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CASO TOBAGI: DOCUMENTO
RISERVATO SMENTISCE LE
VERITÀ UFFICIALI SULL’OMICIDIO
“Stampa democratica” rilancia
un’interpellanza dei Radicali al
Governo, che riapre il caso del giornalista ucciso

Milano, 25 settembre 2008. La vicenda di Walter Tobagi, il giornalista ucciso nel maggio 1980 dalla “Brigata 28 marzo”, un gruppo capeggiato dal terrorista Marco Barbone, a distanza di quasi trent’anni continua a suscitare interrogativi e anche interrogazioni parlamentari. Come quella depositata alla Camera dei Deputati da Elisabetta Zamparutti e dagli altri eletti radicali nelle liste del PD.


L’interpellanza, rivolta al Presidente del Consiglio, al Ministro della Giustizia e a quelli dell’Interno e della Difesa, riepiloga la vicenda che seguì all’omicidio del giornalista milanese e chiede “nel pieno rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura e a prescindere dall’esito dei processi in corso, quali iniziative i Ministri interrogati intendano eventualmente assumere a tutela del diritto dei cittadini a essere informati e a conoscere la verità su uno dei più inquietanti casi degli anni terribili della storia d’Italia.”


I deputati radicali chiedono, in particolare, “se i Ministri interrogati intendano, con ogni misura di loro competenza, riscontrare i riferimenti espliciti e inequivocabili fatti da testi e imputati davanti al tribunale di Monza… e - ad avviso dell’interpellante - colpevolmente trascurati, a partire dal contenuto delle informative secondo le quali si sarebbe saputo in anticipo di mesi i nomi dei terroristi che stavano progettando l’attentato a Tobagi e che poi effettivamente l’uccisero, per finire al contenuto del documento presentato dal generale Bozzo davanti al Tribunale di Monza nella udienza del 16 aprile scorso secondo il quale gli sarebbero state date dai suoi superiori indicazioni per fornire, se interrogato dalla magistratura, la versione ‘concordata’ sulle indagini.”


Nella interpellanza viene richiamata la testimonianza di un sottufficiale dell’Arma dei carabinieri, Dario Covolo, detto “Ciondolo”, all’epoca incaricato di tenere i rapporti con un inflitrato-informatore nei gruppi armati della sinistra, Rocco Ricciardi. “Sulla base delle confidenze del terrorista – scrivono i deputati radicali - Covolo avvisò i suoi superiori di un progetto di attentato contro Tobagi sei mesi prima dell’attentato, senza che venissero però presi adeguati provvedimenti per salvargli la vita.”


La vicenda è stata ricostruita e documentata dal giornalista Renzo Magosso, prima in un libro e poi sul settimanale Gente diretto da Umberto Brindani, “con il risultato paradossale”, secondo i deputati radicali, che i due giornalisti sono stati processati per diffamazione e condannati in primo grado dal Tribunale di Monza, mentre Covolo è attualmente processato nel tribunale di Monza.


In quest’ultimo processo “è emerso ora un fatto nuovo”, giudicato dai Radicali “grave e sconvolgente”. “Il generale Niccolò Bozzo - è scritto nell’interpellanza dei Radicali -, all’epoca dei fatti stretto collaboratore del generale Dalla Chiesa, sentito come teste, ha presentato un documento riservato preparato dai suoi superiori, nel quale venivano date indicazioni a Bozzo per fornire, se interrogato dalla magistratura, la versione ‘concordata’ sulle indagini.”


“In particolare, si raccomandava a Bozzo di rispondere, se interrogato al riguardo, che Barbone avesse confessato spontaneamente senza che su di lui vi fossero prove di alcun genere circa l’omicidio Tobagi.” “Ma nello stesso documento - scrivono i Radicali nell’interpellanza - si attesta una verità diversa, dato che vi si afferma che «in data 5.6.80 (una settimana dopo l’omicidio) iniziano pedinamenti Barbone (a tale data risale anche la prima relazione di servizio)».”


