26.1.2019 - «Le informazioni tendenziose e ideologicamente orientate a identificare un 'nemico', come quelle che individuano nei profughi il capro espiatorio di tutti i mali d' Europa, sono deboli e 'colpevoli', perché non sono una lettura della realtà e non aiutano a comprendere la realtà», scandisce l' arcivescovo Mario Delpini nella Sala Barozzi dell' Istituto dei Ciechi, gremita di giornalisti, quelli di oggi e quelli di domani. Ecco: cosa serve per vincere le derive del rancore e dell' odio, delle fake news e della comunicazione 'cattivista'? Serve un giornalismo «che favorisca l' intesa invece che la contrapposizione, e che ci fa apprezzare l' informazione come un bene comune, come quel modo di avere a cuore il convivere pacifico che trova nella comunicazione un elemento necessario », afferma il presule. Serve un vero «giornalismo di pace».
Il futuro dell' informazione è il tema dato quest' anno al tradizionale incontro dell' arcivescovo con i giornalisti in occasione della festa del loro patrono, san Francesco di Sales. Prima, gli interventi dei responsabili delle scuole di giornalismo milanesi, poi le riflessioni e le domande di alcuni studenti (si veda servizio a lato). E Delpini a offrire risposte e provocazioni.
Con la freschezza a volte spiazzante di chi non è un 'addetto ai lavori'. Ma senza ingenuità. Il presule non nasconde di essere «molto selettivo», nel rapporto col giornalismo: «Scelgo quello che mi aiuta a capire gli aspetti positivi e i negativi, le ragioni dei problemi, le soluzioni pensate. Ho stima dei giornalisti che mi aiutano ad avere una visione realistica, dove non è tutto positivo o negativo. Ogni storia umana è sorprendente e affascinante. Noi abbiamo simpatia per l' umano. E tutto quello che ci aiuta a capirlo, è bello, è buono. È provocatorio».
Ebbene: in questo tempo di crisi e di trasformazione radicale del giornalismo, avrà un futuro l' informazione che non si piega al «mercato del banale» bensì sa offrirsi come «bene comune» e per questo chiede ai professionisti, sottolinea l' arcivescovo, competenze non solo tecniche ma passione per «l' onestà, la ricerca della verità e della realtà».
La sfida è «passare dall' essere semplicemente informazione all' essere provocazione, che costringe il lettore a prendere posizione di fronte alle ingiustizie e alle possibilità di rimedio». La sfida, insiste il presule, è quella di un «giornalismo di pace» che «non può risolvere tutti i problemi » ma, con «l' umiltà della non violenza», sa porre quel «gesto minimo» che diventa però «messaggio e provocazione», e sa che «dal gesto simbolico può nascere anche un cambiamento epocale ». Certo: la storia dei giornalisti aggrediti o uccisi per il loro impegno «ci ricorda che non è gratuita, l' esposizione al bene comune». «Ho fiducia che il bene fa bene e convince - riprende l' arcivescovo -. Noi possiamo abitare la carta stampata, la radio, la televisione, i social proponendo cose buone». Ecco, allora, l' invito ai giornalisti di oggi e e di domani «ad andare sul campo, avvicinare le persone, raccontare le storie, spendersi nella relazione». E coltivare il «rapporto col destinatario». Ecco, quindi, l' idea lanciata a giornalisti, studenti e docenti di «una campagna per un giornalismo made in Italy, un marchio per abilitare il lettore ad apprezzare quello che è buono, serio, argomentato. Sì, un marchio riconosciuto nel mondo come per i prodotti degli artigiani italiani».
Infine: come creare occupazione? Come impedire che tante passioni, competenze, intelligenze vadano sprecate? Questo è un «dramma comune dei giovani d' oggi», riconosce il presule, che chiede un doveroso impegno di politica e istituzioni. Ma «bisogna che anche voi giovani vi diate da fare in prima persona, creando prodotti nuovi di qualità da mettere sul mercato. Con quell'intraprendenza intelligente, onesta, sobria che fa parte dello spirito italiano».
