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AFFARITALIANI.IT
Mediatech del 30 luglio 2009

Franco Abruzzo: una vita da giornalista.
"Ma oggi il mestiere è solo su internet"

Il 3 agosto Francesco "Franco" Abruzzo compie 70 anni. E' stato il primo giornalista "autoassunto" in Italia. Cronista, caposervizio, caporedattore, inviato, ha scritto di mafia, finanza criminale, terrorismo, massoneria e politica interna. Presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia per 18 anni, ha combattuto il lavoro nero e in difesa delle buone regole. Ha visto la professione cambiare ed è sempre sulla breccia con le sue "newsletter" sul mondo dell'informazione. A chi sogna di fare il giornalista dice: "Trovare lavoro sarà duro. Laureatevi e imparate a scrivere almeno in inglese. Oltre al taccuino per gli appunti portate con voi anche la macchina fotografica e il registratore digitale: i giornalisti on line hanno bisogno di questi attrezzi"

di Pierluca Danzi

Testo in: http://www.affaritaliani.it/mediatech/franco_abruzzo280709.html


Quando il primo marzo del 2001 Franco Abruzzo ha lasciato il Sole 24 Ore per andare in pensione era già pronto per il suo nuovo lavoro: docente a contratto di Storia del Giornalismo all'Università Statale di Milano-Bicocca. I fatti che accadono ogni giorno li analizza sempre alla luce degli articoli della Costituzione ed è fissato col rispetto delle regole e della deontologia professionale. Solo una volta, da giovane, lo fecero arrabbiare e arrivò alle mani. "Nelle redazioni ci sono sempre quelli che vogliono mettersi in mostra gettando fango sugli altri… Così lo afferrai alla gola…".


Nato a Cosenza nel 1939, mamma figlia di contadini e papà cassiere delle Poste, ha cominciato a collaborare con le redazioni calabresi de Il Tempo e il Giornale d'Italia ed è arrivato a Milano a 23 anni con la sua Fiat 600. Era il febbraio 1962 e sognava di scrivere sul Giorno.


Negli Anni '60 e '70 la città cresceva - pur tra tensioni sociali - e lui scriveva tantissimo dando fastidio un po' a tutti: al mafioso Luciano Liggio, al brigatista rosso Corrado Alunni e al banchiere mafioso  Michele Sindona.
Scampato alle minacce di morte, nel 1980, al "Giorno", ha affrontato con successo un'altra sfida pericolosa ma avvincente: quella con il primo terminale per la videoscrittura. E anni dopo non si è fatto sconvolgere la vita neppure da Internet. Anzi, se ne serve alla grande: aggiorna di continuo il suo sito internet (www.francoabruzzo.it) e ha un database di 34mila nominativi che ricevono ogni giorno le sue newsletter in cui analizza il mondo dell'informazione. E di questi destinatari, almeno 4 mila sono diventati giornalisti professionisti grazie alle sue battaglie contro il lavoro nero nelle redazioni, da quando fu eletto presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia nel maggio 1989 (carica che ha retto per 18 anni, fino al giugno 2007).


Sul futuro della carta stampata ha la sua teoria, condivisa da molti. "I quotidiani continueranno a esistere, ma saranno prodotti di nicchia: ridurranno le vendite e il numero di giornalisti. Offriranno sempre più approfondimento e articoli scritti con cura, ma non potranno fare concorrenza ai quotidiani su Internet che hanno dimostrato di essere più veloci e capaci di offrire contenuti più ricchi, sia video che audio".


E' vero che avevi la mania dello "scoop", della notizia in esclusiva?
"Quando ho cominciato l'unico modo per farsi apprezzare e sperare nell'assunzione era portare al tuo giornale tante notizie in esclusiva. Però non mi sono mai inventato niente o cercato forzature… Invece c'era chi lo faceva. Una volta il "Corriere" uscì con la notizia che un'attrice aveva salvato un pesciolino rosso facendogli il massaggio cardiaco… Ma se i pesci manco ce l'hanno il cuore…. Allora quelle notizie preferivo non darle. Meglio impegnarsi nella ricerca di storie vere, umane, dai risvolti sociali".


Com'è che facesti arrabbiare il mafioso Luciano Liggio?
"Per quello che scrivevo su di lui. Così mi minacciò in aula durante il processo milanese alle cosche che avevano messo a segno due sequestri di persona in Lombardia e in Piemonte… Durante il processo mi  fu rubata la Giulia dal box".


Come sapevi che il boss c'entrava con il furto?
"Quando andai a Palazzo di giustizia, con Liggio in aula, mi urlarono dalla gabbia: "Abruzzo! Com'è andare in giro a piedi?! eh!". Mi gelarono il sangue".


