Roma, 26 giugno 2013. “Opportunamente riformati tutti gli ordini che hanno a che fare con materie di rilievo costituzionale (Sanità, giustizia, informazione) devono rimanere. Compreso, dunque, l’Ordine dei giornalisti”. Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio per l’Editoria e l’attuazione del programma, Giovanni Legnini. (ANSA)
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La professione giornalistica, come quella degli avvocati e dei medici, è nella Costituzione.
di Franco Abruzzo – consigliere dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia di cui è stato presidente dal 1989 al 2007
Ormai è maturo il tempo perché i giornalisti, come i magistrati, siano inseriti nella Costituzione. Nella carta fondamentale c’è scritto che i magistrati sono soggetti soltanto alla legge. Nella stessa carta fondamentale va scritto che i giornalisti sono soggetti soltanto alla Costituzione e alla deontologia professionale. Si afferma da più parti che soltanto gli avvocati e i medici sono nella Costituzione (con riferimento agli articoli 24 e 32, che parlano del diritto di difesa e del diritto alla salute). Il secondo comma dell’articolo 21 della Costituzione afferma che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. La stampa è fatta, alimentata, progettata e creata dai giornalisti. “L'esperienza dimostra – come ha scritto la Corte costituzionale nella sentenza n. 11/1968 - che il giornalismo, se si alimenta anche del contributo di chi ad esso non si dedica professionalmente, vive soprattutto attraverso l'opera quotidiana del professionisti. Alla loro libertà si connette, in un unico destino, la libertà della stampa periodica, che a sua volta è condizione essenziale di quel libero confronto di idee nel quale la democrazia affonda le sue radici vitali”.
La Costituzione e la Corte costituzionale disegnano, quindi, una professione giornalistica come professione della libertà. “Quella libertà che - come ha scritto Mario Borsa - prima di essere un diritto è un dovere”. Il monito di Mario Borsa, - giornalista liberale, corrispondente per lunghi anni del “Secolo” da Londra, combattente della libertà negli anni della dittatura fascista e poi direttore del “Corriere della Sera” nel 1945/1946 -, recuperato da Walter Tobagi con un saggio pubblicato nel 1976 (su “Problemi dell’informazione”), è questo: “Dite sempre quello che è bene e che vi par tale anche se questo bene non va precisamente a genio ai vostri amici; dite sempre quello che è giusto, anche se ne va della vostra posizione, della vostra quiete, della vostra vita. Siate dunque indipendenti e inchinatevi solo davanti alla libertà, ricordandovi che prima di essere un diritto la libertà è un dovere”.
Il secondo comma dell’articolo 21 va incrociato con il quinto comma dell’articolo 33 della Costituzione: “È prescritto un esame di Stato ...per l'abilitazione all'esercizio professionale”. Lo Stato, quindi, deve garantire i cittadini sulla preparazione dei giornalisti “all’esercizio professionale”. Su questa base il Parlamento ha stabilito (con la legge n. 69/1963) che esiste una professione giornalistica, che è stata poi organizzata, come prescrive l’articolo 2229 del Codice civile, con l’Ordine (giudice disciplinare e giudice delle iscrizioni) e l’Albo: “Non spetta alla Corte valutare l'opportunità della creazione dell'Ordine, perché l'apprezzamento delle ragioni di pubblico interesse che possano giustificarlo appartiene alla sfera di discrezionalità riservata al legislatore. Compete, invece, alla Corte accertare se la riserva della professione giornalistica ai soli iscritti all'Ordine ed il modo in cui la legge ha disciplinato il regime dell'albo comportino la violazione del principio costituzionale - articolo 21 - che a tutti riconosce il "diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione": un diritto, come altre volte è stato detto (cfr. sent. n. 9 del 1965), coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione, inconciliabile con qualsiasi disciplina che direttamente o indirettamente apra la via a pericolosi attentati, e di fronte al quale non v'è pubblico interesse che possa giustificare limitazioni che non siano consentite dalla stessa Carta costituzionale”.
