Il segretario dell’Associazione stampa romana, Paolo Butturini, ha lanciato un grido di dolore alla categoria di fronte al collasso del sistema editoriale e ai tagli selvaggi dei posti di lavoro che colpiscono migliaia di giornalisti. In una recente nota, invoca una terapia d’urto per salvare il salvabile del mestiere in declino, e si appella al nuovo Parlamento per il lancio di un “Piano Marshall per l’informazione”. Purtroppo, con questi chiari di luna e con le casse pubbliche a secco, è assai improbabile che lo Stato si accolli al buio di prospettive la crisi del pianeta della comunicazione. E’ pia illusione sperare nella provvidenza dall’alto dei cieli, come peraltro, ha spiegato giorni addietro lo stesso Monti nel sostenere che “il denaro dei contribuenti non può sostituirsi al ricavo del mercato”.
Questa situazione di dissesto è colta al volo dai clan dei poteri che, grazie alle tecnologie, hanno scoperto il fai da te della comunicazione, aspirando, sempre più scopertamente, a sbarazzarsi dell’ingombrante mediazione giornalistica con il pretesto, non tanto campato in aria, delle nostre resistenze corporative.
Per riconquistare un posto al sole della credibilità e per invogliare le risorse e le energie disponibili, è tempo che si acceleri il trapasso del nostro mondo verso la modernità. L’industria del digitale e il multimediale possono rappresentare una via d’uscita all’attuale immobilismo, purchè si superi l’attuale fase pionieristica sorretta con scarsa convinzione degli editori. Parigi ci ha dato una lezione con l’accordo Francia-Google promosso dall’Eliseo contro la riproduzione illegittima in internet dei prodotti editoriali. L’accordo prevede un fondo di 60 milioni l’anno per finanziare i progetti editoriali più innovativi, ma soprattutto una consulenza tecnica commerciale per migliorare l’intrapresa tecnologica.
Da noi i furbi fanno il doppio gioco. “Il digitale sarà il nostro pane quotidiano”, assicura Pietro Scott Jovane, ad della RCS, e, intanto, prepara il licenziamento di 800 lavoratori del gruppo dei quali 200 giornalisti.
Mentre ormai solo un giornalista su 4 ha un contratto a tempo indeterminato e mentre intere generazioni dai 58 anni in su rischiano la rottamazione a spese dell’INPGI a corto di quattrini per gli ammortizzatori sociali, l’Ordine continua imperterrito a gonfiarsi come un pallone a rischio di scoppiare. Una pesante zavorra che conta oltre 110mila iscritti agli albi che stanno diventando fabbriche di illusioni. Alle celebrazioni cinquantenario dell’OdG, il presidente Napolitano ha dovuto riconoscere che i giornalisti stanno pagando “le conseguenze di un mancato adeguamento delle norme alla realtà dei tempi”. Da anni, si invoca una radicale riforma, però, con la segreta speranza degli addetti ai lavori che non arrivi mai. Controprova il sabotaggio degli Ordini regionali alla costituzione dei consigli di disciplina fuori dal loro controllo come prevede la miniriforma dei governi Berlusconi/Monti sulla terzietà della vigilanza deontologica.
Nel generale clima di “dagli all’untore” anche contro i giornalisti, diventa un karakiri difendere i nostri logori panni corporativi soprattutto dopo il varo della legge 4/2013 sulle “professioni senza Albo”.