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Stampa

Una riflessione depositata agli
atti del Congresso della Fnsi.

Mercato, politica
e giornalisti,
un difficile equilibrio.

La libertà necessita di giornalisti indipendenti e di una stampa indipendente. Serve (e anche in fretta) uno Statuto dell’impresa editoriale, che separi proprietà azionarie e redazioni. Chi ha interessi privati in altri settori non può possedere giornali. La presenza delle banche nel capitale delle imprese editoriali è una minaccia reale all’autonomia dei mass media. “Banchieri, giù le mani dai giornali”. “La pubblicità stia al suo posto e non sostituisca l’informazione”. Le due grandi anomalie italiane (Parlamento proprietario di tv e radio; il più grande imprenditore nazionale della tv presidente del Consiglio). La libertà di impresa non significa: a) concepire il mercato come un pollaio dove le volpi (=gli editori) possono fare quel che vogliono; b) stravolgere il lavoro intellettuale del giornalista rendendolo precario; c) distruggere, sul modello americano, il sindacato unitario dei giornalisti frazionandolo e trasformandolo in tanti sindacatini aziendali (come vuol fare la Fiat di Marchionne), dissociando il lavoro dal lavoratore. IN CODA: a) Ferruccio De Bortoli: “Difficile rapporto con le proprietà”; b) Il programma del MIL (Movimento Informazione e Libertà) in 13 punti.

analisi di FRANCO ABRUZZO
consigliere dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia e dell’Associazione lombarda dei Giornalisti; portavoce del MIL (Movimento Informazione e Libertà).

Oggi il problema centrale  è quello della difesa della professione di giornalista. Gli editori, - con l’alibi della crisi pubblicitaria e diffusionale (che è reale) e che ha costretto la Fnsi a stipulare un contratto difensivo -,  vogliono assemblare i materiali presenti nella rete utilizzando giovani precari e affidare la parte nobile, i commenti, a persone di fiducia (docenti universitari).  Un nucleo di giornalisti professionisti molto qualificato dovrebbe provvedere, invece, alla creazione, all’assemblaggio e alla fattura del giornale. Questo disegno va contrastato con energia e determinazione. Bisogna difendere il ruolo storico del giornalista, mediatore intellettuale tra i fatti e la gente, e  battersi perché chi ha  interessi privati in altri settori non possieda giornali. La prima contromossa è l’approvazione  di una legge sullo Statuto dell’impresa editoriale, che separi proprietà azionarie e redazioni. La varietà delle opinioni sulle pagine dei giornali deve garantire il traguardo dell’obiettività minima, che si sostanzia anche nella pubblicazione di tutte le versioni circolanti su un determinato evento e di opinioni dissonanti rispetto alla linea del giornale. Il pluralismo è un valore da coltivare. “La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati” afferma solennemente la Costituzione europea. Un principio, che va costruito e implementato a livello continentale. Sarebbe una soluzione accettabile, come negli Usa, separare il giornale che racconta i fatti e li  spiega dalle pagine dedicate ai commenti, pagine che dovrebbero avere un direttore diverso da quello della pagine dei fatti. Lo Stato, per dare concretezza all’articolo 21 della Costituzizone, potrebbe limitarsi a finanziare due pagine al giorno in ogni giornale dedicate al contributo libero dei lettori da affidare al direttore delle pagine dei commenti. Questa è una vecchia idea di un collega, Hermes Gagliardi, che non c’è più. Gagliardi parlava di un controdirettore al quale affidare le pagine aperte ai lettori. E’ ovvio che i giornali  non debbano avere il vincolo di accettare il contributo statale.


Il non collateralismo partitico e sindacale  dovrà costituire il patrimonio comune di tutti i giornalisti professionisti. Non collateralismo  vuol dire presa di distanza da ogni centro di potere esterno o interno al giornalismo professionale: valore questo da praticare concretamente.  I GIORNALISTI TORNINO A FARE I GIORNALISTI, non a favore di Berlusconi o contro Berlusconi. AL SERVIZIO DEI LETTORI. Dobbiamo batterci per introdurre una norma antitrust del tipo “chi ha interessi privati in altri settori non può possedere giornali”. Occorre, per legge, separare gli interessi non editoriali degli azionisti da quelli dell’informazione.


