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Importante decisione della Corte di Cassazione in tema di presunta diffamazione nell'ambito della cronaca giudiziaria. I supremi giudici hanno infatti ribadito ancora una volta che l'interesse sociale alla conoscenza, la continenza del linguaggio e la verità del fatto narrato integrano una scriminante ex art. 51 cod. pen. relativamente alla diffusione di notizie oggettivamente lesive dell'altrui reputazione per essere tale diffusione esercizio di diritto di cronaca e, in particolare, di quella giudiziaria. Per quanto riguarda il requisito della verità del fatto narrato "la scriminante può essere ritenuta nella forma putativa laddove, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il giornalista abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio". IN CODA il testo della sentenza.

di Pierluigi Franz

2.5.2019 - Importante decisione della Corte di Cassazione in tema di presunta diffamazione nell'ambito della cronaca giudiziaria. I supremi giudici hanno infatti ribadito ancora una volta che l'interesse sociale alla conoscenza, la continenza del linguaggio e la verità del fatto narrato integrano una scriminante ex art. 51 cod. pen. relativamente alla diffusione di notizie oggettivamente lesive dell'altrui reputazione per essere tale diffusione esercizio di diritto di cronaca e, in particolare, di quella giudiziaria. Per quanto riguarda il requisito della verità del fatto narrato "la scriminante può essere ritenuta nella forma putativa laddove, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il giornalista abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio". La Suprema Corte ha poi riaffermato "con specifico riferimento al diritto di cronaca giudiziaria, ai fini della configurabilità dell'esimente, il cronista deve esaminare e controllare attentamente la notizia in modo da superare ogni dubbio e la cronaca giudiziaria è lecita quando sia esercitata correttamente, limitandosi a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sé ovvero a riferire o a commentare l'attività investigativa o giurisdizionale, mentre, ove informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario siano rielaborate ed offerte nell'ambito di ricostruzioni o ipotesi giornalistiche che ambiscano ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti e autonomamente offensive, il giornalista deve assumersi direttamente l'onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza. Fermo che ciò che rileva, nella cronaca giudiziaria, è la rispondenza della notizia diffusa al contenuto del provvedimento cui si riferisce, la verifica della verità della notizia deve essere tuttavia attualizzata quando la pubblicazione non coincida temporalmente con l'evento giudiziario di cui dà notizia - aggiornandola con gli sviluppi di indagine ed istruttori che risultano al momento della pubblicazione dell'articolo, mentre il giornalista non è altresì tenuto a dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria". La quinta sezione penale della Cassazione (presidente Francesca Morelli, relatore Paola Borrelli) con decisione n. 17799 depositata il 29 aprile 2019 e scaricabile dal sito http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20190429/snpen@s50@a2019@n17799@tS.clean.pdf , nonostante il contrario parere del sostituto procuratore generale Antonietta Picardi, ha così annullato la sentenza emessa il 21 maggio 2018 dalla Corte d'appello di Ancona che aveva condannato la giornalista Monica Centofante per diffamazione ai danni del giudice Abigail Mellace e di suo marito Maurizio Di Amato Mottola in un comunicato di accompagnamento alla replica formulata dal Di Amato Mottola ad un'intervista rilasciata da Luigi De Magistris, entrambi pubblicati sul sito internet www.antimafiaduemila.com. I fatti si inseriscono nell'ambito delle vicende del procedimento relativo all'indagine "Why not?", che era stata svolta dall'allora pubblico ministero presso il Tribunale di Catanzaro Luigi De Magistris (attuale sindaco di Napoli) e che aveva visto Abigail Mellace, magistrato in servizio presso quel Tribunale, svolgere le funzioni di Giudice dell'udienza preliminare. Il nuovo processo si svolgerà davanti alla Corte di appello di Perugia.                                                                                                        xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx


Corte di Cassazione quinta sezione penale (presidente Francesca Morelli, relatore Paola Borrelli)  decisione n. 17799 depositata il 29 aprile 2019 e scaricabile dal sito http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20190429/snpen@s50@a2019@n17799@tS.clean.pdf


                                SENTENZA sul ricorso proposto da:


 CENTOFANTE MONICA nata a BOLZANO il 20/10/1975 avverso la sentenza del 21/05/2018 della CORTE APPELLO di ANCONA


visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;


udita la relazione svolta dal Consigliere PAOLA BORRELLI;


udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIETTA PICARDI, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;


udito l'Avv. ALDO CASALINUOVO per le parti civili, che ha chiesto il rigetto del ricorso, depositando conclusioni scritte e nota spese;


udito l'Avv. FABIO REPICI per l'imputata, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.