“Si tratta di una smentita clamorosa della verità ufficiale, per come sinora conosciuta,” affermano i Radicali. “In particolare - secondo i radicali - viene smentita la posizione della Procura milanese, la quale ha sempre affermato che la confessione e collaborazione di Barbone era da ritenersi eccezionale, inaspettata e spontanea (tanto da avergli guadagnato eccezionali benefici giudiziari ed evitato pesanti condanne), essendo invece avvenuta solo dopo ben 4 mesi dalla data di inizio dei pedinamenti e controlli a suo carico quale sospetto per l’omicidio Tobagi.”


(Fonte: www.radioradicale.it)


 


ZAMPARUTTI (PD):


SI SAPEVA


DI ATTENTATO


A WALTER TOBAGI?


Milano, 25 settembre 2008. Si sapeva in anticipo dell' attentato che costo la vita a Walter Tobagi, il giornalista del Corriere della Sera ucciso nel maggio del 1980 dalla 'Brigata 28 marzò, un gruppo terroristico capeggiato da Marco Barbone? È questa, in sintesi, la domanda che la deputata Elisabetta Zamparutti, parlamentare del Pd di area radicale. L'interpellanza, rivolta al Presidente del Consiglio, al Ministro della Giustizia e a quelli dell'Interno e della Difesa, riepiloga la vicenda che seguì all'omicidio di Tobagi e vi si chiede «nel pieno rispetto dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura e a prescindere dall'esito dei processi in corso, quali iniziative i Ministri interrogati intendano eventualmente assumere a tutela del diritto dei cittadini a essere informati e a conoscere la verità su uno dei più inquietanti casi degli anni terribili della storia d'Italia». E «se i Ministri interrogati intendano, con ogni misura di loro competenza, riscontrare i riferimenti espliciti e inequivocabili fatti da testi e imputati davanti al tribunale di Monza e - ad avviso dell'interpellante - colpevolmente trascurati, a partire dal contenuto delle informative secondo le quali si sarebbe saputo in anticipo di mesi i nomi dei terroristi che stavano progettando l'attentato a Tobagi e che poi effettivamente l'uccisero, per finire al contenuto del documento presentato dal generale Bozzo davanti al Tribunale di Monza nella udienza del 16 aprile scorso secondo il quale gli sarebbero state date dai suoi superiori indicazioni per fornire, se interrogato dalla magistratura, la versione 'concordatà sulle indagini». (ANSA).


 


 


ATTO  CAMERA


INTERPELLANZA 2/00144


Dati di presentazione dell'atto


Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 56 del 29/09/2008


Firmatari


Primo firmatario: ZAMPARUTTI ELISABETTA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 29/09/2008
































Elenco dei co-firmatari dell'atto


Nominativo co-firmatario


Gruppo


Data firma


BERNARDINI RITA


PARTITO DEMOCRATICO


29/09/2008


TURCO MAURIZIO


PARTITO DEMOCRATICO


29/09/2008


BELTRANDI MARCO


PARTITO DEMOCRATICO


29/09/2008


FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA


PARTITO DEMOCRATICO


29/09/2008


MECACCI MATTEO


PARTITO DEMOCRATICO


29/09/2008


Destinatari


Ministero destinatario:


·        PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI


·        MINISTERO DELL'INTERNO


·        MINISTERO DELLA GIUSTIZIA


·        MINISTERO DELLA DIFESA


Attuale delegato a rispondere: PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI delegato in data 29/09/2008


Stato iter:


IN CORSO


Atto Camera

Interpellanza 2-00144


presentata da


ELISABETTA ZAMPARUTTI
lunedì 29 settembre 2008, seduta n.056



I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, il Ministro della difesa, per sapere - premesso che:

l'omicidio di Walter Tobagi, giornalista del Corriere della Sera, avvenuto il 28 maggio 1980 a Milano, rappresentò una ferita gravissima per la personalità della vittima, studioso del movimento sindacale, protagonista nella battaglia per il rinnovamento della federazione della stampa, riformista vicino alle posizioni dell'allora Partito socialista;

nonostante l'arresto e la condanna degli esecutori materiali dell'assassinio, la dinamica della vicenda suscitò polemiche ancora oggi irrisolte tanto che Stefano Folli, allora direttore del Corriere della Sera, il 28 maggio del 2004 a Milano, in occasione della cerimonia di commemorazione di Tobagi affermò: «Noi pensiamo che si debba approfondire la vicenda in tutti i suoi aspetti e nello stesso momento noi rispettiamo le acquisizioni fatte dalla magistratura, che ha fatto indagini in tutte le direzioni. Ma riteniamo che non si tratti di una storia che possa considerarsi completamente chiusa»;