La prima anomalia italiana (a livello internazionale per quanto riguarda il mondo occidentale) è data dal Parlamento, che possiede tre reti tv e tre reti radiofoniche, e dagli editori di giornali e tv, che hanno interessi in altri campi (banche, auto, cemento, assicurazioni, costruzioni, sanità, edilizia, cinema e politica, etc). Dentro il Parlamento esistono le maggioranze politiche. Oggi la maggioranza ha un leader, Silvio Berlusconi, che è proprietario della più grande azienda tv nazionale.  Devono essere sciolti i nodi dei conflitti di interesse, che non riguardano, però,  soltanto Silvio Berlusconi, ma anche le banche. La seconda anomalia italiana, collegata alla prima,  è, come detto, determinata dalla presenza nella vita politica, con il ruolo di premier, del proprietario di Mediaset.  Le vicende di Bari, Trani e Montecarlo dimostrano che la situazione crea risvolti inquietanti e che, fatto incredibile, trova un puntello nei programmi politici  “militanti” della Rai. Rai e Mediaset si giustificano a  vicenda, mentre il duopolio è stato rotto da Sky (gruppo internazionale  con enormi addentellati in più continenti). La partita è a tre o a quattro comprimari (se si considera La7), mentre i network regionali crescono e hanno un loro pubblico. A questo quadro va aggiunto un altro tassello prioritario: anche i grandi investitori pubblicitari condizionano i giornali e le tv: gli Stati Uniti insegnano qualcosa al riguardo.


La presenza delle banche nel capitale delle imprese editoriali è una minaccia  reale all’autonomia dei mass media. Se si passerà a un sostanziale regime liberalizzato, il ruolo delle banche nell’editoria rischia di diventare ancor più invasivo soprattutto in caso di crisi delle imprese, quando le banche prendono in mano le redini delle aziende in difficoltà.  Un primo passo  potrebbe esser quello di recepire nella legge in cantiere di riforma dell’editoria alcuni princìpi  elaborati dalla dottrina e  in sede sindacale  La nuova legge dovrebbe affermare  l’indipendenza delle pubblicazioni e dei giornalisti dal potere politico; l’indipendenza delle pubblicazioni e dei giornalisti da ogni gruppo di pressione; la separazione dell’informazione —  larga e indipendente — dal commento. Una delle regole più importanti  deve riguardare il direttore. L’editore non può legittimamente nominare un direttore se non sono stati prima consultati i giornalisti. Si tratta di un parere, quindi, preventivo e obbligatorio ancorché non vincolante. Contenere le anomalie editoriali italiane e l’influenza delle proprietà sui giornali  deve figurare negli impegni del Parlamento, stante il valore fondamentale del giornalismo, che non sopporta censure o autorizzazioni, e il diritto dei cittadini a una informazione onesta e completa.  La  scommessa è il giornalismo indipendente: può ritrovare cittadinanza in Italia? L’alternativa pessima è il giornalismo schierato con i poteri della politica e dell’economia. In sostanza la libertà di informazione non è una variabile dipendente del mercato, ma è un principio e un diritto fondamentale della Costituzione repubblicana, che va sopraordinata alla proprietà dei giornali.


I giornalisti devono stringersi attorno ai valori fondamentali della Costituzione,  i valori  di libertà, di dignità della persona, di giustizia, di solidarietà, di uguaglianza, di libertà di manifestazione del pensiero  (che si sostanzia nell’esercizio libero e senza censure del diritto “insopprimibile” di cronaca, di informazione e di critica  “limitato dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui”). 


La legalità deontologica è un valore da difendere contro chi pensa di ridurre i giornali a  meri veicoli di pubblicità spacciata per notizia, di gossip, di foto raccapriccianti e/o impressionanti, di  articoli elaborati incollando le agenzie di stampa. I giornalisti devono affermare e far valere il loro ruolo di mediatori intellettuali tra i fatti e i cittadini, non disposti a far battaglie per conto terzi (gli editori, gli azionisti e gli investitori pubblicitari). Le inchieste sui problemi sociali ed economici devono tornare nei giornali. Non è possibile che i giornali “buchino” sistematicamente i grandi scandali economico/finanziari e che gli stessi emergano soltanto dai Palazzi di Giustizia: all’informazione, invece, spetta anticipare i fatti. Oggi prevale la prudenza soprattutto per non scontentare gli azionisti? E’ più opportuno giocare di rimessa, aspettando che le notizie escano dai Palazzi di Giustizia? Il conformismo spesso è una realtà amara.


