(30 maggio 2014) - Cronista di nera e di giudiziaria, in servizio alla redazione romana di Repubblica, la giornalista Federica Angeli vive sotto scorta permanente dal 17 luglio 2013 a causa delle minacce di morte subite due mesi prima, a Ostia, mentre raccoglieva informazioni per il suo giornale. La cronista stava svolgendo un’inchiesta sul racket degli stabilimenti balneari, ma questo non è l’unico motivo che costringe Federica a condurre una vita blindata. La notte del 15 luglio, infatti, fu casualmente testimone oculare di uno scontro a fuoco nel quale furono coinvolti personaggi dello stesso ambiente del racket. Interrogata dai Carabinieri, Federica raccontò ciò che aveva visto e, da quel giorno, le intimidazioni e le minacce sfecero più gravi. Con le sue inchieste, con quella testimonianza Federica aveva messo il dito nella piaga malavitosa del litorale romano.
L’INCHIESTA – Nella primavera del 2013, insieme ad altri colleghi, Federica ha svolto per Repubblica un’inchiesta giornalistica, raccogliendo informazioni sul campo. Tema: la spartizione del litorale di Ostia realizzata dalle organizzazioni mafiose locali con la complicità di politici locali. L’inchiesta è stata poi pubblicata su Repubblica.it il 28 giugno. La cronista subì le prime minacce di morte proprio mentre parlava con i personaggi coinvolti, allo scopo di raccogliere informazioni. “Cominciai ad approfondire la questione – ha raccontato a Ossigeno – con alcune verifiche sul campo. Avevo scoperto che, alla vigilia della stagione estiva, la concessione di uno degli stabilimenti balneari di Ostia, ‘L’Orsa Maggiore’ era stata revocata ai precedenti gestori, che ne erano titolari da molti anni e, nel giro di cinque giorni, era stata affidata a esponenti di uno dei tre storici clan criminali locali, gli Spada. Scoprii anche chi si occupava delle concessioni balneari: tale Aldo Papalini, il direttore dell’ufficio tecnico di Ostia. Mi dissero che aveva effettuato lui il trasferimento della concessione e andai anche da lui”.
LA PRIMA MINACCIA – Per prima cosa, la cronista si recò presso lo stabilimento Orsa Maggiore, per fare domande sullo stato societario. “Era il 23 maggio 2013. Insieme a due collaboratori di Repubblica mi presentai all’ingresso dello stabilimento. Avevamo la telecamera. I miei collaboratori la tenevano acesa, ma puntata in basso, per non dare l’impressione che stessimo registrando. Mi qualificai come giornalista e chiesi di parlare con Spada. Mi risposero che lì non c’era nessuno che si chiamasse Spada. Ma riconobbi uno degli uomini che mi stavano di fronte: era Armando Spada. Mentre parlavo, loro si accorsero che la telecamera era accesa e perciò si alterarono. Armando Spada mi intimò di consegnare subito la cassetta registrata. Disse che se non l’avessi fatto mi avrebbe ‘sparato in testa’ e aggiunse che se lo diceva lui dovevo crederci”. “Non sapevo cosa dire. Cercai di minimizzare, presi tempo. Ma quegli uomini bloccarono i miei operatori e – spiega la giornalista – mi separarono da loro. Armando Spada e un altro uomo mi trascinarono con modi bruschi in una stanzetta dello stabilimento. Mi perquisirono, mi fecero mille domande. Volevano sapere cosa volevo veramente da loro. Non sapevo come uscire da quella situazione e sentivo con angoscia la responsabilità di avere messo in quella situazione anche i miei giovani collaboratori. Cercai di tranquillizzare quelle persone che esercitavano su di me una forte pressione psicologica che mi teneva prigioniera. Li rassicurai sule mie intenzioni. Dissi che avrei consegnato la registrazione e la cosa sarebbe finita lì”. “Quell’interrogatorio durò due interminabili ore, finché – ha aggiunto Federica Angeli – finalmente riuscii a calmarli. Mi ricondussero davanti ai miei operatori e io dissi loro di cancellare la registrazione. I miei collaboratori riuscirono a fare credere che, per un errore tecnico, non avevano registrato nulla, che il nastro era vuoto. Così ci lasciarono andare. In realtà i ragazzi avevano ‘salvato’ il filmato. Avevano registrato anche le minacce. Quanche giorno dopo abbiamo pubblicato quel video su Repubblica.it“.