la questione se Tobagi potesse essere salvato e se vi fossero responsabilità nel non avere impedito il suo omicidio pur essendo noti, sei mesi prima dell'atto criminoso, sia gli esecutori che il loro progetto criminale, fu sollevata nel 1983 dall'allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi che rese nota una informativa dei carabinieri di Milano, la cui autenticità venne confermata dall'allora Ministro dell'interno Oscar Luigi Scalfaro;

nel 2003 il giornalista Renzo Magosso, amico di Walter Tobagi, pubblicò il libro «Le Carte di Moro - Perché Tobagi» in cui per la prima volta l'ex sottufficiale dell'antiterrorismo Dario Covolo rivelava di essere stato l'autore dell'informativa che aveva scatenato enormi polemiche, aggiungendo di avere riferito ai suoi superiori anche i nomi dei terroristi che sei mesi dopo compirono il delitto;

in una successiva intervista pubblicata dal settimanale Gente, il 17 giugno 2004, il Covolo confermava a Renzo Magosso quella grave circostanza dichiarando di averla presentata ai suoi superiori, capitano Umberto Bonaventura e capitano Alessandro Ruffino;

il generale Ruffino e la sorella del defunto generale Bonaventura hanno presentato querela per diffamazione nei confronti del direttore del settimanale Umberto Brindani e dell'autore dell'intervista Renzo Magosso e di Dario Covolo;

il processo svoltosi presso il Tribunale di Monza si è concluso il 20 settembre 2007 con la condanna di Magosso e Brindani rispettivamente a 1.000 euro di multa e, in solido, un risarcimento di 240.000 euro alle parti civili, per aver scritto quanto loro riferito in ordine all'omicidio Tobagi da Dario Covolo malgrado durante il dibattimento lo stesso Covolo abbia confermato parola per parola quanto riportato nell'articolo, ovvero che aveva ricevuto con mesi di anticipo da Rocco Ricciardi, varesino, informatore e confidente, i nomi di chi poi uccise Tobagi, e ne riferì ai suoi superiori e nonostante che nel corso del dibattimento Covolo abbia additato in aula il generale in pensione Alessandro Ruffino, querelante, con queste parole: «Ebbi una discussione con Ruffino poche ore dopo il delitto Tobagi, gli dissi che gli avevo dato i nomi in anticipo e che non aveva fatto nulla per salvare il giornalista». A queste parole non hanno replicato né il generale, né gli avvocati di parte civile;

Magosso, nella sua deposizione, ha riferito come l'allora direttore del Corriere della Sera Franco Bella lo avesse informato di un colloquio col generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, durante il quale l'ufficiale dava notizia dell'indagine sul figlio di un alto dirigente della Rizzoli-Corriere della Sera, cioè su Marco Barbone. Di Bella incaricava Magosso di trovare conferma del fatto e allo scopo Magosso ebbe un successivo colloquio con l'allora capitano Umberto Bonaventura che gli rivelò che «la fonte sui nomi degli assassini era sicura e proveniva da Varese». Si trattava di Rocco Ricciardi, informatore dei carabinieri e noto come «il postino» residente proprio a Varese. A conferma dei fatti, Magosso ha prodotto in aula i testi di due suoi articoli pubblicati sul quotidiano l'Occhio, datati 26 e 27 settembre 1980, nei quali si faceva riferimento a «Varese» per le indagini, si faceva il nome di Marco Barbone come assassino di Tobagi, e si raccontavano retroscena emersi soltanto molto tempo più tardi negli atti dell'inchiesta giudiziaria;