                                             RITENUTO IN FATTO




  1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 21 maggio 2018 dalla Corte di appello di Ancona ed ha visto la conferma della decisione del Tribunale di Fermo che aveva condannato Monica Centofante per diffamazione ai danni di Abigail Mellace e di Maurizio Di Amato Mottola, commessa dalla giornalista in un comunicato di accompagnamento alla replica formulata dal Di Amato Mottola ad un'intervista rilasciata da Luigi De Magistris, entrambi pubblicati sul sito internet www.antimafiaduemila.com . I fatti si inseriscono nell'ambito delle vicende del procedimento relativo all'indagine "Why not?", che era stata svolta dall'allora pubblico ministero presso il Tribunale di Catanzaro De Magistris e che aveva visto Abigail Mellace, magistrato in servizio presso quel Tribunale, svolgere le funzioni di Giudice dell'udienza preliminare.




La contestazione di diffamazione validata dai giudici di merito è strutturata su due segmenti di condotta.


- Quanto al primo, il reato consisterebbe nell'avere affermato, nonostante nella replica fosse stata segnalata la non veridicità della notizia, che la Mellace - Giudice del Tribunale di Catanzaro - nel momento in cui l'allora pubblico ministero De Magistris avanzò richiesta di misura cautelare nei confronti del marito Di Amato Mottola, prestasse servizio nello stesso ufficio di Maria Vittoria Marchianò, il Giudice per le indagini preliminari che esaminò e rigettò la mozione, e che fosse con quest'ultima in "ottimi rapporti".


- La seconda porzione della diffamazione riguarda la notizia circa la condanna per un reato (non precisato nel capo di imputazione) aggravato dall'avere approfittato delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa del padre di Abigail Mellace, mentre tale approfittamento non era oggetto di contestazione e la condotta riguardava fatti del tutto distinti e non collegati a quelli oggetto del processo "Why not ?".




  1. Contro la sentenza della Corte anconetana ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputata, articolando cinque motivi.




2.1. Il primo lamenta violazione di legge processuale, segnatamente degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. perché la Corte di appello, rispetto alla prospettiva di cui al capo di imputazione - a detta della ricorrente strutturato sulla non veridicità delle notizie — aveva confermato la condanna del Giudice di prime cure in ordine ai rapporti tra la Mellace e la Marchianò in virtù di una prospettiva diversa, quella della mancanza di continenza e di interesse pubblico alla notizia, il che avrebbe leso il diritto di difesa dell'imputata.


2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta, in merito al suddetto cambio di prospettiva, altro vizio processuale, questa volta sostanziatosi nella violazione del divieto di reformatio in peius.


2.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 21 Cost, 10 CEDU 51 e 595 cod. pen. e vizio di motivazione quanto:


- al silenzio della Corte anconetana a proposito delle notizie fornite dalla Centofante nella controreplica, in particolare nella parte in cui l'imputata aveva asserito che le notizie tacciate di falsità (oltre che il coinvolgimento dell'Avv. Giancarlo Pittelli, difensore di Roberto Mellace, nell'indagine "Why not?") erano state verificate sulla base del decreto di perquisizione emesso dai PP.MM. salernitani, che era stato confermato dal Tribunale del riesame e che conteneva la dichiarazioni del Tenente dei Carabinieri Pisapia, la cui posizione di indagato per diffamazione su denunzia delle odierne parti civili era stata archiviata, senza che i denunzianti avessero presentato opposizione.


- alla mancanza di motivazione, a dispetto di apposita censura nell'atto di appello, derivante dal fatto che il Tribunale aveva ritenuto, alla data dell'articolo incriminato, già pronunziata la sentenza di appello che aveva assolto con formula piena Roberto Mellace;


- al silenzio circa la mancanza di serenità della Mellace ad esercitare le proprie funzioni presso il Tribunale di Catanzaro nonostante nel 1992 il marito della sorella del padre fosse stato ucciso in una guerra di mafia;


- alla correttezza della notizia circa il fatto che la Mellace e la Marchianò prestavano servizio nello stesso ufficio giudiziario, tale dovendo ritenersi il Tribunale di Catanzaro, a prescindere dalle sue articolazioni interne;


- all'illogicità motivazionale circa il fatto che la sottoposizione a processo per violenza sessuale, in un Tribunale delle dimensioni di quello di Catanzaro, del padre della Mellace ed il rapporto fiduciario di quest'ultimo con l'Avv. Pittelli, indagato nel procedimento "Why not" non fossero idonei ad offuscare l'immagine della parte civile;


- all'illogicità motivazionale nell'avere reputato inesistente un interesse pubblico alla conoscenza delle condizioni di cui sopra, ancorché esse costituissero una "ragionevole ombra sulla serenità ambientale" del magistrato.


