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In coda le dichiarazioni di Scalfaro
e Giovanardi sul delitto
(da "Tabloid" n. 7/8 - 2004)

Da “Il Riformista” del 10 luglio 2007
TERRORISMO. La vicenda
del giornalista
Renzo Magosso, imputato
a Monza per diffamazione

PER LA MORTE DI WALTER TOBAGI
NON SERVE UN CAPRO ESPIATORIO

L’Ordine dei giornalisti e la
Federazione della stampa,
il ministro della Giustizia,
le forze politiche e i tanti
sedicenti garantisti, di
destra e di sinistra,
non hanno nulla da dire?


DI FRANCO CORLEONE


Tobagi poteva essere salvato? Questo è l’interrogativo su cui si sono arrovellati nel corso degli anni politici, giornalisti, amici, e prima ancora il padre Ulderico e i famigliari. Le polemiche sulle responsabilità della sua morte erano esplose immediatamente. Lo scontro aveva al centro le vicende del Corriere della Sera, stretto tra il ruolo della P2 e dell’amministratore Tassan Din da una parte e il sindacato guidato da Raffaele Fiengo dall’altra. I socialisti scesero in campo accusando i giornalisti avversari di Tobagi di essere i mandanti morali dell’omicidio. Anche questa tragedia entrò nel conto del dissidio insanabile tra Craxi e Berlinguer e ancor più della frattura tra il Psi e la magistratura milanese, ben prima di tangentopoli.


Dopo 27 anni questa vicenda non è ancora storia ma rimane cronaca. Il 28 maggio, in occasione dell’anniversario, la morte di Tobagi è stata rievocata in tono rituale, mentre invece attende ancora giustizia. D’altronde, la ferita è aperta da tutti i punti di vista. Infatti, nel silenzio più assoluto, presso il Tribunale di Monza è in corso un nuovo processo. In realtà, il procedimento penale vede come imputato il giornalista Renzo Magosso, autore del volume Le carte di Moro. Perché Tobagi querelato dal generale Ruffino e dalla sorella del generale Bonaventura.


La querela per diffamazione concerne un articolo del settimanale Gente del 17 giugno 2004 in cui il giornalista Renzo Magosso intervistava un sottufficiale dei carabinieri dell’epoca, Dario Covolo, che dichiarava di avere presentato sei mesi prima del delitto una nota informativa sui terroristi che stavano progettando l’azione criminosa e che i suoi superiori la chiusero in un cassetto. Sulla base dell’articolo, in Parlamento alla fine della scorsa legislatura fu discussa una interrogazione a risposta immediata dell’onorevole Marco Boato e successivamente una interpellanza urgente sui misteri del caso a firma sempre dell’onorevole Boato e sottoscritta dai deputati Intini, Biondi, Pisapia e Bielli. In quella occasione il ministro Giovanardi per la prima e unica volta in vita sua difese la magistratura di Milano e si rifece alle affermazioni del dottor Armando Spataro. Vale la pena riportare una frase sconcertante della risposta del governo: «Quindi il governo non ha potuto fare altro che raccogliere nuovamente dalla procura di Milano, dai magistrati, sulla base di dichiarazioni rese in passato e di quelle di oggi, la loro volontà di non (proprio così, ndr) spiegare nuovamente cose già chiarite in tutte le sedi competenti».


