Milano, 26 luglio 2009. Michele Partipilo, già presidente dell’Ordine dei giornalisti di Bari e oggi componente del Comitato esecutivo dell’Ordine nazionale dei giornalisti, replica agli articoli di Franco Abruzzo sulle scuole di giornalismo con questa lettera, che pubblichiamo volentieri e integralmente:
Caro Franco, permetti di dire anche a me qualcosa sulle scuole di giornalismo che sembra siano diventate la principale causa della crisi occupazionale. Molto ha già detto il segretario dell'Ordine, Enzo Iacopino, arricchendo le sue affermazioni con significativi esempi. Per l'esperienza accumulata in questi due anni in cui mi sto occupando delle scuole su incarico del presidente Del Boca, devo dirti che la tua analisi - che pure utilizza dati autentici - giunge a conclusioni errate. È quella che gli esperti di comunicazione chiamano la bugia semiologica. Mi spiego.
Dalle 18 scuole oggi in attività escono circa 540 giornalisti professionisti ogni due anni. Basterebbe questo dato a smentire la tua tesi: è possibile che l'intero mercato editoriale italiano (incluse le opportunità offerte dagli uffici stampa) non sia in grado di assorbire 260-270 giornalisti professionisti l'anno?
Non capisco peraltro sulla base di quali elementi tu possa affermare che un "modesto mercato" c'è solo a Roma e a Milano. In queste città ci sono le grandi redazioni, cioè quelle che tutte le previsioni (e ahimé anche la realtà) indicano come i dinosauri destinati all'estinzione. Il futuro - l'America docet - sarebbe delle testate regionali e locali e dunque con un'altissima frammentazione sul territorio. Seguendo la logica del tuo ragionamento, bisognerebbe fare una scuola in ogni provincia!
In realtà l'inflazione di giornalisti professionisti è data, come tu ben sai, dai cosiddetti "praticanti d'ufficio". A ogni sessione d'esame questa massa incontenibile - spesso rappresentata da giovani sfruttati e sottopagati - costituisce il 60-70 per cento dei candidati.
Mentre alle scuole chiediamo di rispettare precisi standard formativi - sia per quanto riguarda le conoscenze teoriche che l'attività pratica - della preparazione dei praticanti d'ufficio non sappiamo nulla. Qualcosa la si scopre all'esame: se hai la pazienza di farti una chiacchierata con qualcuno dei colleghi commissari scoprirai un'annedotica esilarante. No, scusa, volevo dire tragica.
Ma c'è di più. Mentre il numero di praticanti delle scuole è prevedibile, controllato e controllabile, nel caso dei praticanti d'ufficio siamo sotto lo schiaffo del caso. Nessuno sa esattamente quanti siano e in quale sessione si presenteranno. I praticanti d'ufficio sono il "sommerso" della nostra professione. La forza indispensabile che consente a piccole testate - soprattutto televisive - di sopravvivere grazie a un ricatto ben noto: lavora per me due anni, sottopagato o addirittura gratuitamente, e alla fine avrai in qualche modo l'iscrizione nel registro praticanti. Su questo meccanismo perverso, e che in qualche misura hai contribuito a propalare quando eri presidente dell'Ordine della Lombardia, non si riesce a intervenire. È impotente il sindacato, è impotente l'Inpgi, hanno armi spuntate gli Ordini regionali. Sono convinto che le energie di tutti andrebbero invece concentrate per risolvere questa situazione che, oltretutto, altera sensibilmente il mercato editoriale per gli squilibri e la sostanziale concorrenza sleale che introduce.
Allora - per andare alla determinazione morale che tu solleciti all'Ordine - bisogna porsi una domanda: vogliamo giornalisti con una preparazione (quando c'è) approssimativa e superficiale come è nella stragrande maggioranza dei praticanti d'ufficio, oppure giornalisti con una laurea e una preparazione sicura, come è nella stragrande maggioranza dei praticanti delle scuole?
L'Ordine non può che scegliere la seconda risposta e proprio per una ragione morale: perché solo giornalisti più preparati possono soddisfare meglio quell'interesse pubblico a essere informati che - come tu stesso mi hai insegnato - è l'unica vera ragione perché l'Ordine continui a esistere.
Ti ringrazio per l'attenzione e spero di averti ancora al fianco nella battaglia a favore dei giornalisti di qualità.
Michele Partipilo
Comitato esecutivo Ordine nazionale Giornalisti
La risposta di Franco Abruzzo: “Le mie conclusioni ancorate alla realtà”
Caro Michele, non so dove tu abbia letto che “le scuole di giornalismo sembra sono diventate la principale causa della crisi occupazionale”. E’ una conclusione che non mi appartiene e sfido chiunque a sostenere il contrario. La crisi dell’editoria italiana ha, come ho sempre scritto, due dati pesantemente negativi: le minori entrate sia pubblicitarie sia diffusionali. Parliamo di percentuali a due cifre che trovi documentate nel mio sito (www.francoabruzzo.it). Le aziende ora devono adeguare gli organici alle nuove entrate: ballano quasi 2.500 posti di lavoro (516 colleghi che hanno compiuto 58 anni e che hanno almeno 18 anni di contributi; 1.950 colleghi, che hanno 59 anni e 35 anni di contributi). L’articolo 37 della legge 416/1981 e l’articolo 33 del nuovo Cnlg sono mannaie pronte a tagliare la testa di 2.466 persone. Le aziende inoltre hanno annunciato, in diverse grandi realtà, che non procederanno al rinnovo dei contratti a termine. Ne so qualcosa perché ricevo telefonate amarissime di giovani ex allievi delle nostre scuole.