2.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta il mancato riconoscimento dalla scriminante del diritto di cronaca nella forma putativa.


2.5. Il quinto ed ultimo motivo di ricorso verte sulla violazione di legge e sul vizio di motivazione che caratterizzerebbero il capo della sentenza concernente le statuizioni risarcitorie, laddove la Corte territoriale non aveva tenuto conto che, confermando la condanna per diffamazione pur senza validare il giudizio di non veridicità della notizia, il danno andava ridimensionato.


                                        CONSIDERATO IN DIRITTO




  1. Il terzo motivo di ricorso è fondato, il che impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo esame, restando assorbiti nella pronunzia rescindente gli altri motivi di ricorso.




1.1. La doglianza in discorso va, in primo luogo, depurata dai riferimenti a questioni - quella delle vicende giudiziarie dell'Avv. Pittelli, difensore di Roberto Mellace, e quella dell'omicidio dello zio acquisito di quest'ultima - che non fanno parte delle affermazioni "incriminate", il che ne sancisce l'estraneità all'ambito di cui doveva occuparsi la Corte di appello e che oggi il Collegio deve vagliare onde verificare se il giudizio offerto dalla pronunzia avversata circa la natura diffamatoria delle notizie si esponga alle censure della ricorrente.


Appare opportuno ricordare, infatti, che la contestazione di diffamazione validata dai giudici di merito è strutturata su due precisi segmenti di condotta.


- Quanto al primo, il reato consisterebbe nell'avere affermato, nonostante nella replica fosse stata segnalata la non veridicità della notizia, che la Mellace - Giudice del Tribunale di Catanzaro - nel momento in cui l'allora pubblico ministero De Magistris avanzò richiesta di misura cautelare nei confronti del marito Di Amato Mottola, prestasse servizio nello stesso ufficio di Maria Vittoria Marchianò, il Giudice per le indagini preliminari che esaminò e rigettò la mozione, e che fosse con quest'ultima in "ottimi rapporti".


- La seconda porzione della diffamazione riguarda la notizia circa la condanna per un reato (non precisato nel capo di imputazione) aggravato dall'avere approfittato delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa del padre di Abigail Mellace (Roberto), mentre tale approfittamento non era oggetto di contestazione e la condotta riguardava fatti del tutto distinti e non collegati a quelli oggetto del processo "Why not ?".


1.2. Mette altresì conto rievocare i principi che la giurisprudenza di legittimità ha enucleato in ordine ai requisiti che consentono di ritenere scriminata ex art. 51 cod. pen. la diffusione di notizie oggettivamente lesive dell'altrui reputazione per essere tale diffusione esercizio di diritto di cronaca e, in particolare, di quella giudiziaria, tale dovendo ritenersi l'ambito sul quale ragionare nel presente procedimento; le informazioni reputate diffamatorie, infatti, concernono le implicazioni di vicende giudiziarie implicazioni a loro volta desunte da un provvedimento giudiziario emesso in altro procedimento (il decreto di perquisizione dei pubblici ministeri salernitani) - e delle loro ricadute rispetto alla reputazione dei soggetti a cui esse, in via diretta o mediata, si riferiscono.


Come è ampiamente noto, i requisiti che la giurisprudenza di legittimità, sia per quanto concerne il diritto di critica che quello di cronaca, ha individuato per ritenere integrata la scriminante sono l'interesse sociale alla conoscenza, la continenza del linguaggio e la verità del fatto narrato. Quanto a quest'ultimo requisito, la scriminante può essere ritenuta nella forma putativa laddove, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il giornalista abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio (ex multis, Sez. 5, n. 51619 del 17/10/2017, Tassi, Rv. 271628-01; Sez. 5, n. 27106 del 9/4/2010, Ciolina, Rv. 248032-01; Sez. 5, n. 12024 del 31/3/1999, Liberatore, Rv. 215037-01).


