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Il Sole 24 Ore Giovedì 9 Novembre 2023 Pagina 40 - PENSIONI EX INPGI, CUMULO PIENO CON I REDDITI DA LAVORO -Ribadita dalla Cassazione l’illegittimità delle trattenute dell’ex ente dei giornalisti - Disapplicato il regolamento che prevedeva un regime dissonante rispetto all’Inps.

Di MAURO PIZZIN

La sentenza della Corte di cassazione 24931/2023, Sezione quarta civile, ha riportato in primo piano il tema della cumulabilità delle pensioni erogate ai giornalisti dipendenti dall’Inpgi prima del passaggio della gestione previdenziale obbligatoria degli stessi all’Inps a partire dal 1° luglio 2022. E la decisione finale va nel segno della giuriprudenza più recente, ossia della piena cumulabilità. La questione negli anni passati era stata oggetto di numerose controversie, con conseguenti ricorsi ai giudici, in quanto l’articolo 15 del Regolamento previdenziale dell’Istituto, aggiornato più volte nel corso degli anni, aveva sempre previsto un parziale divieto di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro. Esso prevedeva, in particolare, che tutte le pensioni erogate, tranne quelle di vecchiaia, invalidità e ai superstiti fossero cumulabili con i redditi da lavoro dipendente e autonomo di qualsiasi natura fino a un limite massimo, arrivato nel 2022 a 22.907,04 euro. Secondo il regolamento, l’eccedenza reddituale rispetto al tetto cumulabile, nei limiti del 50% del trattamento stesso, andava ad abbattere la pensione erogabile. La disposizione contrastava con quanto disposto dall’articolo 19 del Dl 112/2008, il cui comma 1 stabilisce che dal 1° gennaio 2009 le pensioni dirette di anzianità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria (Ago) e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima sono totalmente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente. In particolare sul perimetro applicativo di questa norma si è incentrato il ricorso del pensionato conclusosi con la sentenza della Cassazione. Nel 2014 il pensionato aveva chiesto al Tribunale di Milano la condanna dell’Inpgi alla restituzione delle trattenute affettuate a suo carico dall’ottobre 2013. Alla sentenza favorevole di primo grado aveva fatto seguito una decisione di segno opposto della Corte d’appello del capoluogo lombardo, che aveva accolto la tesi dell’Inpgi secondo cui, in quanto ente privatizzato, l’Istituto non era direttamente assoggettato alle norme sulle forme previdenziali sostitutive pubbliche, ragion per cui la determinazione dei requisiti e delle modalità di godimento delle prestazioni previdenziali erogate, compresi quelli relativi al cumulo, sarebbero state rimesse alle sue deliberazioni interne, prese in relazione all’obiettivo primario di garantire l’equilibrio di bilancio. Nel decidere la controversia, la Cassazione, riconfermando l’orientamento più recente, ha ricordato che la giurisprudenza di legittimità, superando precedenti difformi, ha da tempo e a più riprese ribadito che in tema di cumulo tra pensione e redditi da lavoro agli ormai ex iscritti all’Inpgi si applica la stessa disciplina prevista per gli iscritti all’Ago facente capo all’Inps. E questo in quanto l’Inpgi, al di là della natura giuridica formale di fondazione di diritto privato, secondo quanto disposto dal Dlgs 509/1994, «ha natura di “istituzione pubblica” per effetto della relazione funzionale con lo Stato». A differenza delle altre Casse private, infatti, l’Inpgi gestiva anche la previdenza obbligatoria dei giornalisti dipendenti, svolgendo quindi funzioni analoghe, se non identiche all funzioni degli enti pubblici di previdenza e assistenza, per lo svolgimento delle quali, ad esempio, era dotata di poteri autoritativi sia per l’accertamento per mezzo del proprio corpo di ispettori dei crediti contributivi, sia per l’irrogazione delle sanzioni. In questo contesto, secondo i giudici di legittimità, quando si parla di previdenza sociale obbligatoria e di forme sostitutive della stessa il regime di cumulo non può che operare nella stessa maniera anche se la loro gestione sia a carico di enti previdenziali privatizzati. L’autonomia di questi ultimi, conclude la Corte, «non è legibus soluta e non giustifica il perpetuarsi di un regime dissonante rispetto a quello vigente nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria». Da ciò la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte d’appello in diversa composizione per il riesame della controversia in base ai principi di diritto enunciati.





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