Marco Barbone ammise la responsabilità dell'omicidio Tobagi soltanto il 5 ottobre, cioè dieci giorni dopo quegli articoli, e la sua confessione venne definita come «inaspettata», «del tutto spontanea», tale da «suscitare grande sorpresa negli inquirenti»;

l'onorevole Franco Corleone - sottosegretario alla Giustizia dal 1996 al 2001 - in un articolo apparso sul quotidiano Il Riformista il 10 luglio 2007, scrive: «Dopo 27 anni questa vicenda non è ancora storia ma rimane cronaca. Il 28 maggio, in occasione dell'anniversario, la morte di Tobagi è stata rievocata in tono rituale, mentre invece attende ancora giustizia. D'altronde, la ferita è aperta da tutti i punti di vista. Infatti, nel silenzio più assoluto, presso il Tribunale di Monza è in corso un nuovo processo. In realtà, il procedimento penale vede come imputato il giornalista Renzo Magosso, autore del volume "Le Carte di Moro - Perché Tobagi" querelato dal generale Ruffino e dalla sorella del generale Bonaventura»;

nell'articolo, Corleone fa riferimento ai volumi di Ugo Finetti, «Il caso Tobagi», di Paolo Franchi e Ugo Intini, «Le parole di piombo», di Daniele Bianchessi, «Walter Tobagi», e inoltre alle inchieste di Giovanni Minoli in alcune trasmissioni RAI de «La storia siamo noi», ai numerosi giornalisti che in questi anni «hanno riportato i nuovi elementi emersi dall'inchiesta di Magosso»;

«Magosso - osserva Corleone, nell'articolo del 10 luglio 2007 - è sotto processo per una intervista. La cosa ha dell'incredibile, eppure non suscita scandalo. La giurisprudenza della Cassazione è chiara sul punto, ma la solitudine di Magosso pone un problema politico [...] Renzo Magosso da imputato si è trasformato in accusatore. E questa sembra proprio la riprova che nella vicenda ci sia ancora moltissimo da chiarire»;

«Barbone - afferma inoltre Corleone nell'articolo citato - venne prontamente scarcerato, grazie alla collaborazione con i magistrati, che portò all'arresto di decine di suoi ex compagni. La sua ex fidanzata non venne neppure inquisita, nonostante avesse partecipato al progetto di sequestrare lo stesso Tobagi. Ora il processo contro il giornalista Magosso rischia di trasformarsi, al di là della volontà dei giudici, nella identificazione di un capro espiatorio che sia di monito per chi volesse insistere nel non rassegnarsi a una verità di comodo»;

quest'ultimo grave interrogativo è ripreso da Corleone in un successivo articolo da egli firmato e pubblicato sempre su Il Riformista il 12 settembre 2007: «anche un cieco si accorgerebbe del fine oggettivamente intimidatorio di colpire anche simbolicamente un giornalista impegnato da anni nella ricerca della verità di una tragedia legata alla dolorosa storia d'Italia con l'imputazione di non aver garantito la completezza dell'informazione e l'oggettività dei riscontri»;

«Dario Covolo - afferma Corleone nell'articolo del 12 settembre 2007 - ha confermato che sulla base delle informazioni di Rocco Ricciardi, informatore e infiltrato nei gruppi dell'autonomia della zona di Varese, presentò al capitano Ruffino un primo appunto il 13 dicembre 1979 in cui si parlava di Tobagi. Nella relazione consegnata ai suoi superiori, il carabiniere riferisce che, secondo Ricciardi, vi era un progetto di attentato contro il giornalista, che doveva avvenire vicino alla casa di Tobagi (come quasi sei mesi dopo effettivamente avvenne);

«l'informativa di "Ciondolo" (alias Dario Covolo, ndr) - continua Corleone - specifica che Tobagi era "vecchio obiettivo delle Fcc (Formazioni comuniste combattenti, ndr)". E in effetti lo stesso Ricciardi assieme ad altri militanti delle Fcc (tra cui Caterina Rosenzweig), nel febbraio 1978 aveva effettuato un tentativo di sequestro di Tobagi, in quel caso fallito. Covolo - aggiunge Corleone - non si limita a confermare il contenuto dell'appunto reso noto nel dicembre 1983 da alcuni deputati socialisti e confermato nella sua veridicità dall'allora Ministro dell'interno Oscar Luigi Scalfaro - il quale, il 19 dicembre 1983, confermava l'esistenza di una nota "redatta da un sottufficiale dell'Arma il 13 dicembre 1979" e affermava: "Va rilevato che l'attività dell'Arma dei carabinieri in tutte le vicende surriferite è attività di polizia giudiziaria che implica, come tale, il dovere di riferire in via esclusiva all'autorità giudiziaria, dalla quale dipende" - che innescò una violenta polemica tra l'Avanti!, il quotidiano del Psi, e la Procura di Milano e Bettino Craxi, all'epoca Presidente del Consiglio dei ministri»;

