Strasburgo, 12 dicembre 2007. La "Carta europea dei diritti fondamentali" è stata proclamata solennemente dai leader delle tre istituzioni europee in una movimentata seduta speciale al Parlamento europeo.
Il documento è stato firmato in aula dal presidente di turno dell'Ue, il premier portoghese Josè Socrates, dal presidente della Commissione Ue Josè Manuel Durao Barroso e da quello dell'Europarlamento Hans Gert Poettering, mentre continuava la protesta di alcuni deputati (euroscettici, tra i quali l'italiano Mario Borghezio, e della sinistra radicale) che hanno continuato a scandire "referendum, referendum" durante la cerimonia. Una protesta che ha suscitato polemiche. "Gli urlatori verranno dimenticati mentre la carta dei diritti fondamentali rimane", ha affermato Poettering, commentando la protesta, dalla quale hanno preso le distanze il capogruppo del Gue Francis Wurtz e Vittorio Agnoletto, eurodeputato dello stesso gruppo.
"Vorrei a titolo personale e spero a nome del mio gruppo condannare in modo assoluto la manifestazione antieuropea, sciovinista e indegna di questa mattina", ha affermato Wurtz mentre per Agnoletto "è stato un grave errore politico che alcuni parlamentari della sinistra abbiano confuso le loro legittime richieste di un referendum sul prossimo Trattato europeo con la contestazione contro la Carta dei diritti da parte dell'estrema destra".
Il leader del gruppo liberaldemocratico Graham Watson ha condannato l'episodio definendo "hooligans parlamentari" i contestatori, fra i quali ha indicato anche gli euroscettici britannici e quelli polacchi.
La carta è composta di 54 articoli divisi in sei sezioni: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia.
Il testo, proclamato solennemente oggi dalle istituzioni Ue, non fa parte del trattato che sarà firmato domani a Lisbona dai leader dei ventisette, ma sarà richiamato in uno degli articoli del nuovo trattato, attribuendo carattere vincolante alla Carta.
Nel consiglio europeo di giugno Polonia e Gran Bretagna hanno ottenuto un "opt out" per quanto riguarda l'applicazione della Carta nella giurisprudenza nazionale.
Da: L’Unità del 13 dicembre 2007
Carta dei diritti dell'Ue:
discriminazioni vietate
di Sergio Sergi
La proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, compiuta in maniera solenne ieri nell’aula del Parlamento europeo a Strasburgo, per una casuale ma provvida coincidenza è caduta nel pieno dell’incomprensibile polemica sulle discriminazioni a carattere sessuale che imperversa in Italia. L’Europa, come spesso e a torto si pensa, alla fine dei conti torna utile. Perché quella Carta dei diritti, tanto osteggiata anche da intere leadership europee, politiche e del mondo dell’impresa, dopo la ratifica del nuovo Trattato europeo (che si firma oggi a Lisbona), diventerà uno degli strumenti principali, a carattere vincolante, per l’elaborazione delle politiche dell’Ue. E, nel caso dei diritti delle persone, il faro di riferimento contro ogni violazione, abuso o prevaricazione. Con tanto di possibilità di ricorrere all’autorità giurisdizionale.
Tanto per restare in tema, basta rifarsi all’articolo 1 che sancisce come la «dignità umana sia inviolabile e deve essere rispettata e tutelata», ma in particolar modo all’articolo 21 che sta nel capitolo delle «Uguaglianze» e che si occupa della «non discriminazione». È l’articolo che vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, la razza, il colore della pelle, l’origine etnica e sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione, le convinzioni personali, le opinioni politiche, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età e, infine ma non ultime, le tendenze sessuali.
Eccoci qua al punto. Forse, bastava, nel decreto sulla sicurezza, fare riferimento a questo testo che, non tutti sanno, pur non essendo ancora vincolante, ha già costituito da sette anni a questa parte (fu approvato dalla Convenzione di Nizza nel 2000) la base giuridica per alcune importanti sentenze della Corte di Giustizia del Lussemburgo. Tra un anno esatto, se tutto andrà liscio con le ratifiche, la Carta otterrà il suo pieno profilo giuridico che le viene riconosciuto dall’articolo 1, ottavo comma, del Trattato di Lisbona. Insomma, un evento di grande portata e di cui ancora non si è colta la forte valenza politica e culturale.
A poco a poco ci si renderà conto che la Carta dei diritti è davvero un passaggio storico nella vita dell’Unione. Più di tante direttive e regolamenti. Forse se ne renderà conto, prima o poi, anche il deputato Marco Rizzo (Pdci) che ieri, in buona compagnia del leghista Borghezio e della famiglia Le Pen, si è distinto con urla e schiamazzi interrompendo la cerimonia di proclamazione della Carta dei diritti. Anche in questo caso, l’Europa torna utile per disvelare i più genuini comportamenti politici, come del resto, nella stessa aula, capitò a Silvio Berlusconi con l’insulto di «kapò» scagliato contro il capogruppo del Pse, Martin Schulz. Il quale, ieri, ha mandato a dire agli autori della gazzarra che tutto questo gli ricordava i metodi parlamentari del «gruppo politico di Adolf Hitler». Soprattutto per Rizzo, un’accusa sanguinosa, tanto più che il suo capogruppo, il francese Wurtz, ha preso nettamente le distanze dal gesto.
Una Carta «storica», dunque. Che, come ha detto il presidente della Commissione, Josè Barroso, diventerà «parte della legge primaria dell’Ue». Siamo di fronte al «primo documento giuridico vincolante mai prodotto su scala internazionale e che raggruppa non soltanto i diritti politici e civili ma anche i diritti economici e sociali, uniti sotto un unico testo sottomesso allo stesso meccanismo di controllo giurisdizionale». La Carta non andrà sotto naftalina. Anzi: le istituzioni europee e i governi saranno chiamati a dare un seguito concreto. Con atti di legge e comportamenti. La Carta avrà lo stesso valore del Trattato che la richiama e che sarà firmato stamane nel corso della cerimonia ospitata dal premier portoghese Josè Socrates.
Una piccola festa guastata solo dall’annunciata quasi assenza del premier britannico Gordon Brown, il quale arriverà in ritardo accampando un (non) improrogabile impegno parlamentare ai Comuni. La verità è che non vuol farsi riprendere dalla tv mentre firma il Trattato insieme agli altri 26 leader europei. Proverebbe imbarazzo. In effetti ha già rifiutato la Carta, ottenendo per il Regno Unito (a cui si è accodata la Polonia) di starne fuori. A questo punto potrebbe utilizzare l’innovativa clausola di uscita dall’Ue introdotta nel Trattato: un Paese che lo vuole può chiedere, negoziando, di lasciare l’Europa. Avranno Brown e i britannici questo coraggio?