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Diritto di informare, la sentenza del Consiglio di Stato: vietato fare inchieste sui contratti segreti. Con una sentenza pasticciata, che contraddice la legge, negato il diritto di informare sulle operazioni finanziarie. Il 12 agosto il supremo giudice amministrativo ha definitivamente respinto la richiesta del giornalista Guido Romeo di ottenere copia di 13 contratti in derivati, per i quali è ancora presente la clausola di recesso anticipato, attualmente in vigore tra lo Stato italiano e banche e istituti finanziari. Ciò in quanto non sussisterebbe un interesse giuridicamente rilevante (come richiesto dalla legge 241/90) alla conoscenza di detti atti.

di Bruno Tinti/fattoquotidiano

Il 12 agosto il Consiglio di Stato ha definitivamente respinto la richiesta del giornalista Guido Romeo di ottenere copia di 13 contratti in derivati, per i quali è ancora presente la clausola di recesso anticipato, attualmente in vigore tra lo Stato italiano e banche e istituti finanziari. Ciò in quanto non sussisterebbe un interesse giuridicamente rilevante (come richiesto dalla legge 241/90) alla conoscenza di detti atti. La sentenza è scritta con linguaggio particolarmente involuto ma, in sostanza, sostiene che il diritto di informare non è motivo che legittimi la richiesta di accesso a documenti della Pubblica amministrazione. Il CdS conferma così la paradossale affermazione del Tar secondo cui se fosse “sufficiente l’esercizio dell’attività giornalistica ed il fine di svolgere un’inchiesta… su una determinata tematica per ritenere, per ciò solo, il richiedente autorizzato ad accedere a documenti della PA sol perché genericamente riconducibili all’oggetto di detta ‘inchiesta’, si finirebbe per introdurre una sorta di inammissibile azione popolare sulla trasparenza dell’azione amministrativa che la normativa sull’accesso non conosce…”. Paradossale, poiché i documenti richiesti non erano “genericamente riconducibili” all’inchiesta ma ne costituivano l’oggetto; e poiché l’informazione giornalistica non è certo ontologicamente funzionale ad “azioni popolari sulla trasparenza dell’attività amministrativa” ma esclusivamente a un’informazione la più completa possibile che consenta conoscenza e consapevolezza, condizioni minime per la sussistenza di una società democratica.


Fin qui si tratta di ovvietà. Dove la sentenza rivela la sua funzionalità ad impedire che l’opinione pubblica sia informata della gestione economica delle risorse nazionali (ricordiamoci che si tratta di contratti che – in ipotesi – si prospettano sfavorevoli per lo Stato, per alcuni dei quali è tuttavia presente la possibilità di un recesso anticipato), è nella parte in cui sostiene che, pur dovendosi tener conto del DL n. 97 del 2016 art. 5, restano i limiti previsti dall’art. 5 bis. In tal caso, la “PA dovrà in concreto valutare se i limiti ivi enunciati siano da ritenere in concreto sussistenti”. Motivazione contraddetta da specifiche disposizioni di legge.


Art.5: “Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis.” Quindi “chiunque”; non è necessario “l’interesse giuridicamente rilevante” previsto dalla legge 241/90. Sicché l’affermazione “si deve tener conto, nella suddetta valutazione, anche delle peculiarità della posizione legittimante del richiedente” è in contrasto con la legge.


Quanto al rispetto dei limiti di cui all’articolo 5 bis, essi riguardano sicurezza pubblica e ordine pubblico; difesa e le questioni militari; relazioni internazionali; politica e stabilità finanziaria ed economica dello Stato; indagini penali; protezione dei dati personali; libertà e segretezza della corrispondenza; interessi economici e commerciali di persone fisiche o giuridiche; segreto di Stato. Con tutta evidenza, l’unica previsione rilevante nel caso di specie è quella che riguarda la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato. Su questo punto il CdS avrebbe dovuto motivare: la conoscenza dei documenti attinenti alla stipulazione dei contratti derivati avrebbe pregiudicato la politica e la stabilità finanziaria dello Stato? Nessuno lo sa poiché nessuno conosce detti documenti. Ma è significativo che il ministero del Tesoro non ne abbia rifiutato l’accesso con questa motivazione (in realtà non ha dato nessuna motivazione, semplicemente non ha risposto all’istanza del giornalista Romeo). E ancora più significativo è che il CdS non abbia motivato su questo punto. Perché, se lo avesse fatto, avrebbe dovuto riconoscere che, in mancanza di opposizione da parte del Ministero del Tesoro fondata su una delle previsioni di cui all’articolo 5 bis del DL 97/2016, la richiesta del giornalista avrebbe dovuto essere accolta. Insomma, come chiunque a questo punto avrà capito, si doveva nascondere un pessimo affare e un danno per lo Stato di chissà quale ammontare. È così è stato.


 





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