La Costituzione rimane l’unico baluardo a difesa della libera stampa contro  l’arroganza degli editori, che per 4 anni  hanno negato il rinnovo del contratto di lavoro e che trattano da paria i freelance, i fotogiornalisti e i collaboratori. La libertà di impresa non significa: a)  concepire il mercato come un pollaio dove le volpi (=gli editori) possono fare quel che vogliono; b) stravolgere il lavoro intellettuale del giornalista rendendolo precario; c) distruggere, sul modello americano, il sindacato unitario dei giornalisti frazionandolo e trasformandolo in tanti sindacatini aziendali (come vuol fare la Fiat di Marchionne), dissociando il lavoro dal lavoratore. Va salvaguardata la specificità culturale e la professionalità di ogni giornalista. La garanzia del lavoro è un valore costituzionale fortissimo.   Deve vincere l’Europa in tema di accesso alla professione, collegata strettamente all’Università e svincolata dal potere degli editori di “fare” i giornalisti. L’accesso deve essere esclusivamente affidato alle scuole e ai master universitari biennali riconosciuti dall’Ordine. 


Va avviato un grande dibattito in ogni parte della Nazione sui condizionamenti delle banche e della pubblicità  nella vita dei  giornali di carta, tv, radiofonici e web con l’obiettivo di proporre al Parlamento una organica riforma dell’editoria che faccia prevalere il diritto di cronaca e il diritto dei cittadini all’informazione sulle azioni dei proprietari dei giornali stessi. Gli slogan di questa battaglia altamente civile sono questi: “Banchieri, giù le mani dai giornali” e  “La pubblicità stia al suo posto e non sostituisca l’informazione”. Sviluppare una intensa campagna nei luoghi di lavoro, perché siano respinte certe offerte indebite di favori da parte di pr e aziende. Gli uffici marketing non devono interferire con il lavoro dei direttori e delle redazioni;


Le regole deontologiche sono fissate nella legge professionale 69/1963. Questi i principi che si ricavano dagli articoli 2 e 48 della legge n. 69/1963: 1)  la libertà di informazione e di critica (valori che fanno definire il giornalismo informazione critica) come diritto insopprimibile dei giornalisti; 2)  la tutela della persona umana e  il rispetto della verità sostanziale dei fatti principi da intendere come limiti alle libertà di informazione e di critica; 3) l'esercizio delle libertà di informazione e di critica ancorato ai doveri imposti dalla buona fede e dalla lealtà; 4)  il dovere di rettificare le notizie inesatte; 5)  il dovere di riparare gli eventuali errori; 6) il rispetto del segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse; 7) il dovere di promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori; 8) il mantenimento del decoro e della dignità professionali; 9) il rispetto della propria reputazione; 10)  il rispetto della dignità dell'Ordine professionale; 11)  il dovere di promozione dello spirito di collaborazione tra i colleghi; 12)  il dovere di promozione della cooperazione tra giornalisti ed editori.


