine anno pari a 225 milioni, nonostante sia stato redatto con dati previsionali di entrate contributive che non hanno tenuto conto del peggioramento dell’occupazione giornalistica, senza peraltro intervenire in alcuna maniera sui costi, sulla governance e sulle uscite. Entrambi i bilanci, come quelli degli ultimi anni, sono a nostro parere figli di una gestione politica dell’Istituto non responsabile e profondamente sbagliata. Così come di una responsabilità dei Ministeri vigilanti che, di fronte agli allarmi lanciati dalla Corte dei Conti sul progressivo e sempre più grave squilibrio della gestione previdenziale e a bilanci in utile solo grazie alla rivalutazione degli immobili, hanno tardato a intervenire perché l’Istituto affrontasse e superasse la crisi, aggravando inoltre i suoi conti con il rifinanziamento delle norme sui prepensionamenti.


L’unica ipotesi in discussione sul tavolo governativo avviato a inizio febbraio con i vertici dell’Inpgi risulta essere l’allargamento della platea contributiva dell’Istituto con l’ingresso di nuove figure professionali, come indicato nel comma 2 dell’articolo 16-quinquies del Decreto Crescita convertito in legge a luglio 2019, che sarebbero individuate nei “comunicatori”. La richiesta della maggioranza dell’Inpgi è di un anticipo dell’ingresso di tali figure professioni dal 2023 (come previsto dalla legge) al 2021.


Noi crediamo che allargare la platea dei contribuenti sia corretto, partendo prima di tutto dalla regolarizzazione dei tanti iscritti all’Ordine dei giornalisti che esercitano l’attività ma versano i propri contributi previdenziali all’Inps e dai tanti falsi collaboratori che le aziende editoriali si rifiutano di stabilizzare come lavoratori dipendenti. Riteniamo però che la soluzione dell’ingresso di altre figure professionali vada valutata con numeri certi rispetto alla reale possibilità di un equilibrio finanziario dell’Ente a medio-lungo termine, anche di fronte alla chiara opposizione dei comunicatori a un loro ingresso nell’Inpgi.


Ecco perché non è utile né risolutivo fermarsi a questa unica ipotesi. Chiediamo quindi al Governo e ai Ministeri vigilanti di valutare urgentemente, con responsabilità e massima trasparenza, ogni soluzione capace di assicurare la pensione a tutti giornalisti italiani. A partire dalla possibilità di un ritorno alla garanzia pubblica sull’Inpgi, come prima della legge di privatizzazione del 1994





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