Le crescenti difficoltà dell’informazione in Italia e gli attacchi concentrici alla professione rendono inevitabile una ancora più marcata e incisiva presenza dell’Ordine dei giornalisti nella vita del nostro Paese. Il suo ruolo non può più in alcun modo essere ancillare rispetto agli altri organismi della categoria, ma anzi per la sua natura e la sua funzione l’Ordine deve essere il baricentro della professione. Chi sarà, quindi, chiamato a gestirlo nei prossimi anni deve farlo con la massima consapevolezza e determinazione, assumendo impegni chiari ed espliciti che ridiano prestigio al giornalismo, nonché qualità e spessore al lavoro dei giornalisti, ma soprattutto che possano garantire ai cittadini il diritto ad essere informati secondo verità, tempestività e onestà.
La nostra credibilità è messa in gioco tanto da fattori esterni (attacchi politici) che da fattori interni (scarsa preparazione). L’Ordine deve essere presente su entrambi i fronti evidenziando e, dove possibile, intervenendo direttamente per contrastare disegni tesi a comprimere la libertà di espressione o ad addomesticare i media: chiunque ne sia l’autore e da chiunque provengano. Occorre intervenire senza indulgenze e senza distrazioni che si trasformano in irresponsabili complicità con quanti considerano libera solo quella stampa che corrisponde alla loro ideologia, alle loro ambizioni, alle loro velleità. Allo stesso modo devono essere attivati tutti i possibili meccanismi per arrivare all’approvazione della riforma della legge istitutiva dell’Ordine o, almeno, di alcune significative parti di essa.
Sul fronte interno è necessario perseguire con maggiore forza i progetti già avviati circa la formazione dei futuri giornalisti che non può più essere affidata al caso. L’accesso alla professione deve avvenire o attraverso le scuole o secondo quanto previsto dalla legge del 1963: la strada dei praticantati d’ufficio – nata come strumento di garanzia estrema – è stata devastante, grazie al dilagare delle interpretazioni ed ha contribuito a creare un precariato infinito. I precari e i free lance sono diventati i nuovi schiavi di editori disinvolti che sfruttano la loro passione e i loro bisogni per tentare di imporre un'informazione addomesticata, piegata troppo spesso a strategie e a poco chiari interessi imprenditoriali. Solo l’integrità morale di questi giovani – non di rado abbandonati colpevolmente a se stessi – ha consentito fino ad ora di opporsi a iniziative che rappresentano il primo e più grave attentato alla libertà di stampa e al dovere di fornire ai cittadini una informazione libera, corretta e veritiera.
Chi oggi versa in questa situazione deve essere aiutato e sostenuto in ogni modo, ma a patto che venga posta la parola fine ai cosiddetti «riconoscimenti d’ufficio»: condizione indispensabile per arginare il fenomeno del precariato e per evitare giornalisti improvvisati o, peggio, camuffati.
La qualità professionale non deve riguardare solo i neo iscritti, ma anche chi è già nella professione da tempo, puntando sulla cosiddetta “formazione permanente”. È indispensabile a questo proposito giungere in breve alla creazione di un «Albo dei formatori» in cui raccogliere i giornalisti – professionisti e pubblicisti – che possano garantire tanto le conoscenze nei vari ambiti della professione quanto la capacità didattica. A loro spetterà il compito di insegnare nelle scuole e in tutti i corsi promossi dall’Ordine, così come di far parte delle commissioni d’esame.
L’altra leva su cui agire è quella disciplinare. Devono essere accelerati i tempi e i meccanismi (che sono purtroppo condizionati dalla legge) perché venga percepita anche dall’opinione pubblica la capacità dell’Ordine di vigilare sulla condotta dei suoi iscritti. Essenziale in proposito è la collaborazione con gli Ordini regionali ai quali va fornito ogni possibile supporto tecnico perché possano adempiere in maniera efficiente ai loro obblighi di giudici di primo grado.
Fondamentale in tutte queste iniziative è il potenziamento delle capacità comunicative dell’Ordine che deve cominciare «a fare notizia». Gli strumenti che già esistono (sito e giornale) devono essere rivitalizzati così come deve essere sfruttata al massimo la potenzialità del web attraverso tutte le nuove forme di comunicazione. Per far questo è necessario investire non solo in attrezzature, ma anche su persone qualificate: il «volontariato» - generoso e responsabile da parte di molti colleghi – non è più sufficiente per un Ordine che voglia puntare su una comunicazione tempestiva e capillare.
Al centro del lavoro della nuova consiliatura deve esserci l’impegno a restituire ai pubblicisti la piena dignità del loro ruolo sia attraverso la formazione sia attraverso il coinvolgimento non simbolico in tutte le attività dell’Ordine. Troppo spesso, negli ultimi anni, i pubblicisti sono stati oggetto di attacchi che mettevano in discussione la loro funzione, attacchi sistematicamente rinnovati, anche di recente, per ragioni che nulla hanno a che vedere con il loro impegno giornalistico.