La legge istitutiva dell’Ordine (n. 69/1963), realizzando un proposito espresso fin dal 1944 dal legislatore democratico (art. 1 del D.L. Lt. 23 ottobre 1944, n. 302), disciplina l'esercizio professionale giornalistico e non l'uso del giornale come mezzo della libera manifestazione del pensiero: essa – come si legge nella sentenza n. 11/1968 della Consulta - non tocca il diritto che a "tutti" l'articolo 21 della Costituzione riconosce: “Questo sarebbe certo violato se solo gli iscritti all'albo fossero legittimati a scrivere sui giornali, ma è da escludere che una siffatta conseguenza derivi dalla legge”. Ha scritto ancora la Consulta: “Chi tenga presente il complesso mondo della stampa nel quale il giornalista si trova ad operare o consideri che il carattere privato delle imprese editoriali ne condiziona le possibilità di lavoro, non può sottovalutare il rischio al quale è esposto la sua libertà né può negare la necessità di misure e di strumenti a salvaguardarla. Il fatto che il giornalista esplica la sua attività divenendo parte di un rapporto di lavoro subordinato non rivela la superfluità di un apparato che si giustificherebbe solo in presenza di una libera professione, tale il senso tradizionale. Quella circostanza, al contrario, mette in risalto l'opportunità che i giornalisti vengano associati in un organismo che, nei confronti del contrapposto potere economico del datori di lavoro, possa contribuire a garantire il rispetto della loro personalità e, quindi, della loro libertà: compito, questo, che supera di gran lunga la tutela sindacale del diritti della categoria e che perciò può essere assolto solo da un Ordine a struttura democratica che con i suoi poteri di ente pubblico vigili, nei confronti di tutti e nell'interesse della collettività, sulla rigorosa osservanza di quella dignità professionale che si traduce, anzitutto e soprattutto, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla”.
La Consulta ha superato anche le riserve sul praticantato con questo ragionamento: “La Corte osserva che, se è vero che ove il soggetto interessato non trovi un giornale che lo assuma come praticante egli non potrà mai intraprendere la carriera giornalistica, è altrettanto vero che neppure il giornalista iscritto può svolgere la sua attività professionale se non trova un editore disposto ad assumerlo: il che dimostra che ci si trova di fronte a conseguenze che non derivano dalla legge in esame, ma dalla struttura privatistica delle imprese editoriali, nell'ambito della quale la non discriminazione può essere assicurata soltanto dalla concorrenza della molteplicità delle iniziative giornalistiche”. Oggi la presenza di 15 scuole di giornalismo, riconosciute dall’Ordine, hanno attutito di molto le polemiche sull’accesso alla professione.
E’ di importanza strategica per una società democratica il nuovo diritto fondamentale dei cittadini all’informazione (“corretta e completa”), costruito dalla Corte costituzionale (vedi tra le tante la sentenza n. 112/1993) sulla base dell’articolo 21 della Costituzione e dell’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Questo nuovo diritto fondamentale presuppone la presenza e l’attività di giornalisti vincolati a un percorso formativo universitario (come impongono la direttiva comunitaria n. 89/48/CEE e il comma 18 dell’articolo 1 della legge n. 4/1999), a una deontologia specifica e a un giudice disciplinare nonché a un esame di Stato, che ne accerti la preparazione come prevede appunto l’articolo 33 (V comma) della Costituzione.
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Questo paragrafo fa parte di un più vasto saggio (pubblicato il 26/1/2006) dal titolo:
I doveri del giornalista connessi all’esercizio del diritto di cronaca e di critica
Indice
1. Premessa. Il rispetto della dignità della persona umana fondamento della nostra Costituzione. L’interesse dello Stato all'integrità morale della persona. Il concetto (giuridico) di giornalismo.
2. I padri costituenti e i limiti del diritto di cronaca nella legge sulla stampa del 1948.
3. Diritto di cronaca, diritto dei cittadini all’informazione e Corte costituzionale.
4. La professione giornalistica, come quella degli avvocati e dei medici, è nella Costituzione.
5. Il “decalogo” della Cassazione sui limiti del diritto di cronaca.
6. Il diritto di cronaca (e di critica) ancorato a “notizie vere”.
7. Diffamazione e responsabilità civile di editore, direttore e articolista.
8. Quando scatta l’interdizione della professione.
9. Il ruolo moderno dell’Ordine posto a tutela degli interessi della collettività.
10) Diffamazione, quotidiani e tribunale competente: da Monza una sentenza che declassa il giudice del luogo dove il giornale viene stampato
11. Diffamazione online: Cassazione ribalta le regole. Competente il tribunale in cui risiede il presunto danneggiato.
ricerca di Franco Abruzzo*
IN http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=1120
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