L’onorevole Boato in sede di replica definì la risposta di Giovanardi «semplicemente indecente». Da quel momento si sviluppò, proprio in coincidenza con il venticinquesimo anniversario della morte di Tobagi, una ricerca e un approfondimento sui lati oscuri che facevano dire al direttore del tempo del Corriere della sera, Stefano Folli, «di non ritenere ancora chiusa la vicenda». Sono stati pubblicati alcuni volumi: Il caso Tobagi di Ugo Finetti, Le parole di piombo di Paolo Franchi e Ugo Intini, Walter Tobagi di Daniele Biacchessi. Giovanni Minoli ha dedicato all’affaire diverse puntate de La storia siamo noi e Claudio Martelli una trasmissione che gli ha fatto guadagnare una dura contestazione da parte di Tino Oldani, caporedattore di Panorama sul ruolo di Caterina Rosenzsweig, fidanzata dell’omicida Marco Barbone, che per la procura di Milano «poteva non sapere». È sterminato l’elenco dei pezzi giornalistici usciti in quel periodo che hanno riportato i nuovi elementi emersi dall’inchiesta di Magosso. Cito alla rinfusa i nomi degli autori: Antonio Dipollina, Luca Fazzo, Riccardo Chiaberge, Attilio Giordano, Giangiacomo Schiavi, Sebastiano Messina, Giuseppe Caruso, Dario Fertilio, Enrico Bonerandi, Gaspare Barbiellini Amidei, Stefano Salis, Dino Martirano, Piero Degli Antoni, Gian Guido Vecchi, Annachiara Sacchi, Claudia Fusani, Ruggiero Capone. Nessuno è sotto accusa, solo Magosso è sotto processo per una intervista. La cosa ha dell’incredibile, eppure non suscita scandalo. Le udienze finora si sono svolte nel silenzio più assoluto. Mi sono chiesto la ragione della latitanza dell’Ordine dei Giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa. Qui non è in gioco una difesa corporativa ma l’essenza della libertà di stampa e del diritto-dovere dell’informazione. La giurisprudenza della Cassazione è chiara sul punto, ma la solitudine di Magosso pone un problema politico.


In Sicilia situazioni del genere segnano il destino di una persona. Qui la partita è ancora più delicata. Renzo Magosso da imputato si è trasformato in accusatore. Ha rivendicato la sua amicizia con Tobagi e il suo impegno perché l’oblio non nasconda le ragioni occulte che hanno determinato quella tragedia. Magosso, peraltro, ha riferito in aula una circostanza inedita e clamorosa: venti giorni dopo il delitto, nel giugno 1980, il generale Dalla Chiesa incontrò l’allora direttore del Corriere Franco di Bella e gli disse chiaramente che a uccidere Tobagi era stato Marco Barbone, figlio di un alto dirigente dell’Editoriale. Di Bella chiese a Magosso, che lavorava al quotidiano L’Occhio, e che seguiva le indagini sul terrorismo, di accertare quanto ci fosse di vero. Magosso si rivolse all’allora capitano Bonaventura che confermò la circostanza, aggiungendo: «Abbiamo la certezza, la notizia arriva da Varese». Va chiarito che Rocco Ricciardi, l’informatore citato da Dario Covolo, abitava proprio nel varesotto. Ebbene, il 25 settembre, a poche ore dall’arresto di Barbone, Magosso scrisse sull’Occhio, il tabloid della Rizzoli diretto da Maurizio Costanzo, che era stato arrestato il killer di Tobagi e fece esplicito riferimento a Varese. Solo il 10 ottobre, «in maniera inaspettata e clamorosa», come riferiscono gli atti processuali, Barbone confessò di aver ucciso Tobagi. Magosso dunque non si era sognato nulla. E questa sembra proprio la riprova che nella vicenda ci sia ancora moltissimo da chiarire.


Occorrerebbe allora cogliere l’occasione per far fare finalmente chiarezza e giustizia. Ma l’impressione che si ricava dall’andamento del processo di Monza è che non si voglia andare in fondo, così che chi ha dato un contributo alla verità rischia di essere invece punito: serve a molti una condanna per diffamazione e magari una causa civile per danni per mettere una pietra tombale sulla vicenda.


Perché non fu salvato Tobagi? Fu solo sciatteria e insipienza, o ebbe un ruolo la P2? Fu decisivo l’utilizzo dei pentiti e un indecente rapporto di scambio? Dopo l’uccisione di quattro br in via Fracchia a Genova faceva comodo una ripresa del terrorismo in cui la vittima sacrificale poteva ben essere un riformista socialista, magari vicino alla direzione del maggiore quotidiano italiano? Sono domande inquietanti.


Barbone venne prontamente scarcerato, grazie alla collaborazione con i magistrati, che portò all’arresto di decine di suoi ex compagni. La sua ex fidanzata non venne neppure inquisita, nonostante avesse partecipato al progetto di sequestrare lo stesso Tobagi. Ora il processo contro il giornalista Magosso rischia di trasformarsi, al di là della volontà dei giudici, nella identificazione di un capro espiatorio che sia di monito per chi volesse insistere nel non rassegnarsi a una verità di comodo. L’Ordine dei giornalisti e la Federazione della stampa, il ministro della Giustizia, le forze politiche e i tanti sedicenti garantisti, di destra e di sinistra, non hanno nulla da dire?