Premesso che l’esame di Stato per i professionisti è un obbligo costituzionale (art. 33, V comma), le "regole" fissate dal legislatore (artt. 2 e 48 l. 69/1963) sono il perno, come afferma il  Contratto di lavoro, dell’autonomia dei giornalisti: l’editore non può impartire al direttore disposizioni in contrasto con la deontologia professionale, mentre il direttore deve garantire l’autonomia del suo collettivo redazionale. Le considerazioni sopra esposte consentono di risalire alle ragioni che hanno spinto il Parlamento nel 1963 a tutelare la professione giornalistica.  Senza legge professionale, direttori e redattori sarebbero degli impiegati di redazione vincolati soltanto da un articolo (2105) del Codice civile che riguarda gli obblighi di fedeltà verso l’azienda. Il direttore non sarebbe giuridicamente nelle condizioni di garantire l’autonomia della sua redazione. E’ quello che vogliono gli editori. Le norme deontologiche fissate negli articoli 2 e 48 della legge professionale 69/1963  inglobano le regole fissate nelle  Carte approvate a partire dal 1990 dalla Fnsi e dall’Ordine nazionale dei giornalisti. “Le prescrizioni contenute nelle carte di autoregolamentazione (Carta di Treviso e Carta dei doveri del giornalista) devono essere ritenute idonee a costituire un'esemplificazione del contenuto "in bianco" delle norme regolamentari di cui agli articoli 2 e 48  della legge n. 69/1963”. (Trib. Milano 12-07-2001; FONTI Giur. milanese, 2002, 33). La  Cassazione ha riconosciuto che le regole deontologiche  hanno “natura giuridica” (Cass., sez. un., 6 giugno 2002, n. 8225), allargando successivamente la sua visione sulla materia: “Secondo un indirizzo che si va delineando nella giurisprudenza di questa Corte, nell’ambito della violazione di legge va compresa anche la violazione delle norme dei Codici deontologici degli Ordini professionali, trattandosi di norme giuridiche obbligatorie valevoli per gli iscritti all’Albo ma che integrano il diritto oggettivo ai fini della configurazione dell’illecito disciplinare”  (cass., sez.un., 23 marzo 2004 n. 5776). In precedenza la sentenza n. 7543 del 9 luglio 1991 (Mass. 1991) della Cassazione civile  aveva riconosciuto che “la fissazione di norme interne, individuatrici di comportamenti contrari al decoro professionale, ancorché non integranti abusi o mancanze, configura legittimo esercizio dei poteri affidati agli Ordini professionali, con la consequenziale irrogabilità, in caso di inosservanza, di sanzione disciplinare”. Un ruolo forte hanno il Codice sulla privacy collegato alla nuova Carta di Treviso nonché la Carta dell’informazione economica. Le  sanzioni  sono comuni e sono quelle fissate dalla legge professionale (avvertimento, censura, sospensione da 2 a 12 mesi e radiazione). L’intera materia del procedimento disciplinare va rivista, riducendo il numero dei giudizi (da 5 a 3) e allargando il Consiglio dell’Ordine a soggetti della società civile, quando opera come giudice disciplinare.


La normativa sulle intercettazioni telefoniche e sui segreti (istruttorio e professionale del giornalista) va totalmente rivista anche in relazione al Codice della privacy. Vogliamo una legge di un solo articolo: “E’ lecito pubblicata le carte dei fascicoli istruttori sui quali il Gip non abbia apposto il segreto momentaneo”. Il ddl Alfano, come il ddl Castelli e il ddl Mastella,  blocca, invece, ogni tipo di pubblicazione (intercettazioni telefoniche in testa) e proibisce di  dar conto delle indagini, con relativa censura riguardante la pubblicazione di verbali d’interrogatorio, delle ordinanze di custodia cautelare, dei verbali di perquisizione e di sequestro. Il ddl Alfano tutela la classe dirigente del Paese.


L’attuale normativa sulla diffamazione sia in sede penale sia in quella civile va cambiata radicalmente. C’è bisogno urgente di una nuova legge sulla rettifica che incida sia in sede penale sia in sede civile. Il crescente numero di querele contro giornali e giornalisti rende necessaria una nuova legge sulla rettifica in caso di diffamazione a mezzo stampa. Il problema più significativo è risarcire l'onore delle persone lese e stabilire che la rettifica fatta nei termini previsti dall’articolo 8 della legge 47/1948 ha una funzione di risarcimento e che la stessa evita il procedimento penale e contiene il risarcimento civile. C'è bisogno di una legge di questo genere: i giornali potranno poi scegliere se rettificare o andare al processo penale con il rischio implicito di sanzioni civilistiche. La materia è complessa, perché si tratta di trovare un punto di equilibrio tra l’esigenza giuridica di tutelare l’identità della persona offesa e il diritto di giornali e giornalisti di riferire quel che accade ai cittadini, titolari a loro volta del diritto costituzionale all’informazione (corretta e completa) elaborato dalla Corte costituzionale e dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo. In sostanza va affermato il principio secondo il quale la persona offesa che non abbia chiesto la pubblicazione di una rettifica o smentita della notizia lesiva non può chiedere il risarcimento del danno lamentato in conseguenza della stessa. Nel caso di rifiuto di pubblicazione di rettifica o smentita, sono civilmente responsabili per il risarcimento del danno, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l'editore. Nel caso di pubblicazione di rettifica o smentita, la persone offesa può chiedere il risarcimento del danno qualora dimostri, in relazione alla gravità dell'illecito e alle circostanze, che l'adempimento non costituisca riparazione sufficiente.