LA SECONDA MINACCIA – La cronista riferì l’episodio al responsabile dei notiziari online che soprintendeva al suo lavoro e, d’accordo con lui, proseguì l’inchiesta, riservandosi di denunciare i fatti in un secondo tempo. “Così due giorni dopo le minacce di Spada – ha raccontato la cronista – andai a intervistare Paolo Papagni, socio e fratello del presidente dell’Assobalneari, la società che rappresenta i gestori dei bagni. Gli chiesi, davanti alla telecamera, se era vero, come si diceva, che aveva favorito il passaggio della concessione in favore degli Spada. Alcune fonti mi avevano riferito che poteva esserci proprio lui dietro i cinque roghi dolosi appiccati a diversi stabilimenti balneari della zona, e glielo feci presente”. “A quel punto Papagni mi chiese di spegnere la telecamera, mi disse di lasciar perdere e mi minacciò. Disse che se avessi pubblicato le immagini di quell’intervista, usando le sue potenti conoscenze, mi avrebbe fatto perdere il lavoro a Repubblica. Il giorno successivo ribadì le stesse frasi intimidatorie al telefono”. A quel punto Federica andò a denunciare le minacce.
LA DENUNCIA – “Il 30 maggio andai nella caserma dei carabinieri di Ostia e presentai una formale denuncia per entrambi gli episodi minacciosi. Come prova consegnai una copia delle registrazioni video. Ricordo ancora l’impressione che mi fece ricevere, tre ore dopo, la telefonata di un pregiudicato, che mi conosceva. Sapeva che ero stata in caserma e mi chiedeva perché avessi denunciato Papagni. Come faceva a saperlo?”.
LA SPARATORIA – Il 15 luglio repubblica.it pubblicò i due video di Federica Angeli per cui era stata minacciata. Il 15 luglio è una data cruciale di questa storia. Quella notte, fuori dalla bisca “Italy Pocker” di Ostia, si fronteggiarono con coltelli e pistole esponenti di due dei clan mafiosi che si contendevano il racket degli stabilimenti. Federica Angeli ne fu testimone oculare per puro caso. “Ero in casa. Sentii dalla strada – ha raccontato la giornalista – un uomo che urlava: ‘Non sparare, fermo!’. Poi sentii echeggiare due colpi di pistola. Mi affacciai al balcone, come tanta altr0a gente, e vidi la scena. In strada c’erano degli uomini che correvano. Da una parte due esponenti del clan Spada, dall’altra parte due uomini del clan Triassi. C’era Marco Esposito, detto ‘Barboncino’, pregiudicato appartenente all’ex batteria Fasciani. Risultò poi che era stato accoltellato alla spalla, al polmone e alla giugulare e aveva esploso due colpi di pistola, ferendo al polpaccio Ottavio Spada, che era accompagnato da Romoletto Spada. I Triassi avevano avuto la peggio”. “Avvertii subito carabinieri e polizia, scesi in strada dove raccolsi un po’ di informazioni. Qualche ora dopo fui convocata alla caserma dei Cc di Ostia. Mi chiesero di riferire ciò che avevo visto. Il 16 luglio i carabinieri mi chiesero di tornare in caserma per chiedermi ulteriori particolari e per firmare la denuncia. Quel giorno su Repubblica c’era il mio articolo sulla sparatoria di Ostia“.