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“Tabloid” n. 7/8 del 2004


Nel  Parlamento due ministri e  due verità sul delitto


Camera dei deputati, 19 dicembre 1983


Scalfaro legge una relazione di servizio di un


un sottufficiale dell’Arma del 13  dicembre 1979:


“E’ in programma un attentato o il rapimento


di Walter Tobagi...Tobagi è un vecchio obiettivo


delle Formazioni comuniste combattenti (Fcc)”.


 


Dal libro “Le carte di Moro, perché Tobagi” di Roberto Arlati e  Renzo Magosso  (Franco Angeli 2003)  riprendiamo un passaggio (pagine 142/143) che riguarda  la risposta 19 dicembre 1983 del Ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro nell’aula di Montecitorio a una interrogazione sul delitto Tobagi. Era stato Bettino Craxi (primo ministro dal 4 agosto 1983) ad accusare: “Qualcuno ha taciuto una nota informativa che preannunciava l’organizzazione dell’assassinio di Walter Tobagi”.  Questa la risposta di Scalfaro:


“Agli atti del reparto operativo del Gruppo carabinieri di Milano 1 esiste l’originale di una relazione di servizio redatto da un sottufficiale  dell’Arma (“il brigadiere Ciondolo”, ndr) il 13 dicembre 1979 nella quale si legge: “Secondo il postino, il...(segue il nome di un altro confidente) e gli altri avrebbero lasciato il proposito  di compiere azioni in  Varese ma avrebbero in programma un’azione a Milano. Il ....non ha lasciato capire pienamente quale possa essere il loro obiettivo ma ha riferito al postino che si tratta di un vecchio progetto delle Formazioni comuniste combattenti (FCC). Per quanto riguarda l’azione da compiere qui a Milano e la zona nella quale il gruppo sta operando il postino ritiene che vi sia in programma un attentato o il rapimento di Walter Tobagi, esponente del Corriere della Sera. La zona in cui il gruppo sta operando dovrebbe essere quella  di piazza Napoli-piazza Amendola-via Solari dove il Tobagi dovrebbe abitare. Il Tobagi è un vecchio obiettivo delle Formazioni comuniste combattenti...”. Dagli accertamenti svolti il postino di Varese si identifica con un certo Rocco Ricciardi. Va rilevato che l’attività dell’Arma dei carabinieri in tutte le vicende sufferiferite è attività di polizia giudiziaria che implica, come tale, il dovere di riferire in via esclusiva all’autorità giudiziaria dalla quale dipende”.


La precisazione è sconvolgente. E’ l’ultima frase a far sensazione. Scalfaro mette  in luce che i carabinieri debbono informare i magistrati. “Questa puntualizzazione – scrivono Arlati e Magosso – appare, alla luce dei fatti, come un rimprovero. Lascia implicitamente intendere che i carabinieri dell’Antiterrorismo di Milano non hanno detto tutto ai magistrati milanesi”.


 


Camera dei deputati, 18 giugno 2004


Giovanardi: “Nessuno ha indicato


gli assassini di Tobagi alla polizia”


   


Milano, 18 giugno 2004.  ''Nessuno ha mai indicato a polizia e carabinieri i nomi di chi sarebbero stati gli assassini. Ci mancherebbe altro che fosse emersa una circostanza di questo tipo''. Così si è espresso al question time il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, riferendosi  all'omicidio di Walter Tobagi.


   ''A distanza di 24 anni - aveva affermato poco prima il parlamentare Verde Marco Boato - sono ricorrenti gli interrogativi sulle gravi omissioni da parte di ufficiali dei carabinieri dell'epoca che nascosero e non diedero seguito a una


nota informativa preventiva redatta da un sottufficiale del nucleo antiterrorismo. Già nel dicembre '79, sei mesi prima dell'omicidio, i nomi dei terroristi che stavano progettando l'assassinio di Tobagi, erano noti, ma nulla, assolutamente nulla venne fatto per impedirne la morte. Il 28 maggio scorso il direttore del Corriere, Folli, ha dichiarato: “Non si tratta di una storia che possa considerarsi chiusa. La morte di Tobagi  è una ferita ancora aperta. E' necessario che questa vicenda venga riaperta''.


