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PALAZZO DI GIUSTIZIA
di Milano: ampio dibattito
sulla magistratura.
Franco Abruzzo pone il
problema della libertà di
cronaca e del rispetto del
segreto professionale alla luce
delle sentenze della Corte
di Strasburgo che non
ammettono perquisizioni
nelle redazioni: “Tutte le
carte delle indagini devono
essere pubbliche salvo quelle
sulle quali il Gip pone il vincolo
del segreto temporaneo”.

Il presidente emerito dell’Ordine di Milano precisa che, comunque, è obbligo e dovere dei giornalisti filtrare i documenti processuali alla luce della deontologia professionale. Il rispetto della dignità della persona e della verità sostanziale dei fatti è il limite interno all’esercizio del diritto di informazione e di critica.

di Francesco M. De Bonis

Milano, 8 febbraio 2012.  “Quale giustizia in Italia dal 2013?” è il tema del dibattito che si è svolto oggi nell’aula della prima sezione civile del Tribunale. Il tema è il filo conduttore di una ricerca condotta per conto dell’Anm dalla società Methodos guidata da Giampaolo Azzoni, Toni Muzi Falconi e Lara Pontarelli. Erano presenti il primo presidente della Corte d’Appello, Giovanni Canzio; il presidente del Tribunale Livia Pomodoro e il procuratore della Repubblica Edmondo Bruti Liberati, giornalisti, avvocati ai quali si sono aggiunti nella tarda mattinata  Luca Palamara e Giuseppe Cascini, rispettivamente  presidente e segretario  dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), reduci dall’incontro a Palazzo Chigi con il presidente del  Consiglio Mario Monti. Tra le tematiche toccate dal dibattito spiccano la crisi economica, la criminalità organizzata e la corruzione politica amministrativa. Le tre “C” come lo studio di Methodos sintetizza felicemente le emergenze nazionali, che richiedono l’opera di magistrati di grande spessore culturale, economico, finanziario, con spiccate attitudini a indagini sempre più complesse con riflessi spesso internazionali.


Franco Abruzzo, consigliere dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia (di cui è stato lo storico presidente per 18 anni dal 1989 al 2007), ha preso lo spunto dalle tre emergenze, per sottolineare il ruolo del giornalismo professionale: “Noi siamo i mediatori intellettuali tra i fatti che accadono in questo Palazzo e la  gente che legge i giornali anche sul web, vede la tv e ascolta i radiogiornali. Abbiamo bisogno di strumenti adeguati quali l’accesso libero alle carte processuali. La terza sezione civile della Cassazione, con la sentenza 16236/2010, ha scritto che “il popolo può ritenersi ‘sovrano’, come vuole la Costituzione, soltanto se viene pienamente informato di tutti i fatti d’interesse pubblico”. “Bisogna partire da questa sentenza – ha sostenuto Abruzzo -  per costruire il nuovo diritto dell’informazione, che deve avere una regola molto semplice: tutte le carte processuali sono pubbliche e pubblicabili salvo quelle sulle quali il Gip pone il  vincolo del segreto temporaneo. Non chiedo di pubblicare ad libitum  quelle carte: è ovvio che i giornalisti debbano filtrare i documenti alla luce delle regole deontologiche. Siamo consapevoli che il rispetto della dignità della persona e della verità sostanziale dei fatti è il limite interno all’esercizio del diritto di informazione  e di critica. Se una sentenza parla di una persona violentata, mai il cronista riferirà le generalità della vittima o elementi che possano portare alla sua identificazione. Aggiungo che le personalità pubbliche hanno meno tutele rispetto all’uomo della strada”.


Dal 1°  dicembre 2009 la Carta dei diritti fondamentali della Ue e  la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) fanno parte della Costituzione europea (Trattato di Lisbona) e sono direttamente applicabili dai giudici e dalle autorità amministrative italiani. Su questa linea si muove il principio affermato il 27 febbraio 2001 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: ”I giudici nazionali devono applicare le norme della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo secondo i principi ermeneutici espressi nella giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo”.


Franco Abruzzo al riguardo ha affermato: “La Corte di Strasburgo ha ripetutamente detto che i magistrati non possono ordinare perquisizioni nei giornali, nelle case dei giornalisti, negli studi degli avvocati  dei giornalisti. Il segreto professionale dei giornalisti è inviolabile perché garantisce il diritto dei cittadini all’informazione su quanto avviene nei Palazzi del potere. Lo scrutinio di costituzionalità, ha scritto la Consulta, è sempre possibile”. E rivolgendosi a Palamara e Cascini, Abruzzo ha aggiunto: ”Basta con le perquisizioni, I giornalisti non devono essere intimiditi. La professione di giornalista, come quella dei medici e  degli avvocati, è nella Costituzione. Merita il rispetto più ampio”.


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Palamara (Anm): “Una ricerca per capire come ci vede il mondo”


- ‘Quale giustizia in Italia dal 2013?’ - Rapporto conclusivo (.pdf)


Milano, 08/02/2012.  “Esauriti gli attacchi della politica alla magistratura abbiamo voluto cercare di capire come sia possibile realizzare un cambiamento al nostro interno e per questo abbiamo pensato che fosse utile ascoltare il mondo esterno, intercettarne le idee, gli umori, le opinioni”. Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, a pochi giorni dalla scadenza del suo incarico, così spiega le intenzioni che hanno mosso “il sindacato delle toghe” a commissionare a Methodos una ricerca dal titolo chiaro e inequivocabile: ‘Quale giustizia in Italia dal 2013?’.


Guidata da Giampaolo Azzoni, Toni Muzi Falconi e Lara Pontarelli, l’indagine, condotta con il metodo Delphi, ha prodotto un rapporto conclusivo – che qui presentiamo – in cui si mettono in luce i punti fondamentali attorno ai quali lavorare per “rendere più efficiente ed efficace il sistema della giustizia in Italia”. Palamara sottolinea l’interesse del metodo adottato – questionari sottoposti a un panel composto da diciotto autorevoli personaggi del mondo della cultura, dell’economia, delle istituzioni, delle professioni, dell’accademia, dell’attivismo sociale e dei media. “A noi interessa aprirci e capire cosa il mondo esterno dice e pensa di noi”, spiega Palamara. “In questi anni la questione giustizia è stato un tema sulla bocca di tutti e tutti si sono sentiti autorizzati a dire la loro. Quel che ci premeva era smontare un pregiudizio, anzi una serie di pregiudizi: il giudice che non paga i suoi errori, il giudice che non lavora ecc. E quel che ci ha sorpreso nel leggere i risultati della ricerca è che le argomentazioni e i suggerimenti si sono rivelati di estremo interesse e precisione, dalla riforma delle circoscrizioni all’informatizzazione”.


Sulla necessità di una riforma complessiva e veloce piuttosto che di una graduale rimodulazione dell’apparato giudiziario, Palamara opta per questa seconda possibilità: “In questa fase in cui si trova il Paese ritengo più congruo un processo step-by-step, il che non significa rinunciare a una spinta successiva in cui si discuta a tutto tondo il sistema della giustizia”. E aggiunge: “Pur nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza dei poteri, continuo a pensare che la magistratura debba essere pronta a discutere tutti i temi che riguardano la nostra società”.


Allegati





- 'Quale giustizia in Italia dal 2013?' - Rapporto conclusivo (.pdf)


  


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