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La vittoria del web e la fine dell’urbanesimo (al tempo del coronavirus).

di Massimo Nava

24.3.2020 - La storia economica e politica del dopoguerra è stata fortemente condizionata dal possesso e dal controllo delle materie prime. Il petrolio ha scatenato conflitti, fatto e disfatto alleanze, mosso enormi capitali, influito sui prezzi e quindi sul tenore di vita di miliardi di esseri umani.


Nel terzo millennio, entrano in scena i giganti del web, il cui fatturato in continua crescita vale il prodotto interno di Stati di medie dimensioni. Google, Facebook, Amazon, Microsoft, Booking, Netflix “servono” miliardi di utenti, sono possessori di miliardi di dati, condizionano il mercato pubblicitario, sono i padroni delle notizie vere e di quelle false, hanno progettato una propria moneta, hanno tramortito il giornalismo e sono infatti il veicolo principale dell’informazione politica ed economica, utilizzato da leader, capi di stato, partiti, società, organizzazioni internazionali.


La rivoluzione è sotto gli occhi di tutti, ma le conseguenze sulla vita di ogni essere umano non sono ancora comprese nella loro dimensione e nel loro stadio successivo e prossimo. I giganti del web “servono” miliardi di utenti, ma in realtà utilizzano miliardi di dati. Noi utenti siamo fedeli dipendenti che, navigando ogni giorno in rete, forniamo alla casa madre notizie sui nostri consumi, gusti, spostamenti, idee, comportamenti. Nonostante la presunta sacralità della privacy, siamo laboriosi operai di una catena di montaggio virtuale, illusi di padroneggiare notizie e informazioni quando invece le regaliamo.


La tragica epidemia che stiamo vivendo ha dato un formidabile colpo di acceleratore alla rivoluzione. L’epidemia è stata paragonata a una guerra mondiale, per le macerie che lascerà nell’economia e nelle società. Di colpo, ha fatto saltare regole e parametri della finanza pubblica, costringendo governi e istituti internazionali a gigantesche iniezioni di denaro. Ma l’epidemia ha innanzi tutto rivoluzionato la nostra vita personale, costringendoci a casa, e ha annientato la dimensione urbana, desertificando le nostre città e consegnando alla storia il vuoto angosciante di piazze e monumenti senza presenza umana, come se il computer graphic avesse fatto un lavoro sistematico di cancellazione.


Di fatto, tutto quanto facevamo in rete - in misura maggiore o minore a seconda di esigenze, abitudini, età e occupazione e stili di vita - è diventato all’improvviso la nostra unica dimensione possibile. Il verbo “chattare” non ha ancora sostituito il verbo “vivere” ma si è frapposto a molti altri verbi e ne ha stravolto il significato : in videoconferenza o via Skype lavoriamo, prendiamo decisioni, dialoghiamo con amici e parenti, in qualche modo amiamo le persone che non possiamo vedere, ordiniamo la spesa, comperiamo libri, film, generi di prima necessità, persino le mascherine.


#IORESTOACASA, è il nuovo mantra di una rivoluzione che sta modificando anche la vita politica e prima o poi provocherà in molti Paesi revisioni costituzionali che consentano di riunire online i parlamenti e i governi, di chiamare alle “urne” i cittadini, di dare la possibilità, in casi di emergenza sanitaria, di tracciare i loro comportamenti. In Francia, è stata fatta - inconsciamente e forse è il caso di dire incoscienziosamente - la prova generale. Il presidente Macron ha chiamato alle urne i cittadini, sottovalutando l’emergenza virus, ed è stato costretto a rinviare il secondo turno, cioè i ballottaggi previsti nel sistema francese, aprendo così il dibattito costituzionale sulla validità delle elezioni stesse e sulla possibilità di un voto elettronico.


Se mettiamo in relazione il mantra #IORESTOACASA con i comportamenti sociali e con i dati sulle vittime del coronavirus, si può notare che gli anziani sono stati i primi soggetti ad adeguarsi inconsciamente alla rivoluzione : passavano più tempo a casa o in case di riposo già prima dell’epidemia, hanno minore dimestichezza con tablet e cellulari ma muoiono in maggior numero contribuendo così all’evoluzione della specie dell’internauta moderno, giovane, tecnologico e casalingo.


Se osserviamo fatturati e quotazioni dei giganti del web e i piccoli e grandi guadagni di ogni comparto produttivo o commerciale direttamente o indirettamente coinvolto nell’emergenza (dalle consegne a domicilio all’industria farmaceutica, dalla ricerca medica alla sostenibilità) si può anche concludere che l’epidemia, proprio come una guerra, stia provocando morti e feriti e distruggendo molte cose, ma stia creandone altre.


Sono osservazioni che possono facilmente portare all’elaborazione di teorie complottistiche, immaginando i giganti del web riuniti attorno alla tavola rotonda del potere per ridisegnare, come la Spectre, i destini del mondo. O peggio, una sordida alleanza fra giganti del web e laboratori di COV-19. Tutto questo può essere vero nei film di fantascienza che forse non avremo nemmeno voglia di vedere a casa nelle prossime settimane.


Non è così. E’ vero il contrario. Senza la rivoluzione tecnologica oggi saremmo ancora più soli e indifesi di fronte all’epidemia, vagheremmo fra le macerie, scriveremmo ai familiari lontani lettere che forse mai arriveranno, non vedremmo più niente e nessuno, non potremmo nemmeno distrarci con un film. Piuttosto chiediamoci se la rivoluzione tecnologica sia ancora controllabile e se saremo capaci di eleggere, anche online, controllori intelligenti e responsabili.


 


 


 


 





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