E’ forte la convinzione in chi scrive  che soltanto dal rispetto delle regole deontologiche  possa determinarsi una reale rinascita morale della categoria, che deve procedere di pari passo con una  forte iniziativa nel campo della formazione continua (favorita dall’articlo 45 del Cnlg e dall’articolo 116 della legge 388/2000) da rendere obbligatoria quale titolo per l’iscrizione nell’Albo. Bisogna agire su questi fronti mentre la crisi quest’anno e nel 2012 morderà, espellendo complessivamente, tenendo conto dei dati 2008/2009, almeno 1.500/2mila giornalisti dal processo produttivo.  Prudenza ed equilibrio consigliano oggi di ridurre il numero dei master con il praticantato incorporato almeno fino al 2015, quando dovrebbe maturare, secondo le previsioni di economisti accreditati, la ripresa sul terreno degli introiti pubblicitari e diffusionali (con i giornali di carta “distribuiti” anche per via elettronica individuale e tascabile).


In questo momento difficile il  pensiero va a Mario Borsa, il grande giornalista del Secolo, del Times e  del Corriere della  Sera, e a  Walter Tobagi, inviato del Corriere della Sera e presidente dell’Associazione lombarda dei Giornalisti, martire della nostra professione, che,  nel 1976, ha rilanciato la lezione morale di Borsa con un saggio pubblicato in “Problemi dell’informazione” (il saggio è in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=5373): «La libertà - per essere qualche cosa di reale - deve passare – ha scritto Borsa - dalle istituzioni al costume politico: deve essere qualche cosa che non bisogna aspettarsi dagli altri ma che bisogna guadagnarsi, da noi stessi, giorno per giorno come la vita, e nella quale non basta credere. Bisogna soprattutto sentirla. Chi non sente la libertà come un dovere non può invocarla come un diritto». Borsa, nel 1921/24, e Tobagi, nel 1976/1980, hanno difeso l’autonomia e la libertà della nostra professione contro i fascismi neri e rossi dilaganti, pagando il primo il suo coraggio con  l’esilio in Patria (“italiano straniero”) e il carcere; il secondo, con la vita.  Borsa e Tobagi, come dicevano gli antichi greci,  sono vivi e attuali  e devono rimanere vivi e attuali. (pubblicato anche in http://www.personaedanno.it/CMS/Data/articoli/019997.aspx).

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EDITORIA. FERRUCCIO DE BORTOLI: “DIFFICILE RAPPORTO  CON LE PROPRIETÀ”


Ferruccio De Bortoli ha inviato un messaggio scritto alla presentazione milanese del libro di Giulio Borrelli 'Le mani sul Tg1', e ha preso lo «spunto per parlare anche dei conflitti di interesse e della necessità di un maggiore pluralismo della carta stampata». «Un difficile rapporto con le proprietà - ha aggiunto - lo abbiamo anche noi, anche alla Rcs, anche al Corriere. Il numero di azionisti, elevato, e in gran parte disinteressato allo sviluppo dell'editoria costituisce una anomalia non solo italiana». «L'antidoto - ha aggiunto - sta nella nostra professionalità, nel nostro grado di indipendenza e nella consapevolezza che la nostra storia, e i valori che custodiamo, sono infinitamente superiori a quelli dei nostri azionisti, verso i quali vi deve essere rispetto, ma non accondiscendenza o peggio complicità».


