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IL SOLE 24 ORE del 15 gennaio 2008

La Suprema Corte: lo stabilimento non evita l'Ordine

In Italia dalla Ue? Serve l'Albo

“I cittadini dell'Unione Europea possono esercitare liberamente le loro rispettive professioni negli Stati membri, in quanto siano muniti dei relativi titoli e questi siano sottoposti al necessario vaglio preventivo dei rispettivi ordini professionali, tuttora previsti e disciplinati dalla normativa di settore dettata dai singoli ordinamenti giuridici, quale quello vigente nel nostro paese”.

IN CODA IL TESTO DELLA SENTENZA

Deve essere iscritto all'Albo il professionista comunitario che voglia esercitare in Italia. Lo ribadisce la Cassazione penale (10 dicembre 2007, n. 46067, presidente Oliva, relatore Matera), che affronta il tema del diritto di stabilimento.
Una psicologa e psicoterapeuta con laurea conseguita in Slovenia e formazione realizzata in Germania, risultava in quest'ultimo Stato abilitata alla professione. In Italia era tuttavia scattata una denuncia per esercizio abusivo di professione, mancando qui l'iscrizione all'Albo. L'attività era infatti iniziata quando il ministero della Giustizia non aveva completato la procedura di riconoscimento della laurea ed erano sorti dubbi sull'utilizzabilità in Italia dell'abilitazione tedesca. In tale situazione la Corte ha confermato la condanna per esercizio abusivo di attività professionale protetta, sottolineando che i cittadini dell'Unione possono esercitare le professioni negli Stati membri, ma solo se muniti dei relativi titoli superando il vaglio preventivo dei rispettivi Ordini, con obbligo d'iscrizione all'Albo.
Per la professione protetta di psicologo, la legge 56/1989 esige un esame di Stato – previa laurea e tirocinio – nonché l'iscrizione nell'Albo professionale. Anche lo psicoterapeuta, dopo la laurea in psicologia o in medicina e chirurgia, deve seguire un corso quadriennale di formazione e iscriversi all'Albo.

Tutto ciò non contrasta con le direttive comunitarie 77/49 e 89/48, che, come diritto "di stabilimento", rendono possibile esercitare la professione in uno Stato dell'Unione diverso da quello in cui si è acquisita una qualifica professionale, alle stesse condizioni previste per cittadini dello Stato in cui ci si intende stabilire.


Tali direttive, afferma la Cassazione, lasciano impregiudicata la disciplina nazionale dell'accesso alle singole professioni e non eliminano l'obbligo di iscrizione in Albi. Quindi, tale iscrizione è necessaria anche per i cittadini dell'Unione che ottengano il riconoscimento, da parte delle autorità interne competenti, della validità ed idoneità dei titoli conseguiti nello Stato di origine.


Questo orientamento sarà applicabile anche quando opererà la direttiva Bolkstein (2006/123/Ce), che non riguarda i servizi sanitari e fa salvo l'obbligo, per esercitare l'attività, di essere iscritto in un Albo professionale. La direttiva – che esclude dalle "libere prestazioni" l'attività riservata, in uno Stato membro, ad una professione specifica – avrà invece effetto sulle comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate. Verrà, quindi, meno qualsiasi divieto di forme di comunicazione commerciale per determinate professioni (come già anticipo dall'articolo 2 del Dl 223/2006 "Bersani"). Su cui, tuttavia, vigileranno gli Ordini.


Gu.S.


…………………………………………


ESERCIZIO ABUSIVO


Cass. pen. Sez. VI, (ud. 29-10-2007) 10-12-2007, n. 46067


 


REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


SEZIONE SESTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:


Dott. OLIVA Bruno - Presidente


Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere


Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere


Dott. CARCANO Domenico - Consigliere


Dott. MATERA Lina - Consigliere


ha pronunciato la seguente sentenza


sul ricorso proposto da:


 


1) S.M. N. IL (OMISSIS);


avverso SENTENZA del 20/02/2007 CORTE APPELLO di PERUGIA;


 


visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;


udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. MATERA LINA;


sentito il P.G. in persona del Dott. DELEHAYE Enrico che ha chiesto il rigetto del ricorso.


