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La fiscalità sulle pensioni. I pensionati italiani, fra mancate indicizzazioni e carico fiscale indecente per un paese civile, sono già “tosati” oggi ben oltre il lecito! Il confronto con Francia e Germania.

di Guglielmo Gandino


Da qualche tempo si fa un gran parlare della necessità di “tosare le pensioni d’oro” già erogate con il sistema retributivo - intendendosi per tali quelle superiori ai 2.000-2.500 euro lordi al mese - ricalcolandole con il sistema contributivo. Il ministro Poletti infuocò la scorsa estate con le sue proposte sul tema, e ora il neo-Presidente INPS Boeri si esercita in simulazioni approssimative per conquistare l’opinione pubblica e forzare le decisioni del governo.


Qualcuno si spinge anche fare comparazioni con altri paesi europei. Peccato che tutti parlino sempre soltanto di pensioni lorde tralasciando, secondo me volutamente, di addentrarsi sul tema della fiscalità.


Prendiamo il caso di un lavoratore con coniuge a carico senza altri redditi, che abbia versato contributi per 40 anni e che percepisca una pensione di 55.000 euro lordi all’anno ripartiti su tredici mensilità, che corrispondono a 4.230 euro lordi al mese. Questo pensionato, che riceve un assegno mensile pari a quasi 8,5 volte il minimo INPS, viene classificato dai nostri politici e dai media come un “pensionato d’oro”, quindi soggetto a tutti i blocchi totali e parziali dell’indicizzazione al costo della vita (la cosiddetta perequazione automatica che automatica non è!), con il risultato che - negli ultimi 15 anni - ha già perso quasi il 20% del potere di acquisto della sua pensione.


Il pensionato in esame a fronte di un lordo di 55.000 euro riceve una pensione netta mensile di 2.830 euro, considerando le aliquote dei normali scaglioni irpef, la detrazione riproporzionata per coniuge a carico e un 2,5% medio di addizionali. Quindi il suo lordo è decurtato del 33%, ossia versa allo Stato ogni anno un’imposta sul reddito di oltre 18.000 euro.


Un pensionato francese, con la stessa pensione di 55.000 euro lordi all’anno, invece incassa un netto mensile di 3.890 euro, e cioè oltre 1.000 euro in più rispetto al suo omologo italiano.  Il suo lordo è decurtato dell’8%, quindi verserà allo Stato ogni anno un’imposta sul reddito di circa  4.500 euro.


Un pensionato tedesco, con la stessa pensione di 55.000 euro lordi all’anno, invece incassa un netto mensile di 3.750 euro, pari a 900 euro in più del suo omologo italiano.  Il suo lordo è decurtato dell’11,40%, quindi verserà allo Stato ogni anno un’imposta sul reddito di 6.280 euro.


Quale è la principale ragione di questa abnorme differenza?


Semplice. Sia in Francia che in Germania si adotta il “quoziente famigliare”, per cui trattandosi di una coppia anziana mono-reddito, le aliquote fiscali in vigore si applicano dopo avere “splittato” l’unico reddito fra i due componenti della famiglia, oltre agli abbattimenti dell’imponibile previsti. In questo modo l’aliquota marginale passa dal 33% dell’Italia al 14% di Francia e Germania.


Un consiglio al Ministro Poletti e al Presidente Boeri: invece di parlare impropriamente di “pensioni d’oro”, perché non si guarda oltre confine a questi due Paesi che tutti portano sempre ad esempio? In questo modo non vi sarà difficile capire che i pensionati italiani, fra mancate indicizzazioni e carico fiscale indecente per un paese civile, sono già “tosati” ben oltre il lecito!






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