Covolo, scrive Corleone, aggiunge: «Ci sono degli appunti successivi a questo, dove si fa nome e cognome di quelli che devono ammazzare. Mi si fa il nome e si dice: "guarda che il gruppo che sta operando dovrebbe essere la Caterina (Rosenzweig, ndr) e il suo fidanzato, il suo convivente Barbone Marco". Non mi si fanno i nomi degli altri però quei nomi vengono fatti in successivi appunti». «La conclusione di questa parte della deposizione - osserva Corleone - è drammatica: io non so onestamente cosa venne fatto. "Io so che a un certo punto ebbi un grosso diverbio con il capitano Ruffino quando ammazzarono Tobagi, da solo nel suo ufficio [...] per questa relazione, su questo proposito»;

nel corso della deposizione, riferisce Corleone nell'articolo del 12 settembre 2007, su domanda del pubblico ministero di Monza, Covolo conferma le frasi virgolettate presenti nell'intervista di Magosso, sopra citata: «Nessuna incertezza nel riconoscere le affermazioni come proprie e implicitamente la correttezza del giornalista»;

«dopo aver ricevuto una ovvia risposta negativa alla domanda sul fatto che fossero state fatte fotocopie dei rapporti successivi a quello citato, il pm, dottor Pepè - scrive Corleone - dimenticando che il processo è per querela contro un giornalista per avere pubblicato una intervista di una persona protagonista dei fatti, si impegna impropriamente nel cercare di incrinare la credibilità del teste, contrapponendo alle dichiarazioni di Covolo, ribadite e rafforzate in aula pochi minuti prima, quelle processuali di Rocco Ricciardi e di Barbone che negano rispettivamente di avere fatto i nomi e di avere ipotizzato l'omicidio prima del 28 marzo 1980. Covolo sarcasticamente ha chiesto di essere messo a confronto» ed ha rivendicato la sua ricostruzione «indipendentemente dalle versioni dei colpevoli di gravi delitti e il diritto a dire la sua verità»;

fra gli aspetti, egualmente gravi, dei fatti e delle responsabilità che hanno preceduto e determinato l'assassinio di Walter Tobagi, appare più che motivata, secondo Corleone e ad avviso dell'interpellante, una maggiore attenzione del ruolo di Ricciardi, infiltrato e confidente, la cui collaborazione «prosegue nel tempo, anche dopo l'omicidio Tobagi»;

su questi fatti, nella XIV e XV legislatura sono stati presentati e svolti atti di sindacato ispettivo da parte dei deputati Boato, Biondi, Bielli, Intini, Pisapia (interpellanza n. 2-01009 del 10 dicembre 2003), Boato (interrogazione a risposta immediata del 15 giugno 2004), Boato (interpellanza urgente n. 2-01222 dell'8 luglio 2004), Boato e Buemi (interpellanza n. 2-00721 del 17 settembre 2007), Buemi (interrogazione a risposta scritta n. 4-05760 del 26 novembre 2007);

tutto ciò premesso, come dato ulteriore e grave di novità, si ritiene di dover aggiungere che, in attesa del processo d'appello nel procedimento contro i giornalisti Renzo Magosso e Umberto Brindani, è iniziato sempre presso il Tribunale di Monza lo stralcio del processo contro Dario Covolo. Nel corso dell'udienza del 16 gennaio 2008 è stato interrogato, come teste, il generale Niccolò Bozzo, all'epoca dei fatti diretto collaboratore del generale Dalla Chiesa;

il generale Bozzo ha presentato, ed è stato messo agli atti, un documento riservato che era stato preparato proprio dal generale Bonaventura. Nel dattiloscritto venivano date indicazioni al generale Bozzo per fornire, se interrogato dalla magistratura, la versione «concordata» sulle indagini e anche in relazione alle dichiarazioni dell'allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi, che stavano provocando forti polemiche;