 


Svolgimento del processo - Motivi della decisione


1) Con sentenza in data 16-12-2005 il Tribunale di Perugia dichiarava S.M. colpevole del reato di esercizio abusivo della professione di psicologa e psicoterapeuta analitica (fatto commesso in (OMISSIS) nell'anno (OMISSIS)), e la condannava alla pena di Euro 450,00 di multa.


A seguito del gravame proposto dall'imputata, con sentenza del 20-2- 2007, depositata il 22-3-2007, la Corte di Appello di Perugia, in parziale riforma della decisione di primo grado, previa concessione delle attenuanti generiche, riduceva la pena inflitta alla S. ad Euro 300,00 di multa, confermando per il resto l'impugnata sentenza.


2) Ricorre per cassazione la S., a mezzo del difensore, deducendo:


 


1) Violazione dell'art. 348 c.p. in relazione alle Direttive 22/3/1977 n. 77/49, 21-12-88 n. 89/48, 16/2/98 n. 98/5.


Ai sensi dell'art. 348 c.p., commette il reato di esercizio abusivo della professione colui che la esercita in difetto dei titoli professionali. Nella specie, difetta l'elemento materiale richiesto per la configurabilità di tale reato, in quanto la S. è una psicologa-psicoterapeuta che ha conseguito il titolo professionale in (OMISSIS). L'imputata, infatti, ha conseguito la laurea in psicologia presso l'Università di Lubiana (Slo) e completato la propria formazione in psicoterapia analitica presso la Westdeutscbe Akademie, dove, dopo un praticantato di 806 ore ed una supervisione di 200 ore, ha conseguito l'attestato di diploma, che l'abilita all'esercizio della professione di psicoterapeuta in tutto il territorio della (OMISSIS).


2) Violazione di legge in relazione alle Direttive 22/3/1977 n. 77/49, 21-12-88 n. 89/48, 16/2/98 n. 98/5, quali norme che completano la norma in bianco ex art. 348 c.p..


Gli elementi materiali del reato ascritto all'imputata difettano anche in applicazione della normativa comunitaria che va a completare l'art. 348 c.p., tipico esempio di norma in bianco. Il reato contestato, infatti, non può ravvisarsi, come vorrebbe la Corte di Appello, nel fatto che la S., all'epoca dei fatti, non era iscritta in un albo professionale italiano; e ciò in quanto, alla luce della normativa comunitaria relativa alla circolazione delle merci, delle persone e dei servizi (anche professionali), un professionista può esercitare in qualsiasi Stato dell'Unione senza essere iscritto negli professionali di quest'ultimo, purchè possieda i titoli professionali nello Stato di provenienza.


3) Violazione e/o erronea interpretazione della normativa comunitaria in materia di prestazione di servizi professionali e libertà di stabilimento (Direttive 22/3/1977 n. 77/49, 21-12-88 n. 89/48, 16/2/98 n. 98/5).


La contestazione mossa all'imputata si pone in contrasto con le menzionate Direttive Comunitarie. In base alla Direttiva 22/3/1977 n. 77/49, infatti, ogni professionista deve essere ammesso a prestare liberamente i propri servizi professionali in ogni altro Stato Europeo con il titolo del proprio paese di origine e senza preclusioni dipendenti dalla cittadinanza o dalla residenza. La Direttiva 21-12-88 n. 89/48, prevede l'obbligo per il paese ospitante di riconoscere come abilitato alla professione colui che ha portato a termine il complesso iter formativo che consente nel paese di origine l'esercizio della professione. La Direttiva 16/2/98 n. 98/5, infine, stabilisce che ogni professionista può esercitare stabilmente la propria attività professionale, utilizzando il proprio titolo di origine. Nella specie, pertanto, non può parlarsi di esercizio abusivo della professione, poichè la S. esercitava l'attività di psicologa nello Stato Italiano essendo in possesso dei titoli accademici e di abilitazione rilasciati in altro Stato Europeo e, quindi, nel pieno rispetto delle Direttive sulla libertà di stabilimento.


4) Estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Trattandosi di delitto per il quale è prevista la pena della reclusione inferiore ai 5 anni o la pena della multa, il termine di prescrizione si è compiuto, muovendo dai due eventi internativi del decreto di citazione a giudizio e della sentenza di condanna, il termine di prescrizione di cui all'art. 160 c.p., u.c..


5) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 133 c.p.. La falsa applicazione dell'art. 133 c.p. ha comportato una falsa applicazione delle attenuanti e, di conseguenza, l'applicazione di una pena eccessiva in capo all'imputata.


 


3) I primi tre motivi del ricorso, attinenti alla configurabilità, nel caso di specie, del contestato reato di esercizio abusivo della professione, appaiono infondati.


 


Sulla base delle deposizioni testimoniali rese da T.I., presidente dell'Ordine professionale degli psicologi della Regione Umbria, e da R.E., funzionaria responsabile delle "Libere professioni" del Ministero della Giustizia, i giudici di merito hanno ritenuto certo, in punto di fatto, che l'imputata, benchè munita della laurea in psicologia rilasciatale dall'Università di Lubiana e del titolo di specializzazione conseguito presso l'istituto tedesco "West Deutsche Akademie", all'epoca dei fatti per cui è causa non era iscritta nè nel competente albo professionale della Regione Umbria nè in qualsiasi albo nazionale; e ciò per la ragione ostativa che il Ministero della Giustizia non aveva ancora completato la necessaria procedura per il riconoscimento dei due predetti titoli, dei quali, peraltro, come precisato dalla teste R., solo il primo - la laurea - è considerato valido ed idoneo ad essere riconosciuto.


Sulla base di tali emergenze, la Corte di Appello, condividendo il giudizio espresso dal giudice di primo grado circa la penale responsabilità dell'imputata, ha ritenuto che quest'ultima ha esercitato abusivamente la professione di psicologa e psicoterapeuta, rilevando, in particolare, che in tanto i cittadini dell'Unione Europea possono esercitare liberamente le loro rispettive professioni negli Stati membri, in quanto siano muniti dei relativi titoli e questi siano sottoposti al necessario vaglio preventivo dei rispettivi ordini professionali, tuttora previsti e disciplinati dalla normativa di settore dettata dai singoli ordinamenti giuridici, quale quello vigente nel nostro paese.


 


4) La pronuncia impugnata resiste alle censure mosse dalla ricorrente.


 


Come è noto, la condotta esecutiva del delitto di cui all'art. 348 c.p. consiste nel compimento di atti di esercizio di una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato, senza aver conseguito tale abilitazione.


La norma è volta a tutelare l'interesse generale, riferito in via diretta e immediata alla P.A., che determinate professioni, richiedenti, tra l'altro, particolari competenze tecniche, vengano esercitate soltanto da soggetti che abbiano conseguito una speciale abilitazione amministrativa (Cass. Sez. 2, 21-11-2006 n. 3627; Cass. Sez. 6, 18-4-2007 n. 17203).


Al riguardo, va evidenziato che l'art. 348 c.p. ha natura di norma penale in bianco, che presuppone l'esistenza di norme giuridiche diverse, qualificanti una determinata attività professionale, le quali prescrivono una speciale abilitazione dello Stato ed impongano l'iscrizione in uno specifico albo, in tal modo configurando le cosiddette professioni protette (Cass. 3-4-1995 n. 9089). Trattasi, propriamente, di altre disposizioni che, essendo sottintese nell'art. 348 c.p., sono integrative della norma penale ed entrano a far parte del suo contenuto, cosicchè la violazione di esse si risolve in violazione della norma incriminatrice (Cass. 15-11-1966 n. 2546; Cass. Sez. 6, 1-6-1989 n, 59; Cass. Sez. 6, 6-12-1996 n. 1632).