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«La voce dei cristiani è sempre dettata dalla coerenza con i valori del Vangelo, non dall' opinione generale o dall' emotività del momento. Io credo che questo per i cristiani sia obbligatorio, come credo lo sia per tutte le persone di buona volontà. E vale anche per i giornalisti» (Mario Delpini, arcivescovo di Milano).
Con queste parole - offerte a margine dell'incontro con i giornalisti svoltosi ieri mattina all'Istituto dei ciechi di Milano in occasione della festa del loro patrono, San Francesco di Sales - l'arcivescovo ha risposto ad una cronista che gli ha mostrato la prima pagina di «Avvenire» di ieri, con il titolo di apertura «Ancora 'ostaggi'» - dedicato alla vicenda della nave «Sea Watch» bloccata al largo di Siracusa con 47 migranti salvati in mare - e ne ha preso spunto per chiedere al presule: «Che cosa dice del giornalismo che riesce a contrastare il pensiero dominante, come quello espresso da questo titolo di 'Avvenire'?»
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IN DIALOGO SUL «FUTURO DELL' INFORMAZIONE» - «Servire tutti, a partire dai senza voce». Sono sei, gli studenti delle scuole di giornalismo milanesi che hanno condiviso esperienze, dubbi, sogni, domande con il presule.
26.1.2019 - "Un giornalismo senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a dichiarazioni roboanti; un giornalismo fatto da persone per le persone, come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle che non hanno voce; un giornalismo che non bruci le notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il suo superamento attraverso processi virtuosi; un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale». Davide Arcuri, studente della Scuola di giornalismo della Cattolica, attinge alle parole del Papa sul «giornalismo di pace» per riflettere sul «processo di costruzione dell' opinione pubblica» e dialogare con l' arcivescovo Delpini. Sono sei, gli studenti delle scuole di giornalismo milanesi che hanno condiviso esperienze, dubbi, sogni, domande con il presule, ieri all' Istituto dei Ciechi in occasione dell' incontro dell' arcivescovo con i giornalisti nella festa del loro patrono, san Francesco di Sales.
«Il futuro dell'informazione», era il tema dell' incontro. Futuro che si fa presente fra ombre e luci, le prime più potenti e incombenti delle seconde, pur vive e feconde di percorsi di rinnovamento e rinascita, come hanno spiegato Fausto Colombo (direttore del Dipartimento di Scienze della comunicazione dell' Università Cattolica), Claudio Lindner (vicedirettore del master in giornalismo 'W. Tobagi' all' Università degli Studi di Milano), Marco Lombardi (direttore della Scuola di Giornalismo della Cattolica) e Ugo Savoia (coordinatore del master in Giornalismo alla Iulm), moderati da Alessandro Zaccuri, giornalista di Avvenire, intervenuti dopo i saluti portati da don Walter Magni, responsabile dell' Ufficio diocesano comunicazioni sociali, e da Alessandro Galimberti, presidente dell' Ordine dei giornalisti della Lombardia. Futuro che ha preso volto e voce nei volti, nelle parole, nelle storie e nelle speranze dei sei studenti che - sempre introdotti da Zaccuri - hanno dialogato con l' arcivescovo. Per ribadire, come ha fatto Elena Pavin della Cattolica, la convinzione che il giornalismo sia «il lavoro più bello del mondo» e meriti il massimo dell' impegno per sviluppare competenze - non solo tecniche - all' altezza delle sfide dei tempi nuovi. Com' è la sfida di un giornalismo autorevole anche nel mondo dei social network, ha ricordato Giorgia Fenaroli del master 'Tobagi'. Sarà il buon giornalismo a dare futuro all' informazione. «E fare buon giornalismo significa documentarsi, porsi domande, non fermarsi alle considerazioni fatte da altri», ha detto Enrica Iacono (Iulm). Un giornalismo da vivere con piena dedizione di sé. Come ha fatto Antonio Megalizzi, il giovane ucciso a Strasburgo, il cui esempio è stato additato da Beatrice Barbato (Iulm). Uno scenario, ha concluso Lucio Palmisano (Tobagi), che abbraccia anche la sfida di un nuovo patto con i lettori. (L.Ros.)