 


Milano, 9 giugno 2010.  Ferruccio De Bortoli ha inviato un messaggio scritto alla presentazione milanese del libro di Giulio Borrelli 'Le mani sul Tg1', e ha preso lo «spunto per parlare anche dei conflitti di interesse e della necessità di un maggiore pluralismo della carta stampata». «Un difficile rapporto con le proprietà - ha aggiunto - lo abbiamo anche noi, anche alla Rcs, anche al Corriere. Il numero di azionisti, elevato, e in gran parte disinteressato allo sviluppo dell'editoria costituisce una anomalia non solo italiana». «L'antidoto - ha aggiunto - sta nella nostra professionalità, nel nostro grado di indipendenza e nella consapevolezza che la nostra storia, e i valori che custodiamo, sono infinitamente superiori a quelli dei nostri azionisti, verso i quali vi deve essere rispetto, ma non accondiscendenza o peggio complicità». De Bortoli ha iniziato il suo intervento scritto parlando dell'argomento del libro di Borrelli, cioè la Rai. «Non ne condivido alcune parti, qualche tonalità è a mio giudizio eccessiva - ha sottolineato -, ma certo il merito di porre il problema dell'ingerenza della politica nell'informazione televisiva. Una costante storica della Rai che ha assunto negli ultimi tempi il carattere di una seria patologia del nostro sistema democratico». Secondo il direttore del Corriere della Sera «una Rai più libera dalle interferenze, saprebbe garantire i criteri di indipendenza e oggettività che hanno caratterizzato le su stagioni migliori. E assicurare il rispetto della par condicio, dell'equilibrio nell'esposizione dei fatti, dell'onestà della narrazione, che sono patrimonio di base irrinunciabile di ogni buon professionista, e non solo della televisione». De Bortoli però ha parlato anche della situazione della stampa, e del suo quotidiano. «Si può e si deve parlare di cose che spiacciono all'azionista - ha osservato -. Si può e si deve criticare l'azionista. Ma si deve essere consapevoli che gli errori si pagano e caro. L'indipendenza è direttamente proporzionale alla competenza, all'accuratezza e alla credibilità. Una notizia completa e verificata, non le ferma nessuno, specie con le nuove tecnologie dell'informazione. E così una buona inchiesta, con fonti sicure accertate». (ANSA).


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I 13 PUNTI CENTRALI DEL PROGRAMMA DEL MIL


 


1. CONTRO I BAVAGLI. Oggi c’è anche e soprattutto il problema di combattere contro il tentativo del mondo politico (ddl Castelli, Mastella e Alfano) di imbavagliare la stampa e di mettere ostacoli all’attività dei Pm, pur riconoscendo che il rispetto della privacy per i cittadini  innocenti ed estranei alle inchieste giudiziarie è un problema serio e ineludibile.


2. Dobbiamo contrastare la finta ingenuità di alcuni direttori che dicono di non spiegarsi perché, per disporre il trasferimento di un giornalista, ci sia bisogno del suo consenso. Rispondiamo che l’articolo 41 della Costituzione e l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970) tutelano la dignità della persona: un giornalista non è un sacco di patate che si possa spostare, in modo arbitrario e senza tener conto delle specificità individuali, da un punto all’altro della redazione oppure da una città all’altra. Dobbiamo chiedere alle aziende editoriali di rispettare il contratto e la legge 388/2000  in tema di formazione continua dei giornalisti.


3. Difesa degli organici redazionali, favorendo nuove iniziative di tutte le testate giornalistiche (tradizionali o di carta, televisive, radiofoniche e telematiche).


4. Garantire ai redattori addetti al desk, come prevede il Cnlg, il diritto alla firma almeno settimanalmente.


5. Difesa del ruolo degli inviati speciali cancellati come qualifica dal  Contratto del 2001. Attraverso la figura dell’inviato,  dobbiamo difendere la specificità e l’originalità di ogni giornale inteso come opera collettiva dell’ingegno. No ai giornali copia e incolla, sì ai giornali costruiti  dai giornalisti, che devono tornare a parlare con la gente nelle città e nei paesi della Penisola. Sì ai cronisti, che battono i marciapiedi e consumano le scarpe alla ricerca di notizie. Ferma condanna della scelta degli editori di utilizzare le tecnologie informatiche come taglio dei costi. Dobbiamo tornare a fare inchieste, che facciano male a qualcuno, soprattutto ai poteri forti (banche, grande industria, assicurazioni, mondo politico). 