   ''Sulla base di informazioni attinte dall'autorità giudiziaria - ha risposto Giovanardi - devo smentire categoricamente le illazioni dell'onorevole Boato, che non corrispondono a verità, e sono dietro quel filone della dietrologia attraverso la quale i responsabili degli omicidi non sarebbero gli assassini che hanno ammazzato le vittime negli anni di piombo, ma sarebbero sempre trame oscure, la colpa  è dei carabinieri o delle forze dell'ordine, di coloro che, non si capisce perché, non avrebbero cercato di evitare questi  omicidi''.


 ''Il Governo - ha aggiunto il ministro sempre al question time - non ha potuto far altro che attingere dalla Procura di Milano, dai magistrati, con le dichiarazioni di allora e di oggi, la loro volontà di non spiegare nuovamente cose che hanno già chiarito in tutte le sedi competenti. Ricordo solo l'ultima


affermazione del dottor Armando Spataro, che era stato responsabile di quell'inchiesta, che ha ribadito che la morte di Tobagi  è connessa soltanto e solo a quello che rappresentava per la democrazia di questo Paese. Purtroppo è stata una delle centinaia di vittime dell'eversione armata di quei tempi che voleva nei giornalisti, nei magistrati, nei politici, soffocare


e annullare la democrazia nel nostro Paese. Credo che non dovremmo mai finire di condannare quegli assassini e non cercare ancora oggi, nel 2004, come fa Boato, di cercare di dare la colpa ai carabinieri  e a chi combatteva l'eversione e il terrorismo''.


   ''La risposta di Giovanardi  è indecente'' ha replicato Boato precisando, rivolto al ministro, che ''lei semplicemente si  è basato su informazioni di seconda mano e non ha capito assolutamente il significato di questa denuncia''. (ANSA).


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GIORNALISTI: TOBAGI; EX CC COVOLO, SI SAPEVA DI ATTENTATO


Milano, 23 luglio 2007. "Spiegai per tempo in un rapporto che un attentato sarebbe stato fatto nei confronti di Walter Tobagi e diedi i nomi di chi l'avrebbe compiuto. Ma non venne preso alcun  provvedimento". Lo ha affermato, in una conferenza stampa a Milano, l'ex brigadiere dei  carabinieri Dario Covolo. Tobagi, segretario dell'Associazione lombarda  dei giornalisti (Alg) e cronista politico di punta del Corriere della Sera fu ucciso il 28 maggio 1980. Il suo omicidio provocò forti  polemiche sul fatto che potesse essere prevenuto.


 E oggi a oltre 27 anni di distanza si è tenuto un incontro sul tema 'Le verita' nascoste. Il caso Tobagi: ferita ancora apertà al quale hanno preso parte, fra gli altri,il giornalista Renzo Magosso, l'ex terrorista di Prima Linea Sergio Segio, il deputato Marco Boato, l'ex sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone e David Messina dell'Alg. Covolo, soprannominato quando era in servizio 'ciondolo' ha spiegato di "aver raccolto quanto raccontato dal confidente Rocco Ricciardi, definito il 'postino' del gruppo terroristico" e "di averle rese note al capitano Alessandro Ruffino". "Dopo la morte di Tobagi - ha sottolineato - ho avuto una discussione molto accesa con Ruffino perché gli avevo detto che  volevano uccidere Tobagi e gli avevo fatto i nomi di Marco Barbone e altri.


 Queste cose le ho anche ripetute come testimone al processo in corso a Monza davanti a lui. L'incredibile è che per aver fatto il mio dovere ora  devo risponderne legalmente". Covolo, infatti, è stato denunciato per diffamazione da Ruffino, ora generale in pensione, insieme con Magosso per una intervista sul settimanale 'Gente'. La sua posizione è stata  però  stralciata perché vive all'estero e quindi ha preso parte alle udienze come teste. A Magosso, che sull'argomento ha scritto anche il libro 'Le  carte di Moro, perché Tobagì, sono giunte parole di solidarietà da  parte  di Boato, Corleone e Messina "per il suo rigoroso lavoro di cronista"  che  viene "perseguito invece di accertare perché gli investigatori non presero in considerazione le informazioni su Tobagi". "Il processo di Monza dopo ben 3 udienze è stato praticamente oscurato dai media - ha affermato Magosso - non sono state autorizzate le riprese tv e radio quando invece sarebbe importante che la pubblica opinione sapesse i  veri retroscena che al processo sono stati resi noti sull'omicidio di  Tobagi. Di fronte alla testimonianza di Covolo, il generale e il suo legale non  hanno replicato come verificabile dagli atti". (ANSA).


 


 


 


 





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