L’ASSEGNAZIONE DELLA SCORTA – “Nel pomeriggio di quel 16 luglio, quando raggiunsi la redazione del mio giornale, mi misi alla scrivania e scoppiai a piangere. I colleghi vennero intorno a me e io sfogai con loro la mia tensione. Dissi che ero molto preoccupata per la mia sicurezza personale. Il capo della mia redazione, la cronaca di Roma, capì subito la gravità della situazione e la rappresentò al Prefetto, il quale condivise quella valutazione. Così la mattina del 17 luglio mi fu assegnata la scorta, che da allora mi accompagna in ogni passo. Da quel giorno la mia vita è cambiata. Non sono più libera come prima e questo mi pesa. Ma non ho mai nutrito il minimo dubbio che avrei potuto comportarmi diversamente: non potevo fare a meno di pubblicare ciò che avevo accertato né di dire ciò che avevo visto con i miei occhi”. L’inchiesta di Federica contribuì a risvegliare l’attenzione degli investigatori sull’evoluzione dei racket a Ostia. Dopo mesi e mesi, una inchiesta giudiziaria sui nuovi affari dei boss si concluse con una grande operazione di polizia che ebe nel mirino proprio i clan di cui si era occupata la cronista con la sua inchiesta. “Ero sotto scorta da quattro giorni, il 21 luglio 2013, quando - ha ricordato – l’operazione scattò. La squadra mobile fece una maxi retata a Ostia, arrestando 51 persone, tra cui gli interi clan Fasciani e Triassi”. Nel 2012 Federica aveva già vissuto un periodo rischioso. Era stata minacciata ed era stata sottoposta a protezione, in seguito alla pubblicazione di una inchiesta sui NOCS nella quale aveva rivelato una vicenda di violenze fisiche e psicologiche all’interno della loro caserma e i retroscena della sparatoria del 17 ottobre 1997 tra i rapitori dell’imprenditore Soffiantini e gli uomini dei corpi speciali, durante la quale morì l’agente Simone Donatoni, che sarebbe stato colpito da “fuoco amico”. Anche quella situazione di pericolo fu gestita da Federica insieme al suo giornale. Per fortuna poi la tensione si sciolse e la cronista tornò alla vita normale, al suo lavoro e alle sue inchieste, con una particolare attenzione a ciò che accade a Ostia, la frazione a venti chilometri dal centro che ospita le spiagge di Roma, la frazione in cui Federica vive con la sua famiglia. Alcuni delitti “spia”, in particolare sparatorie, omicidi, incendi dolosi rivelavano da tempo l’attività di gruppi criminali che operavano con modalità mafiosa ed erano interessati a mettere le mani sulla lucrosa attività collegata con le concessioni degli stabilimenti balneari.
LE ALTRE MINACCE – La giornalista ha subìto altre intimidazioni anche nei mesi successivi, mentre era sotto scorta. “A ottobre 2013 Ottavio e Romoletto Spada, che dopo la sparatoria di luglio erano finiti agli arresti domiciliari, erano tornati liberi per decorrenza dei termini. Il 16 ottobre si presentarono sotto il balcone di casa mia e brindarono ostentatamente, guardando verso di me, che ero affacciata al balcone a fumare una sigaretta”, racconta la giornalista. “Qualche tempo dopo, in piena notte, ho sentito in strada gente che gridava verso la mia finestra: ‘Infame, gli infami muoiono!’. Avevo venduto da un paio di mesi la mia vecchia auto a un privato. Pochi giorni dopo, il nuovo proprietario mi disse che era stata data alle fiamme. Anche per questo episodio presentai una denuncia. Un giorno Romoletto Spada incontrò mio figlio e davanti a lui fece un gesto intimidatorio: gli gece il segno della croce”. Purtroppo la tensione non si è mai sciolta da quel 17 luglio 2013. “L’ultima evidente intimidazione che ho subìto risale all’11 marzo di quest’anno. Mi trovavo in un bar di Ostia insieme a due amiche. Fuori – ha riferito Federica – c’erano gli uomini della scorta a sorvegliare. A un certo punto, mentre parlavo con le mie amiche, mi sentii gelare il sangue. All’interno del bar c’era Romolo Spada che mi fissava. Quando mi alzai per uscire dal bar, mi sbarrò la strada mettendosi fermo davanti a me a braccia conserte. Un modo per dirmi che lui sa sempre dove mi trovo e che, se vuole, può avvicinarsi a me”. “È passato un anno da quando ho subìto le prime minacce. Le persone che mi hanno minacciato circolano liberamente. Spero che tutto questo finisca. Che chi mi ha minacciato sia processato. Spero – ha concluso la giornalista – che questa situazione si sblocchi e io possa tornare alla mia libertà. Questa condizione mi pesa molto, ma non sono pentita di nulla. Se tornassi indietro rifarei esattamente tutto ciò che ho fatto”. (IN http://www.ossigenoinformazione.it/2014/05/mafia-perche-la-cronista-federica-angeli-e-sotto-scorta-a-roma-45143/)