In particolare, per l'esercizio della professione di psicologo, ai sensi della L. 18 febbraio 1989, n. 56, art. 2, n. 1, è necessario aver conseguito l'esame di Stato (riservato ai laureati in psicologia in possesso di adeguata documentazione attestante l'effettuazione di un tirocinio pratico secondo modalità stabilite con decreto del Ministero della Pubblica Istruzione) ed essere iscritti nell'apposito albo professionale.


Per quanto riguarda l'attività di psicoterapeuta, il relativo esercizio, a norma dell'art. 3, stessa legge, è subordinato ad una specifica formazione professionale, da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in psicologia o in medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento in psicoterapia, attivati, ai sensi del D.P.R. n. 162 del 1982, presso scuole di specializzazione universitaria o presso istituti a tal fine riconosciuti.


Nel caso di specie, avendo il giudice di merito accertato, con apprezzamento non censurabile in questa sede, che la S. ha esercitato atti riservati alla professione di psicologa e di psicoterapeuta, ed essendo del pari incontroverso che la ricorrente, all'epoca dei fatti, non aveva ottenuto il riconoscimento dei titoli conseguiti in paesi membri dell'Unione Europea e non era iscritta in nell'albo degli psicologi, non può dubitarsi della riconducibilità della condotta dell'imputata nella fattispecie criminosa prevista dall'art. 348 c.p..


 


5) Non vale, ad escludere la responsabilità penale della prevenuta, il richiamo alle direttive comunitarie che prevedono il cd. diritto di "stabilimento".


Premesso che risulta inconferente il riferimento alla direttiva n. 98/5 del 16-2-98 (che riguarda specificamente la professione di avvocato), si osserva che le direttive dettate in materia di stabilimento comportano, in particolare, per i cittadini di uno Stato membro, la facoltà di stabilirsi ed esercitare la loro professione in uno Stato dell'Unione diverso da quello in cui essi hanno acquisito la loro qualifica professionale, alle stesse condizioni previste per cittadini dello Stato "di stabilimento".


Tali direttive, tuttavia, in armonia con le loro finalità, si astengono dal disciplinare situazioni giuridiche meramente interne.


Esse, pertanto, lasciano impregiudicata la disciplina nazionale relativa all'accesso alle singole professioni e al loro esercizio con il titolo professionale dello Stato ospitante; e non incidono, in particolare, sulle norme interne che sanciscono, per determinate professioni, l'obbligo di iscrizione nell'apposito Albo professionale.


Orbene, poichè ai fini del legittimo esercizio dell'attività di psicologo e di psicoterapeuta nel nostro Stato è necessario trovarsi in possesso dei requisiti richiesti dalla citata L. n. 56 del 1989, non può non valere, anche per i cittadini degli Stati membri, l'obbligo di iscrizione nell'albo professionale degli psicologi (ovvero, per l'esercizio dell'attività di psicoterapeuta, anche nell'albo dei medici-chirurghi), previo riconoscimento, da parte delle autorità interne competenti, della validità ed idoneità dei titoli conseguiti nel Paese di origine; iscrizione e riconoscimento che, come si è detto, all'epoca dei fatti l'imputata non aveva conseguito.


 


6) Il quarto motivo è infondato. Poichè, infatti, secondo il capo d'imputazione, il reato contestato all'imputata è stato commesso nell'anno 2000, il termine massimo di prescrizione, pari ad anni 7 e mesi sei, verrà a scadere solo nel giugno 2008, come correttamente rilevato nell'impugnata sentenza.


 


7) Il quinto motivo di ricorso è inammissibile, non contenendo, per la sua genericità, di cogliere le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda il denunziato vizio.


 


8) Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.


 


P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.


 


Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2007.


 





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