Se questa è la realtà, ed è questa, cade, di conseguenza, il tuo discorso sull’assorbimento possibile (ed auspicabile) dei 260/270 allievi che escono in media ogni anno dalle nostre 18 scuole. Gli editori non hanno alcun obbligo di assumere i nostri allievi, ma la verità è che non assumono nessuno. Bisogna aspettare (due o tre anni?) la ripresa economica e il varo di nuove iniziative perché i posti vuoti delle redazioni siano assegnati ai giovani giornalisti in attesa. I nostri allievi sono mediamente bravi.
Il sistema della comunicazione della Lombardia è il più forte d’Italia per numero di testate di carta, televisive, radiofoniche e telematiche a livello non solo nazionale, ma regionale, provinciale e di bacino interprovinciale. Anche Roma e il Lazio hanno un sistema produttivo forte. Non ci sono confronti con le altre zone della Penisola. Le scuole di giornalismo possono vivere solo in tali contesti che, peraltro, offrono opportunità anche negli uffici stampa pubblici e privati..
Io sono il primo praticante d’ufficio della storia italiana (anni 60, Il Giorno). L’Ordine di Milano negli ultimi 20 anni ha reso giustizia a decine di colleghi sfruttati, ma ha detto anche molti no. E’ accaduto lo stesso nel Mezzogiorno? Ne dubito. Almeno per quello che leggo su un sito campano e per quello che mi risulta da fonti affidabili. Gli Ordini regionali devono attenersi alle indicazioni del Consiglio nazionale, il quale a sua volta può chiedere alle Procure generali un attento esame delle singole delibere di accoglimento.
Le mie critiche hanno un taglio diverso: rimprovero alle Università, all’Ordine e alla Fnsi di non dire la verità sugli sbocchi occupazionali ai giovani aspiranti giornalisti. Bisogna essere trasparenti per essere credibili. Quali prospettive hanno le scuole aperte in piccoli centri del Mezzogiorno? E anche in alcuni centri del Centro-Nord senza mercato? Ripeto: servono sei scuole di 30 allievi l’una oppure una grande scuola nazionale (prevista dal nostro ordinamento) con due sedi: Roma e Milano. Sulla qualità sono d’accordo da sempre: è la qualità che, durante la mia gestione, ha connotato l’Ifg De Martino di Milano. Ho portato (quasi) a termine il censimento degli ex-allievi dell’Ifg. Il censimento è pubblico. Le altre scuole, sotto la regia del Consiglio nazionale, facciano lo stesso. Vediamo chi supererà il confronto con successo, anche se i risultati occupazionali degli ultimi due bienni (2005/2009) dell’Ifg De Martino sono poveri: 15 assunti su 80 allievi. Se Milano piange, altrove è notte nerissima. I numeri non danno corpo alle bugie (semiologiche o meno), ma rispecchiano la realtà. Le mie conclusioni sono ancorate a quei numeri e a una realtà che per ora non offre spunti di speranza.
Franco Abruzzo
già presidente dell’Ordine di Milano (1989-2007)
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Testo in: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=4101
Scuole di giornalismo
dell’Ordine: quadro
occupazionale fosco.
Chi fermerà queste
fabbriche di disoccupati?
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Testo in: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=4056
DECOLLA IL DIBATTITO con
retroscena inquietanti.
SCUOLE DI GIORNALISMO
dell’Ordine. La risposta
di Enzo Iacopino a Franco
Abruzzo: “La trasparenza
di oggi è il frutto di una
azione decisa contro le
incompatibilità e per le regole.
La crisi occupazionale non è
degli ultimi 24 mesi. C’era, pur
se meno esplosiva, anche prima”.
“Questo rigore, Franco, costa. La mortificazione di vedere un esponente dell’Università che tenta di corrompermi (“mettiamoci d’accordo”), qualche amarezza nello scoprire che certi rapporti personali erano legati solo all’interesse, il disagio di essere ascoltato come “persona informata” dall’Autorità giudiziaria, il disgusto di doversi giustificare in sede disciplinare davanti ad una menzogna costruita a tavolino”.
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Testo in: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=4108
PAURA DELLA VERITÀ.
L’Ifg “De Martino” è morto,
ma l’Ordine di Milano
parla di un rilancio, che nessuno
riesce a vedere, perché
la Statale di Milano ha dato vita
a un secondo master nemmeno
parente alla lontana del vecchio
e glorioso “Ifg De Martino”.
Il quadro occupazionale
è fosco, ma nessuno lo dice
a chi deve sborsare 13mila euro
In due anni. Chi chiuderà queste
fabbriche di disoccupati?
NOTARELLA DI FRANCO ABRUZZO
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