in particolare, si raccomandava a Bozzo di rispondere, se interrogato al riguardo, che Barbone avesse confessato spontaneamente senza che su di lui vi fossero prove di alcun genere circa l'omicidio Tobagi, che (a Bozzo) «non risulta sia stato promesso al Barbone altro che sicurezza per lui ed i familiari, ed interessamento per il varo di una legislazione più incisiva in favore dei dissociati» e, a riguardo alla notizia resa nota sull'esistenza di una informativa che annunciava l'attentato a Tobagi, «non è vero che nel dicembre del '79 i CC ebbero a ricevere una notizia di fonte confidenziale secondo cui si stava preparando un'azione contro Tobagi. Nel dicembre '79 fonti confidenziali segnalarono ai CC di Milano che un'organizzazione eversiva, diversa da quella che sarebbe risultata in seguito essere la "28 marzo" e senza contatti con quelli che ne risultavano membri, stava preparando un'azione da compiersi a Milano»;

va specificato che, nella stessa nota per Bozzo, Bonaventura chiariva che Barbone aveva precisi legami con le Formazioni comuniste combattenti e con Guerriglia Rossa e che lo stesso Barbone, in uno dei suoi interrogatori, aveva già fatto i nomi, come appartenenti al suo gruppo, di personaggi legati alle Fcc come Teresa Zoni (nome che compariva nella famosa informativa resa nota da Scalfaro), Paolo Morandini, con lui in Guerriglia Rossa e perfino lo stesso Rocco Ricciardi;

la nota di Bonaventura con le indicazioni per il generale Bozzo prosegue: «La fonte ipotizzava che l'obiettivo dell'azione potesse essere il giornalista Tobagi, ritenuto obiettivo storico dell'Autonomia, tanto che sia le Fcc e i Reparti comunisti erano stati trovati in possesso di schede che lo riguardavano»; in realtà - ed è ora universalmente noto - la vera informativa, successivamente resa pubblica dall'allora ministro dell'interno Oscar Luigi Scalfaro recitava testualmente: «Il gruppo sta operando in via Solari», quindi riferiva che si trattava di un gruppo «già operativo» e non di mera ipotesi informativa, considerando anche che Tobagi abitava proprio in via Solari;

un altro paragrafo dell'appunto di Bonaventura per dare al generale Bozzo il «suggerimento» di fornire risposte concordate, specifica: «Il diretto interessato (Tobagi) non fu informato per varie ragioni: sostanzialmente perché la notizia di fonte confidenziale non era direttamente a lui riferita in quanto il suo nome era stato fatto solo in via di ipotesi. Pertanto non lo si voleva allarmare ulteriormente»; al riguardo, dagli atti del processo contro Magosso risulta invece che il generale Ruffino, nella sua deposizione ha ribadito che Tobagi era stato avvertito in merito a questa informativa;

e ancora, nella nota di Bonaventura si raccomanda al generale Bozzo di tenere presente che «Immediatamente dopo l'omicidio fu attivata la fonte confidenziale la quale escluse che l'organizzazione cui si era riferita potesse essere coinvolta nell'omicidio, in ordine al quale non fu in grado di fornire alcuna notizia»; al riguardo è nota, perché depositata anche agli atti del processo contro Magosso, la dichiarazione spontanea resa nel 1985 da Rocco Ricciardi il quale, invece, ammette: «Per parte mia mi impegnai nella ricerca di notizie sulla 28 marzo. In proposito riuscii a riferire ai carabinieri una sola voce: Marchettini mi aveva detto che un tale Manfredi (uno dei killer di Tobagi) che conoscevo personalmente, parlando in un bar con il Franzetti, alla presenza di Marchettini stesso, aveva lasciato vagamente ad intendere che aveva rapporti con la 28 marzo. I CC, sempre durante l'estate, identificarono questo Manfredi per Manfredi Di Stefano ed io ne riconobbi la foto»;

nell'appunto riservato di Bonaventura, inoltre, si afferma che «in data 5 giugno 1980 (una settimana dopo l'omicidio) iniziano pedinamenti Barbone (a tale data risale anche la prima relazione di servizio)»; e, sempre nel documento Bonaventura, è attestato che in data 11 giugno 1980, vale a dire meno di due settimane dopo l'omicidio Tobagi, «viene ufficialmente richiesta alla Procura una serie di intercettazioni sulle utente di Rosenzweig-Barbone, Morandini, Montanari Silvana e Mari Stefano»; inoltre, nella medesima data viene richiesta una perizia calligrafica su Barbone;

