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PENSIONI. L'attacco del Governo agli assegni di reversibilità un vero e proprio tradimento del patto Stato-cittadini. La convivenza civile presuppone la salvaguardia dello stato di diritto. Il Governo non deve cedere alla tentazione di risolvere i problemi imboccando la strada perversa dell'invidia sociale e della contrapposizione generazionale o fomentando una guerra tra poveri.

di Giovanni Deriu*

E' ormai evidente il tentativo del governo di approfittare del prossimo disegno di legge delega sul riordino del comparto assistenziale dell'INPS per infierire ulteriormente sui diritti di reversibilità previdenziale. Cioè   sugli  emolumenti pensionistici del caro estinto trasferiti alla moglie, per la quota di sua spettanza, già peraltro così falcidiata negli anni passati da non garantire più  l'identico tenore di vita goduto durante  la permanenza in vita del coniuge. Quasi che la vedovanza, oltre a significare di per se stessa un momento di triste passaggio in una fascia più debole della società, fosse una colpa  con annessa ulteriore pena da scontare. Un vero e proprio tradimento del patto siglato con lo Stato all'epoca  dell'attività lavorativa: il diritto quesito con le vecchie leggi che costituì a suo tempo il presupposto di una carriera piuttosto che di un'altra e del connesso progetto di vita proprio e di quello del coniuge proiettato  nel futuro non sarebbe rispettato.


Questo disgustoso obbrobrio non riguarda solo la correttezza sostanziale dello  Stato o la furberia di immettere  in una tematica concernente  l'assistenza una delega in bianco estesa a trattare temi di natura distinta che con la parte assistenziale dell'INPS niente hanno a che vedere. E' necessario, infatti, evidenziare accanto ad una carenza di forma (la reversibilità fa parte del comparto previdenziale) sopratutto  un difetto di sostanza.


È palese la propensione alla suddivisione del Paese in compartimenti stagni, alcuni dei quali, più facilmente saccheggiabili (quello dei pensionati) vengono identificati come fonte di risorse necessarie a risolvere problemi sicuramente importantissimi (la povertà, la disoccupazione giovanile) che in realtà riguardano l'Italia nel suo complesso; cioè anche tutti gli altri cittadini, già peraltro cronicamente dissanguati, così come le imprese, con tasse, balzelli, accise e oneri vari.


I termini solidarietà, equità, proporzionalità vanno riportati nello scenario molto più ampio che loro compete, cioè in un quadro di priorità d'intervento che comprenda i ben noti ma mai sciolti nodi concernenti gli aspetti deleteri dell'impalcatura dello Stato (sovrapposizione delle competenze degli uffici  e delle istituzioni, ed altre forme di lacci burocratici, corruzione, spese della politica, evasione,  etc etc etc) che stanno alla base della mancata ripresa economica.


Si può fare riferimento alle passate esperienze per prevedere che motivazioni di operazioni  cosi grette e giustificazioni dell'appropriazione indebita  che ne deriva si baseranno su sofismi pretestuosi, su tecnicismi burocratici, su interventi  mediatici, come quello di Oscar Giannino su “Il  Gazzettino” di qualche giorno orsono, elegante,  ben argomentato e perfettamente articolato, anche se  contenente alcune imprecisioni forse anch'esse strumentali  alla ricerca dell'approvazione di operazioni di cassa.


Richiamano l'attenzione sul dito senza mettere in evidenza la luna, immensa. Lo stato di diritto va salvaguardato nel paese e il governo non deve cedere alla tentazione di risolvere i problemi imboccando la strada perversa della invidia sociale e della contrapposizione generazionale, o fomentando una guerra tra poveri.


Le risorse necessarie per risolvere problemi  peraltro reali vanno   trovate correggendo i difetti strutturali del Paese ed affrontando le ben note criticità sopra riportate, e non identificandole solamente con calcoli economici e ragionieristici, di cui è un esempio la vile vessazione iniziata con la legge Dini delle povere e indifese vedove, a sfregio dello spirito della Costituzione. In spregio alla Politica, quella con la P maiuscola!


Purtroppo  il calo della spesa pubblica (26 miliardi di euro negli ultimi due anni)  è legata solo in piccola parte a interventi atti a migliorare l’efficienza ed a sanare i difetti  della pubblica amministrazione come risulta dalla relazione di Pasquale Squitieri, presidente della Corte dei conti.


Gli interventi di taglio delle spese  per consentire l’approvazione del rapporto Debito/PIL da parte dell’UE unitamente al reperimento delle risorse necessarie a garantire il funzionamento della macchina dello stato soprattutto grazie al prelievo fiscale mostruoso su cittadini ed imprese, attuato spesso con vere e proprie operazioni di borseggio o di appropriazione indebita, hanno ormai già per certi versi  raschiato il fondo del barile; l’equilibrio raggiunto con una richiesta di flessibilità all’Europa ha il significato  di aumento del debito pubblico.


L’austerity imposta dall’Europa poteva e può forse ancora essere considerata invece un’opportunità per il nostro Paese, se utilizzata strumentalmente per giustificare ineluttabili e pragmatiche operazioni  radicali e rapide  sulle vere radici strutturali del male, uniche  capaci  di  conseguire obbiettivi da molto tempo auspicati, due dei quali,concatenati, è giusto sottolineare: un maggior bene per le persone ed una ripresa dell’economia.


*Olim professore ordinario, Prorettore università' di Padova


 


 


 


 


 


 


  





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