Quel furto seguiva l'avvertimento di qualche tempo prima, quando degli sconosciuti a Trezzano sul Naviglio fermarono per strada un tipografo del Giorno e gli dissero: "Di' ad Abruzzo che gli spezziamo le gambe". Erano il 1976 inoltrato e il direttore consigliò ad Abruzzo di scomparire dal Palazzo di  Giustizia per tre mesi. Solo dopo scoprì che aveva avuto una protezione leggera della polizia nei pressi di  casa sua. "Quando rincasavo dal giornale, all'una di notte, vedevo spesso un'auto della polizia: ma gli agenti, molto cortesi, cercavano di dissimulare dicendo che erano lì per caso".


Le analisi sul terrorismo che scriveva sul Giorno avevano irritato anche Prima Linea, le Formazioni comuniste combattenti e le Brigate rosse. Il  suo nome e quelli di Leo Valiani e di Walter Tobagi, furono annotati nell'agenda dei brigatisti recuperata nel gennaio 1979 dai carabinieri in zona Città Studi  a Milano. E proprio Tobagi sarà ucciso dalle Brigate rosse a Milano il 28 maggio 1980. In quella lista c'erano anche i nomi dei magistrati Alessandrini e Galli.


Il guaio in cui si era ficcato, Abruzzo cominciò a capirlo il 29 gennaio del 1979 alla morte del sostituto procuratore Emilio Alessandrini, ucciso dai terroristi di Prima Linea. Quella sera fu convocato telefonicamente dal Procuratore capo della Repubblica Mauro Gresti che lo informò: "Lei, Valiani e Tobagi siete in pericolo di vita. Domani alle 8 mi porti qui Tobagi e vi dirò tutto. Valiani è stato avvertito tramite il direttore del Corriere della Sera e vive nascosto. Comunque io non ho uomini per garantirvi la scorta: cambiate abitudini e uscite di casa la mattina dopo le 9. Quelli, di solito, sparano la mattina presto...".


Franco Abruzzo mette in fila i ricordi. E' seduto in balcone in via XXIV Maggio a Sesto San Giovanni dove abita fin dagli inizi degli Anni '70. "Ricordo la telefonata con Tobagi, la sera in cui Gresti mi aveva convocato. Avevo la voce incrinata. Walter mi chiese se avevo paura. Risposi di sì". 


Sei famoso per essere stato il primo giornalista "autoassunto". Come ci sei riuscito?
"Al Giorno, del contratto da praticante non se ne parlava proprio. E anche negli altri giornali le attese erano lunghe. Così arrivai a uno scontro con il direttore. Gli dissi che ero "un calabrese con la testa d'acciaio che ha fiducia nella provvidenza" e andai all'Ordine dei giornalisti: lavoravo da anni e avevo diritto a quel contratto. Non lo sapevo ma stavo stabilendo un primato: diventare il primo praticante d'ufficio nella storia. In redazione non dissi nulla: dopo 18 mesi andai a Roma a fare l'esame e da lì spedii il telegramma: "Sono giornalista professionista".
Ah sì, va bene Abruzzo: ti assumiamo però non ti diamo la quattordicesima!
Cosa? Voi mi date quello che prevede il contratto, è un mio diritto".


Da quel giorno un collega cominciò a provocarlo, fino a quando Abruzzo non lo afferrò alla gola in redazione, al secondo piano di via Fava. Il praticantato d'ufficio riconosciuto a "quel giovane calabrese con la testa d'acciaio", spianò la strada ad altre richieste. Ma i praticanti d'ufficio diventarono un vero diluvio, quando Abruzzo - eletto presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia il 15 maggio 1989 - cominciò a ficcare in naso nella redazioni alla ricerca di giornalisti che lavorano in nero. "Un conto è la gavetta, anzi è sacrosanta. Un conto è lo sfruttamento sistematico!".


Adesso, però, la carta stampata è in crisi. Quotidiani e periodici raccolgono meno pubblicità e in edicola si vendono con più fatica: i dati di giugno sulle vendite dei quotidiani, raffrontati con quelli dello stesso mese dell'anno scorso sono tutti col segno meno. E questa situazione ha ricadute negative anche su chi nei giornali ci lavora e sui ragazzi che continuano a sognare questo mestiere.