Con specifico riferimento al diritto di cronaca giudiziaria, ai fini della configurabilità dell'esimente, il cronista deve esaminare e controllare attentamente la notizia in modo da superare ogni dubbio (Sez. 5, n.35702 del 19/05/2015, P.O. in proc. Case, Rv. 265015-01) e la cronaca giudiziaria è lecita quando sia esercitata correttamente, limitandosi a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sé ovvero a riferire o a commentare l'attività investigativa o giurisdizionale, mentre, ove informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario siano rielaborate ed offerte nell'ambito di ricostruzioni o ipotesi giornalistiche che ambiscano ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti e autonomamente offensive, il giornalista deve assumersi direttamente l'onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza (Sez. 5, n. 54496 del 28/09/2018, C., Rv. 274168 - 01; Sez. 5, n. 3674 del 27/10/2010, Gomez Homen, Rv. 249699 - 01; Sez. 1, n.7333 del 28/01/2008, Mauro, Rv. 239163- 01). Fermo che ciò che rileva, nella cronaca giudiziaria, è la rispondenza della notizia diffusa al contenuto del provvedimento cui si riferisce, la verifica della verità della notizia deve essere tuttavia attualizzata quando la pubblicazione non coincida temporalmente con l'evento giudiziario di cui dà notizia — aggiornandola con gli sviluppi di indagine ed istruttori che risultano al momento della pubblicazione dell'articolo, mentre il giornalista non è altresì tenuto a dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria (Sez. 1, n.13941 del 08/01/2015, P.C. in proc. Ciconte, Rv. 263064-01; Sez. 5, n.43382 del 16/11/2010, Lillo, Rv. 248950; Sez. 5, n. 15986 del 04/03/2005, Annbrosetti, Rv. 232131 - 01; Sez. 1, n. 36244del 08/07/2004, Calabrese ed altri, Rv. 229841 - 01).


1.3. Fatte queste premesse, la sentenza presta il fianco alle critiche della parte ricorrente in ordine all'esclusione della sussistenza della scriminante sotto un duplice profilo.


1.3.1. In primo luogo, il Collegio anconetano è incorso in violazione di legge, manifesta illogicità e carenza motivazionale allorché ha ritenuto che, per entrambi i segmenti di condotta quello concernente la diffusione della notizia delle vicissitudini giudiziarie del marito della Mellace e quello relativo alle vicende del padre di quest'ultima — non vi fosse un interesse pubblico alla conoscenza della notizia. Tale affermazione appare viziata dal momento che non si è misurata con il dato - illustrato nell'atto di appello e potenzialmente rilevante - della necessaria contestualizzazione ambientale della vicenda, laddove dette esperienze giudiziarie avevano avuto sede nello stesso ufficio giudiziario - di dimensioni non assimilabili a quelle dei grandi Tribunali - in cui la dott.ssa Mellace prestava servizio ed erano, come tali, astrattamente idonee ad incidere negativamente sull'immagine di serenità della medesima nello svolgimento delle funzioni giudiziarie in quello stesso ufficio.


1.3.2. Le evidenziate carenze del compendio argomentativo della decisione avversata quanto al parametro dell'interesse pubblico alla conoscenza delle notizie, oltre a rilevare in sé su questo punto specifico, minano la sentenza anche perché quest'ultima non si è puntualmente occupata della verifica degli altri requisiti dell'esimente del diritto di cronaca giudiziaria, in particolare della veridicità delle notizie riportate (la continenza espressiva dello scritto non pare essere in discussione). Il discorso giustificativo della decisione avversata (pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata), infatti, si è arrestato alla delibazione circa l'insussistenza dell'interesse pubblico alla conoscenza delle notizie, salvo un accenno - per la sola vicenda Mottola Di Amato - alla mancanza di «fatti obiettivi» ed all'esistenza di «atti giudiziari di segno opposto»; in tale accenno, tuttavia, non si coglie, con la dovuta nettezza, un'analisi sul tema della verità, effettiva o putativa, della notizia asseritamente diffamatoria, vale a dire quella della condivisione dello stesso ufficio e dei rapporti della dott.ssa Mellace con la dott.ssa Marchianò all'epoca della valutazione, da parte di quest'ultima, della mozione cautelare relativa al Mottola Di Amato.


1.4. Sulla scorta delle indicazioni suddette e tenendo conto della giurisprudenza sopra rievocata, dunque, la Corte di rinvio dovrà riesaminare entrambi i segmenti di condotta sia quanto al profilo dell'interesse pubblico alla conoscenza delle notizie che a quello della verità dei fatti rappresentati nel comunicato a firma della Centofanti e fornire nuova motivazione sul punto. Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti e le spese di parte civile sono rimesse alla definizione del procedimento.


                                                                           


                                                                P.Q.M.


 


Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo esame.


 


                                                                                      


 


 


 


 


 





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