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Lettera di un free lance:
“Le mie corrispondenze
da Gaza o non pagate
o pagate appena 20 euro,
Meglio lavorare per i
media degli altri Paesi”

Caro Franco Abruzzo, vorrei informare te e i colleghi della tua preziosa mailing list sul giornalismo di un altro brutto caso riguardante la nostra professione.


Hai scritto tanto sulle condizioni cui sottostanno i giovani giornalisti ed ecco dunque quanto mi e' capitato di recente.


Nel novembre 2012 sono andato a Gaza, per coprire la campagna militare israeliana nella Striscia, una notizia che ha tenuto titoli e prime pagine dei giornali per circa una settimana.


Ci sono andato da inviato di un grande gruppo televisivo italiano, ma ho ricevuto tante richieste da altre testate, inclusi Il Messaggero e Pubblico.


Lusingato dalla pubblicazione su quotidiani nazionali, ho acconsentito a scrivere delle lunghe corrispondenze per questi quotidiani, spesso in situazioni di bombardamenti e di pericolo per la mia incolumita'. Articoli che hanno ricevuto numerosi lodi da parte dei (capi) redattori e dei direttori di riferimento.


Ora immagina quale amarezza possa lasciare ritrovarsi cinque mesi dopo senza alcun pagamento per il lavoro svolto. Pubblico infatti e' stato chiuso e il Messaggero ha avuto l'ardire di pagare circa 20 euro netti per articoli da 60-80 righe. In allegato le pubblicazioni.


Immaginiamo che le spese (viaggio, assicurazione di guerra, interprete) non mi fossero state pagate dalle televisione di cui sopra e che fossi andato a Gaza da freelance - formula che spesso utilizzo e a cui sono costretti tanti altri colleghi che lavorano sugli esteri - non sarei neanche lontanamente rientrato dei costi e men che meno avrei ricevuto il famoso equo compenso per le prestazioni svolte.


Che senso ha allora per un giovane giornalista mettere la propria professionalita' e il proprio tempo a disposizione dei media italiani?


Non menziono neanche le decine di altre testate, che pagano poco di piu o che non si degnano neanche di rispondere alle proposte inviate.


Tanto vale lavorare per media stranieri, come ormai faccio, per sentirsi un "giornalista normale". O addirittura cambiare mestiere, per vedersi un migliore riconoscimento di anni di studi e di sacrifici.


E mi dispiace, perche'  l'Italia così si ritrovera' senza voci indipendenti, senza informazione dall'estero e senza contenuti originali (visto che dalle redazioni ne escono ben pochi).


Temo che siamo davvero alla morte del (buon) giornalismo, con tutto ciò che ne consegue. Cordialmente,


Gabriele Barbati - Journalist


data, 22 aprile 2013


 


 





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