in tutta evidenza viene quindi smentita la versione ufficiale, anche della Procura milanese, secondo la quale la collaborazione giudiziaria di Barbone sia da ritenersi eccezionale, inaspettata e spontanea (tanto da avergli guadagnato eccezionali benefici giudiziari ed evitato pesanti condanne), essendo avvenuta solo il 5 ottobre, vale a dire dopo ben 4 mesi dalla data di inizio dei pedinamenti e controlli a suo carico quale sospetto per l'omicidio Tobagi; eppure, ancora nel 1983, con un comunicato stampa del 17 dicembre la Procura della Repubblica di Milano affermava: «Del tutto destituita di fondamento e in netta antitesi con le risultanze processuali è quindi l'ipotesi che gli investigatori, e tanto meno i magistrati, disponessero di elementi di prova, di indizi o di notizie confidenziali a carico del Barbone in ordine all'omicidio Tobagi, prima della spontanea confessione dello stesso»; il documento Bonaventura, ora finalmente reso noto, dice esattamente il contrario, dato che già in data 11 giugno 1980, quasi 4 mesi prima della collaborazione giudiziaria del Barbone, era stata richiesta alla Procura milanese l'autorizzazione a intercettare le utenze del Barbone stesso in relazione all'omicidio Tobagi;

l'appunto riservato di Bonaventura si conclude con una raccomandazione più che esplicita: «Pericoloso rivelare quale fosse l'organizzazione di cui la fonte parlava e pericoloso rispondere ad altre domande sul punto, in quanto si correrebbe il rischio di rivelare indirettamente l'identità della fonte, che è ancora attiva»;

d'altra parte Fabrizio Calvi, autore del volume «Ragazzi di buona famiglia - la brigata 28 marzo e l'omicidio Tobagi» recentemente pubblicato, esprime stupore per la mancata riapertura dell'inchiesta da parte del Tribunale di Monza;

sia le dichiarazioni dell'ex sottufficiale dell'antiterrorismo Dario Covolo, rese prima nell'intervista a Renzo Magosso e poi davanti al Tribunale di Monza, sia quelle più recenti del generale Bozzo, possono essere facilmente riscontrate attraverso gli «atti interni» del nucleo operativo CC relativo agli anni 1979-80, a cui si riferiscono il fascicolo personale di Dario Covolo e di quelli intestati a Caterina Rosenzweig, Marco Barbone e Paolo Morandini custoditi presso gli archivi dell'allora sezione antiterrorismo, ora ROS, della Legione dei Carabinieri di Milano di via Moscova, documentazione che dovrebbe essere in copia negli uffici dell'ex Sisde e anche presso il Comando generale dell'Arma a Roma in viale Romania -:

nel pieno rispetto dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura e a prescindere dall'esito dei processi in corso, quali iniziative i Ministri interrogati intendano eventualmente assumere a tutela del diritto dei cittadini a essere informati e a conoscere la verità su uno dei più inquietanti casi degli anni terribili della storia d'Italia;

in particolare, se i Ministri interrogati intendano fornire elementi al riguardo, adottando ogni misura di loro competenza per riscontrare i riferimenti espliciti e inequivocabili fatti da testi e imputati davanti al tribunale di Monza, sopra riportati e - ad avviso degli interpellanti - colpevolmente trascurati, a partire dal contenuto delle informative secondo le quali si sarebbe saputo in anticipo di mesi i nomi dei terroristi che stavano progettando l'attentato a Tobagi e che poi effettivamente l'uccisero, per finire al contenuto del documento presentato dal generale Bozzo davanti al Tribunale di Monza nella udienza del 16 aprile scorso secondo il quale gli sarebbero state date dai suoi superiori indicazioni per fornire, se interrogato dalla magistratura, la versione «concordata» sulle indagini, adottando ogni provvedimento conseguente.

(2-00144)
«Zamparutti, Bernardini, Maurizio Turco, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci».


 






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