6. INPGI. LIBERTA’ DI CUMULO  E LIMITE DEI 5000 EURO PER L’ISCRIZIONE ALLA GESTIONE SEPARATA. Bisogna convincere l’Inpgi: a) a liberalizzare la libertà di cumulo, che è un atto di giustizia per quanti sono stati costretti al pensionamento anticipato o alla pensione di anzianità; b) a “copiare”, battendosi per una modifica legislativa,  dall’Inps il limite dei 5mila euro per i collaboratori gravati oggi dall’obbligo di iscrizione alla gestione separata (o Inpgi/2) anche se annualmente guadagnano cifre irrisorie senza alcuna prospettiva di pensione decente.  Chi guadagna meno di 5mila euro all’anno deve essere libero di aderire io meno all’Istituto vista la eseguità delle pensioni future.


7. Retribuzioni dignitose per i pezzi dei collaboratori: ripristinando, come gli avvocati,  il “TARIFFARIO MINIMO”. Nessun contributo statale alle aziende editoriali che erogano retribuzioni  troppo basse o che non applicano il contratto Fnsi/Fieg.


8.  Riduzione dei master biennali di giornalismo riconosciuti dall’Ordine a 6 su scala nazionale. Controlli accurati su sedicenti scuole, corsi, master di  giornalismo estranei ai circuiti ufficiali, che creano illusioni e  aspettative. Ai master universitari  vanno affiancati corsi di formazione continua (favorita dall’articolo 45 del Cnlg e dall’articolo 116 della legge 388/2000)


9) Emanazione di linee guida precise sulla presenza degli stagisti nelle redazioni giornalistiche, differenziando tra stagisti-praticanti  (iscritti a scuole di giornalismo) e stagisti non praticanti. I primi  dovrebbero sempre essere messi in condizione di svolgere pratica  giornalistica (scrivendo, firmando, apparendo in video etc) perché  sono a tutti gli effetti praticanti iscritti al Registro annesso  all'Albo dei professionisti. Allo stesso tempo, però, è importante  vigilare affinché non vengano utilizzati per sostituzioni ferie,  malattia o maternità.


10) Praticanti d’ufficio: trasmettere sistematicamente le  informazioni sulle istanze di praticantato d'ufficio agli organismi  competenti a svolgere indagini e ispezioni (Ispettorato provinciale del Lavoro e Ispettorato Inpgi). Nella maggior  parte dei casi dietro un praticantato d'ufficio si cela una situazione  di sfruttamento ed evasione fiscale/previdenziale, con giornalisti di fatto sottopagati e  ricattabili.


11) Più controlli su trasmissioni radiofoniche e di tv locali: spesso  ci sono persone che svolgono attività giornalistica professionale e di redazione,  anche continuativamente, anche per mesi o addirittura anni, magari  avendo anche la responsabilità di specifiche trasmissioni!, senza che  ciò venga riconosciuto contrattualmente. Non solo quindi sanatorie  "ex post" coi praticantati d'ufficio, ma anche e soprattutto un impegno  dell'Ordine (e del sindacato) per controlli ex ante.


12. Crescita qualitativa dei servizi resi dal sindacato attraverso un uso sempre più incisivo e innovativo della telematica. Promozione di una forte campagna di iscrizioni al sindacato.  Sviluppo dell’azione di comunicazione attraverso i portali internet, le email e i giornali web e/o  di carta, organi del sindacato stesso.


13. Rilancio, ove esistano, dei CIRCOLI DELLA STAMPA come luoghi specializzati dove dibattere i grandi temi del giornalismo, coinvolgendo i cittadini.


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Leggi tutto in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=5823


SINDACATO LATITANTE.


Fondo nazionale paritetico interprofessionale


per la formazione continua dei giornalisti italiani:


i soldi ci sono (all’incirca 2,4 mln di euro all'anno)


ma Fnsi e Fieg li hanno dirottati in silenzio all’Inpgi.


Così l’aggiornamento dei giornalisti resta una parola vuota. Perché?


di FRANCO ABRUZZO


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Leggi tutto in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=6016


INTERCETTAZIONI


E DIRITTO DI CRONACA.


Il  “ddl  Alfano” visto  dall’angolo dei giornalisti.


di FRANCO ABRUZZO per la rivista Themis (n. 6/2010)


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Leggi tutto in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=5972


Il Contratto nazionale di lavoro giornalistico


2009/2013 commentato articolo per articolo


dagli avvocati Maurizio Borali e Stefano Chiusolo,


nella collana “I quaderni dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia”.


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