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Editoria. Mark Little, fondatore e Ceo di Storyful: ecco come funziona l'agenzia social video. E racconta al Festival di Giornalismo: “Così ci ha comprati Murdoch”.


(dell'inviato Michele Cassano-ANSA) – Perugia,  4 maggio 2014.  "Il vecchio modello di informazione è morto. L'atteggiamento proprietario nei confronti delle notizie non funziona più, ora l'attenzione è per gli eventi. La richiesta è per storie verificate e per ottenerle il modello giusto è quello della collaborazione con gli utenti. Se sei dal lato sbagliato della storia alla fine lo paghi".  Mark Little, fondatore e Ceo di Storyful, ha le idee chiare. Non potrebbe essere altrimenti visto il successo ottenuto dalla sua agenzia, comprata nel dicembre scorso dalla News Corp di Rupert Murdoch per 25 milioni di dollari.    Storyful è un'agenzia con sede a Dublino, specializzata nella ricerca dei video nella rete, che poi distribuisce ai colossi dell'informazione americani ed europei. Il sistema utilizzato è altamente tecnologico. "Abbiamo un nostro database e attraverso un'analisi dei dati risaliamo alla notizia in giro per il mondo - spiega Little, tra i più attesi ospiti al Festival di Giornalismo di Perugia -. Analizziamo, ad esempio, la velocità delle conversazioni su Twitter  che è un buon indicatore del fatto che sta succedendo qualcosa in una data parte del mondo. C'è poi un alert box che indica le parole chiave che emergono da quelle conversazioni e uno screen desk che geolocalizza l'evento e così tutti i contenuti che provengono da quella zona entrano nel nostro sistema. Ora tutti gli smartphone hanno sistemi di geolocalizzazione. Queste tecnologie ci consentono di esaminare mille video in poco tempo". L'agenzia non compra i video prodotti dagli utenti, ma si occupa solo della loro gestione e distribuzione. "Tutti quelli che producono contenuti vengono premiati - prosegue Little -, non è diverso dai professionisti. Seguiamo un business etico. Tutti devono essere remunerati". A quattro mesi dall'acquisizione da parte di News Corp  sono stati avviati rapporti con Abc News, Vice News, partnership in America Latina e Hong Kong. "Siamo noti per essere l'unica azienda editoriale ad essere pagata da Google e Facebook - continua Little -. Noi lavoriamo con tutti in maniera agnostica, non facciamo differenza tra i clienti. Ora stiamo pensando di allargarci anche alla Cina. La prospettiva è che aziende come General Electric, Visa, Mastercad finiscano con l'essere i nostri maggiori clienti". "C'è la falsa percezione che i grandi brand vogliano entrare nell'editoria - aggiunge Raju Narisetti, vicepresidente senior di News Corp -. A loro in realtà non interessa. Quello a cui sono interessati sono i racconti, sono interessati ad entrare in determinate conversazioni. Loro non sono in grado di intercettare quelle conversazioni, perché non hanno i mezzi, ed è qui che interviene Storyful". La redazione conta al momento 40 giornalisti. "L'apporto umano resta ancora fondamentale - spiega Little -. La redazione però è aperta, il nostro modello deve essere fruibile ovunque. Vogliamo sviluppare la tecnologia che usiamo attualmente, consentire a tutti i giornalisti di usarla, consegnando un nostro sistema operativo". Arrivano da Storyful video dalle zone di guerra, ma anche immagini divertenti, come quelle delle persone che cadono in bicicletta o degli animali in situazioni buffe che girano spesso su Mtv. "Ha avuto molto successo il video di un ragazzino asiatico con difficoltà di apprendimento che aveva preso 10 al compito di matematica e quando tornava il padre aveva una reazione fantastica - racconta Little -. Abbiamo dovuto contrattare per tre giorni con lui per avere i diritti di gestione del video. In un altro caso un bambino era impazzito per un cioccolatino che la madre non voleva dargli. Lo abbiamo trasmesso su una tv e l'azienda che produceva quel cioccolatino ha dato 10mila euro a quella famiglia". "Non vogliamo sostituire il giornalismo, noi siamo storyteller - spiega Little -. Le redazioni tradizionali però non si assumono ancora la responsabilità di dare credito ai curatori delle  notizie, come noi. Eppure noi non diamo mai prevalenza alla velocità, rispetto all'accuratezza, perché questo può minare la fiducia dei brand.  Basta una vertenza e ci fermiamo tutti". (ANSA)





 





  





 





 





 






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