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IL COMMENTO. Tagli alle pensioni, il difficile equilibrio tra conti e diritti. ATTACCO FRONTALE ALLA CORTE COSTITUZIONALE. Il prof. Enrico De Mita demolisce la sentenza 173/16 con la quale la Consulta ha legittimato il prelievo Letta sugli assegni Inps e Inpgi. “Secondo la Corte il prelievo istituito dal comma 486, articolo 1, legge 147/2012 non è configurabile come tributo non essendo acquisito allo Stato, né destinato alla fiscalità generale essendo prelevato in via diretta dall’Inps e dagli enti previdenziali coinvolti i quali lo trattengono all’interno delle proprie gestioni. La tesi non è persuasiva. Si confonde pubblico con statuale, mentre la finalità del concorso è quella generale della collettività. Configurare la spesa degli enti previdenziali come avulsi dalle finalità dell’ordinamento appare una forzatura. Le prestazioni imposte si caratterizzano solo per l’imposizione (senza che la volontà del privato vi concorra) e possono coprire una vasta gamma di prestazioni, mentre le prestazioni finalizzate alla spesa pubblica, sono sempre tributarie, qualunque sia il settore o l’ambito di essa. La Corte è costretta a “inventare” garanzie costituzionali incomprensibili quando dice che il contributo di solidarietà è consentito al legislatore ove non ecceda i limiti di ragionevolezza e affidamento e della tutela previdenziale. Quando il sacrificio «trova giustificazione nell’emergenza economica ma nella sostanza è un tributo, se questo viola i principi costituzionali l’imposizione è incostituzionale». La Corte è un giudice che fa politica. Il sillogismo puramente logico deve cedere il passo alle ragioni concrete che la Corte, collegialmente, adotta. Dunque il contributo non è un tributo, con tutte le cautele confuse che la Corte ha dovuto scrivere. La Corte, ha scritto Sabino Cassese, si interessa di politica sotto specie di diritti, attraverso il diritto. È giudice delle regole non dei fini. Nella sentenza in esame è chiaro che la Corte voleva tutelare dei fini ma la motivazione in diritto è posticcia".

di Enrico De Mita,il sole 24 ore 24 luglio 2016

Tagli alle pensioni, il difficile equilibrio tra conti e diritti –di Enrico De Mita | 24 Luglio 2016 Il contributo di solidarietà per il triennio 2014-2016 su tutti i trattamenti pensionistici eccedenti determinati limiti stabiliti in relazione al trattamento minimo Inps è stato ritenuto incostituzionale per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, stante la sua natura tributaria, dalle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti per le Regioni Veneto, Umbria, Campania e Calabria. La natura di rilievo tributario «al di là del nomen iuris utilizzato» si ricava, secondo i giudici remittenti, dai seguenti requisiti: prestazione doverosa; imposizione per legge in assenza di rapporto sinallagmatico tra le parti; destinazione al finanziamento della spesa pubblica; correlazione ad un presupposto economicamente rilevante, che rappresenta indice di capacità contributiva.


Secondo la Corte costituzionale (173/2016) la questione non è fondata perché ci troviamo di fronte ad una prelievo del genus delle “prestazioni imposte” per legge di cui all’articolo 23, avente finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale. L’articolo 53 della Costituzione definisce il tributo come concorso alla spesa pubblica. E per spesa pubblica non si intende solo la spesa statale ma tutto ciò che interessa la collettività. Infatti, il concorso agli oneri finanziari del sistema previdenziale non è concorso alla spesa pubblica. È pur vero che tutti i tributi sono prestazioni imposte, ma non tutte le prestazioni imposte sono tributi. C’è da chiedersi allora quale sia la nota differenziale. Secondo la Corte il prelievo istituito dal comma 486, articolo 1, legge 147/2012 non è configurabile come tributo non essendo acquisito allo Stato, né destinato alla fiscalità generale essendo prelevato in via diretta dall’Inps e dagli enti previdenziali coinvolti i quali lo trattengono all’interno delle proprie gestioni. La tesi non è persuasiva. Si confonde pubblico con statuale, mentre la finalità del concorso è quella generale della collettività. Configurare la spesa degli enti previdenziali come avulsi dalle finalità dell’ordinamento appare una forzatura. Le prestazioni imposte si caratterizzano solo per l’imposizione (senza che la volontà del privato vi concorra) e possono coprire una vasta gamma di prestazioni riconducibili anche a rapporti sinallagmatici di diritto privato (come ad esempio l’equo canone), mentre le prestazioni finalizzate alla spesa pubblica, sono sempre tributarie, qualunque sia il settore o l’ambito di essa. La Corte è costretta a “inventare” garanzie costituzionali incomprensibili quando dice che il contributo di solidarietà è consentito al legislatore ove non ecceda i limiti di ragionevolezza e affidamento e della tutela previdenziale. Si richiede, secondo la Corte, uno scrutinio «stretto» di costituzionalità, che impone un grado di ragionevolezza complessiva «ben più elevato» di quello che normalmente è affidato alla mancanza di arbitrarietà. Ma queste sono regole che la Corte deve sempre osservare e la ragionevolezza è sempre la stessa. Il punto che più colpisce il lettore della sentenza è dove si afferma che il contributo costituisce «una misura del tutto eccezionale nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema previdenziale». La verità è che la scelta della Corte è fatta “a naso” perché una volta esclusa la natura tributaria non c’era bisogno di invocare una serie di altre garanzie costituzionali (per altro incomprensibili). La crisi del sistema previdenziale è la vera motivazione della Corte, una crisi contingente e grave. Lo Stato legislatore ha creduto di risolvere il problema con un tributo mentre non poteva farlo alla luce della precedente giurisprudenza (116/2013) secondo la quale le finalità di politica economica anche riconducibili a una situazione di emergenza e la denominazione generica di determinati sacrifici imposti non consentono la violazione dei principi costituzionali in specie la parità di trattamento in materia. Quando il sacrificio «trova giustificazione nell’emergenza economica ma nella sostanza è un tributo, se questo viola i principi costituzionali l’imposizione è incostituzionale». La Corte è un giudice che fa politica. Il sillogismo puramente logico deve cedere il passo alle ragioni concrete che la Corte, collegialmente, adotta. Dunque il contributo non è un tributo, con tutte le cautele confuse che la Corte ha dovuto scrivere.


Quando scrissi che la giurisprudenza costituzionale poteva tracciare le linee di un ordinamento razionale, Antonio Berliri replicò, per raffreddare il mio entusiasmo, ricordandomi che «la Corte deve risolvere solo problemi pratici». Ma anche di fronte alle esigenze della pratica la motivazione deve avere un minimo di linearità logica mentre la sentenza in esame nella motivazione appare alquanto confusa e oltre tutto in contraddizione con le sue precedenti pronunce. La Corte, ha scritto Sabino Cassese, si interessa di politica sotto specie di diritti, attraverso il diritto. È giudice delle regole non dei fini. Nella sentenza in esame è chiaro che la Corte voleva tutelare dei fini ma la motivazione in diritto è posticcia.


 


 


 





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