I pubblicisti non sono e non devono essere percepiti né come una zavorra né come i «finanziatori» scomodi, ma comunque indispensabili per la vita dell’Ordine. Essi devono essere protagonisti delle scelte e degli impegni tanto dell’Ordine quanto degli altri organismi professionali. Le mutate situazioni richiedono compattezza e non sterili discussioni sul ruolo del pubblicismo.
Chi ha idee, energie e capacità ora più che mai deve metterle a servizio della categoria e di quei cittadini che confidano nei giornalisti per ottenere un’informazione libera, corretta e veritiera.
Dichiarazione di Franco Abruzzo:
“Ignoravo che la crisi del giornalismo sia da addebitare ai praticanti d’ufficio ai quali i Consigli dell’Ordine hanno riconosciuto i diritti vilipesi dai padroni e spesso nel silenzio del sindacato. Io, primo praticante d’ufficio della storia, dico che la crisi è stata provocata dall’incapacità degli editori di guardare al futuro e dall’incapacità del sindacato di battersi per la formazione continua dei giornalisti come vuole il Contratto e per la riduzione delle scuole di giornalismo almeno da 21 a 6. Oggi il vertice dell’Ordine chiede lo stop del praticantato d’ufficio: come dire che gli editori hanno via libera nello sfruttamento dei giovani e degli aspiranti giornalisti, A questo punto bisogna chiedersi se non è il caso di chiudere questo Ordine, che assolve direttori che non tutelano la dignità di cittadini protagonisti incolpevoli di fatti di cronaca e che assolve anche direttori che fanno gli attori pubblicitari. Il documento contiene una sviolinata ai pubblicisti ai quali non viene detto che non possono lavorare in redazione come insegna la Cassazione: evidentemente servono i loro voti per far rimanere i “capi” odierni nelle loro poltrone confortevoli. Complimenti! Annuncio subito che nelle elezioni del maggio 2010 non sarò candidato: ho già regalato 22 anni (di cui 18 come presidente dell’OgL) alla professione, ai colleghi e all’Ordine stesso. Può bastare”.
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RISPOSTA.
Lettera a Franco Abruzzo.
Enzo Iacopino: gli avversari
vogliono negare l’Albo
a 70mila pubblicisti….
Capisco, Franco. Capisco sempre. Capisco nel senso cristiano di farmi carico delle motivazioni degli altri, non in quello arrogante di chi crede di tutto sapere. Capisco le conversioni improvvise sul contratto, ascolto le motivazioni che le argomentano. Capisco l’esigenza di non andare in conflitto con il mondo. Capisco (ma non condivido) la tua decisione di non ricandidarti.
Quel che non capisco è che bisogno c’è di forzare o falsificare le cose. Che bisogno hai di scrivere che Del Boca e io eravamo “in lite”? Abbiamo caratteri diversi, ma ti sfido a trovare una, una che sia una decisione che ci abbia visto su posizioni contrapposte. Non dirmi che anche tu sei stato contaminato dalle tossine che mettono in giro quelli che ora dicono nelle loro riunioni, ed hanno almeno la dignità di confermarlo (onore alla coerenza), che debbono cacciare a calci nel sedere (la parola era più cruda) i 70mila pubblicisti e anche Iacopino. Sono gli stessi che da mesi stanno cercando di far litigare Del Boca e Iacopino con un dichiarato obiettivo: far fuori Iacopino. Sono gli stessi che nel 2007 ti hanno combattuto in ogni modo. Sono gli stessi che nel 2007 chiedevano di non votare Iacopino per il Consiglio nazionale, perché dietro di lui si nascondeva il malaffare. Hanno avuto modo di vedere dove era il malaffare, ad esempio nelle scuole. Ma è mancata loro la dignità di scusarsi e un altro Iacopino avrebbe cambiato la sua autovettura pagandola con i soldi loro, quelli di un risarcimento danni che c’è ancora il tempo per chiedere.
Solo che questo Iacopino pensa che tra colleghi ci si debba comportare in maniera diversa, che bisogna provare a parlarsi senza demonizzare chi ha idee diverse. Perché sai, caro Franco, la storiella, del “certo che sei libero di pensarla autonomamente, basta che la pensi come me”, ha proprio rotto le scatole. Puzza di sporco oltre che di vecchio, richiamando una cultura che ha provocato disastri a tutte le latitudini del globo, quando ha conquistato il potere.