La recente chiusura dell'importante scuola di giornalismo di Milano (meglio nota come Ifg-Istituto "Carlo De Martino" per la Formazione al Giornalismo) che era sostenuta soprattutto con i fondi della Regione Lombardia è solo uno dei tanti segnali negativi. Invece sono proliferati i corsi universitari, strapagati, che sostituiscono il praticantato nei giornali ma ingrossano le file dei disoccupati. "Una volta quando uscivi dall'IFG il posto di lavoro era quasi assicurato", spiega Abruzzo. "Invece, negli ultimi anni, il posto fisso è un miraggio anche per loro. Basta vedere i numeri… Nei prossimi tre anni, tra prepensionamenti e pensionamenti, andranno via dai giornali e dalle agenzie di stampa 2.500 persone. Di queste ne saranno rimpiazzate solo il 5%: significa 125 nuovi assunti se va bene. Quindi è chiaro che 18 master universitari in giornalismo sono troppi".


E in televisione? "A Mediaset hanno già redazioni ridotte all'osso. In Rai invece non si parlerà mai di esuberi anche se la situazione non è brillante neppure lì".


E chi sogna di fare il giornalista oggi, che cosa deve fare?
"Io glielo sconsiglio. Non è il momento. Ma se proprio vuole, punti su Internet, sulle lingue straniere, sull'economia e sulle moderne tecnologie: oltre al taccuino per gli appunti gli serviranno la videocamera e il registratore digitale. Il resto lo farà la selezione naturale, che sarà molto dura. Comunque è importante studiare: chi starà in redazione a cucinare i pezzi dovrà avere la cultura per corredare con notizie e commenti i filmati che arriveranno da fuori: anche dai cittadini che hanno ripreso un fatto con il loro videotelefonino. Poi - se i giornalisti fossero più preparati - potrebbero commentarli loro i fatti di politica estera ed economia senza doversi affidare agli articoli di ambasciatori, economisti e giuristi… Per conoscere le loro chiavi di lettura sui temi caldi sullo scenario del momento basterebbe intervistarli. Ma la linea politico-editoriale di un giornale deve nascere in redazione, non dalle analisi di commentatori esterni".


E arriviamo alla qualità dell'informazione. Come siamo messi secondo te?
"Secondo me c'è anche un problema di qualità della scrittura, che si riflette anche sulla cultura giornalistica in generale. "In 50 righe ci può stare il mondo", diceva Italo Pietra direttore al "Giorno". Secondo me bisognerebbe essere sobri e asciutti. Limitare l'uso degli aggettivi, almeno nei pezzi di cronaca".


E sulla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche? "Dobbiamo fare in modo che il disegno di legge sulle intercettazioni cambi e  diventi meno restrittivo. Però prima dobbiamo fare autocritica: noi giornalisti e i magistrati. I magistrati devono smetterla con le intercettazioni a strascico e noi dobbiamo ammettere di essere mascalzoni quando pubblichiamo conversazioni di persone che non c'entrano nulla con le inchieste penali".


Mi fai un esempio? "Nel 2006, come presidente dell'Ordine, ho condannato tre direttori che avevano pubblicato delle intercettazioni su Vallettopoli dove diverse soubrette con nomi e cognomi, venivano descritte dagli intercettati con termini a dir poco coloriti… Se non facciamo autocritica - leale e vera - e continuiamo a  pubblicare tutte le "stronzate che fanno notizia" perché ci sembrano brillanti o spiritose, continueremo a rovinare persone che non sono coinvolte nelle inchieste. E non potremo più scrivere le cose veramente importanti che servono per la crescita di un paese democratico".


Chiudiamo con le tue battaglie sulla commistione tra informazione e pubblicità.
"Sono 20 anni che lo dico: 'Attenti alla commistione informazione-pubblicità!'. Non la demonizzo certo: con i soldi delle entrate pubblicitarie si possono fare investimenti e pagare gli stipendi. Però il lettore deve capire subito dove finisce l'informazione e dove comincia la "réclame"… Non si possono scrivere messaggi pubblicitari mascherati da articoli. E poi - se tutti dicessero no alla pubblicità mascherata - la pubblicità arriverebbe ugualmente. Bisognerebbe avere il coraggio di dire qualche no. I giornalisti dovrebbero solo riportate notizie - possibilmente in esclusiva - e rispettare la Costituzione. Avrebbero più consapevolezza del loro ruolo e sarebbero anche più forti, soprattutto in questo momento".


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La biografia di Franco Abruzzo è in


http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=5


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Testo in: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=2861


 


Il Quotidiano della Calabria


di domenica 9 novembre 2008


 


Il personaggio


Franco Abruzzo


ex cronista ed esperto di diritto


 


Si definisce un «calabrese tosto».


Ha avviato grandi battaglie


per il rinnovo della professione


 


Di lui hanno scritto


«Le sue delibere


inno alla Costituzione»


 


L’ORACOLO DEI GIORNALISTI


 


DI ROMANO PITARO

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