In questi giorni sono state organizzate da una o più componenti riunioni varie con all’ordine del giorno le nostre elezioni del maggio 2010. Siamo rimasti sconcertati – non solo Del Boca e io – dall’avvio di questa lunga marcia e, ancor di più, dalla volgarità di alcuni interventi. E quasi senza parole davanti alle patetiche spiegazioni tendenti a capovolgere la verità: c’è chi tra noi pensa di poter tutto fare e dire (soprattutto sugli altri assenti), ma si indigna quando gli altri (gli assenti) vengono a sapere le cose fatte o dette. Ti rivelo un segreto, caro Franco: non c’è bisogno alcuno di mandare agenti segreti della Stasi (con la quale altri avranno avuto sintonie cultural-ideologiche). Tra noi ci sono tante persone perbene. Persone che si indignano quando ascoltano volgarità o complotti per programmare non solo calci nel sedere a questo o a quello. Ovviamente assente.
Sono di gusti tradizionali, caro Franco. In quest’epoca di barbarie forse è bene ribadirlo. Per questo abbraccio mia moglie (che quasi nessuno conosce perché la tengo fuori dalle nostre miserie) e mio figlio. Non “abbraccio i pubblicisti”. Trovo un’autentica vergogna il tentativo sistematico di demonizzarli dopo averli vezzeggiati quando servivano. Ricordo un altro precedente quando chi (in Fnsi, all’Inpgi, alla Casagit, all’Ordine) si era avvalso di un collega, poi deceduto, allora caduto in disgrazia voleva processarlo mentre si trovava immobilizzato su una sedia a rotelle, incapace di parlare e, quindi, di difendersi. Sono orgoglioso di averlo impedito: io che avevo denunciato cose poco corrette di quel collega. Trovo odioso questo sistema di far di conto sull’utilità delle persone, invece che ragionare sui problemi con le persone.
Questa poltrona, caro Franco, ha per me un costo. Tralascio quello economico documentabile (non è elegante, dicono di solito quelli che non possono provare alcunché, parlare di danaro), mi riferisco a quello personale e umano. Il primo è la fatica di ogni giorno, che ha avuto in altri momenti anche tuoi pubblici apprezzamenti. Il secondo è la scoperta di quanto strumentalità c’è o c’era in certi rapporti personali. E’ l’altra faccia della libertà, lo so. O della moralità delle persone e dei comportamenti. Ma forse sono un po’ Biancaneve.
Un’ultima cosa, Franco. Abbiamo a disposizione, e sono tuoi se li vorrai, i dati dei praticanti d’ufficio che hanno partecipato agli esami. E’ una volgarità, consentimi di essere crudo, insinuare che la posizione che proponiamo ad una valutazione della categoria è una sorta di via libera a certi editori, che nulla hanno da invidiare ai negrieri d’un tempo non lontano. A parte che il nostro documento non dice questo e richiama il dovere di garanzia estrema per evitare le porcherie che ci sono: cosa ben diversa dalla pioggia, dal diluvio che ne è venuto e dovrebbe esserti noto. Tu sei un formidabile archivista. Fa una ricerca. Non so se sono stato il primo a porre in maniera netta il problema della “schiavitù del precariato”. So, e ti sfido a provare il contrario, che nessuno ha mai osato fare una denuncia così netta come quelle fatte da me. Nessuno. So che davanti al presidente degli editori, in occasione della sua relazione annuale il 16 aprile 2009, tutti erano festanti, tutti anche i giornalisti presenti. Tutti meno uno che gli ha detto che in 27 cartelle nelle quali chiedeva ai giornalisti altri sacrifici e sollecitava la loro collaborazione per strappare altri danari al governo avrebbe ben potuto trovare tre righe per denunciare la vergogna del comportamento di alcuni suoi associati che pagano anche 1,03 lordi a pezzo i precari. Quell’uno era Iacopino. Spero tu, in questa tua terza o quarta fase della vita, abbia il garbo di darmene atto. (1)
Enzo Iacopino
(1) – notizia pubblicata in www.francoabruzzo.it
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Testo in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=4234
CASSAZIONE civile: i pubblicisti non possono
esercitare l’attività di redattore, perché
non sono iscritti nell’Albo aperto unicamente
a chi ha superato l’esame di Stato, e non possono
essere “reintegrati”. Si è in breve redattore
ordinario soltanto se giornalista professionista.
Dal 2002 sentenze coerenti della Suprema Corte, che
ha disapplicato sostanzialmente l’articolo 36 del Cnlg.
Fnsi e Fieg ne devono prendere atto.
“La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che per l'esercizio del lavoro giornalistico di redattore ordinario, cioè del giornalista professionista stabilmente inserito nell'ambito di una organizzazione editoriale o radiotelevisiva, con attività caratterizzata da autonomia della prestazione, non limitata alla mera trasmissione di notizie, ma estesa alla elaborazione, analisi e valutazione delle stesse, è necessaria l'iscrizione nell'albo dei giornalisti professionisti, e che non è idonea ad integrare detto requisito la iscrizione nel diverso albo dei giornalisti pubblicisti”.
Ricerca di FRANCO ABRUZZO
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