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  » Dispensa telematica per l’esame di giornalista
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  Dispensa telematica per l’esame di giornalista
Stampa

La Corte di Cassazione conferma l’orientamento già espresso dalle Sezioni Unite (sia civili che penali) che il giornale telematico - sia se riproduzione di quello cartaceo, sia se unica e autonoma fonte di informazione professionale - soggiace alla normativa sulla stampa, perché ontologicamente e funzionalmente è assimilabile alla pubblicazione cartacea (Cass. pen., 11 dicembre 2017-22 marzo 2018, n. 13398 - Sez. V - Pres. Zaza - Rel. Guardiano). La conseguenza è che alle testate telematiche si estendono, non solo le garanzie costituzionali (art. 21 Cost.), ma anche le norme volte a impedire la commissione di reati a mezzo stampa, tra le quali vi è anche l'articolo 57 del Cp, che punisce il direttore responsabile per l'omesso controllo sui contenuti pubblicati.

di Sabrina Peron/avvocato in Milano

24.5.2019 - La Corte di Cassazione conferma l’orientamento già espresso dalle Sezioni Unite (sia civili che penali) che il giornale telematico - sia se riproduzione di quello cartaceo, sia se unica e autonoma fonte di informazione professionale - soggiace alla normativa sulla stampa, perché ontologicamente e funzionalmente è assimilabile alla pubblicazione cartacea (Cass. pen., 11 dicembre 2017-22 marzo 2018, n. 13398 - Sez. V - Pres. Zaza - Rel. Guardiano). La conseguenza è che alle testate telematiche si estendono, non solo le garanzie costituzionali (art. 21 Cost.), ma anche le norme volte a impedire la commissione di reati a mezzo stampa, tra le quali vi è anche l'articolo 57 del Cp, che punisce il direttore responsabile per l'omesso controllo sui contenuti pubblicati. Secondo la Cassazione, inoltre, tale responsabilità oltre a comprendere riguarda i contenuti redazionali, può estendersi anche ai commenti inseriti ("postati") dagli utenti estranei alla redazione, perché, rispetto a tali ultimi contenuti, se pure si accertasse l'impossibilità per il direttore di impedirne la pubblicazione con gli opportuni, praticabili accorgimenti tecnico-organizzativi, ciò non sarebbe sufficiente a escludere la responsabilità per omesso controllo in relazione alla “permanenza” del commento incriminato, che il direttore avrebbe potuto e dovuto rimuovere.


MASSIME


Cass. pen., 11 dicembre 2017-22 marzo 2018, n. 13398 - Sez. V - Pres. Zaza - Rel. Guardiano


Stampa – Reati commessi col mezzo della stampa – Testata telematica – Responsabilità direttore


Non può essere invocata, come causa di esclusione della responsabilità, ex art. 57, c.p., del direttore responsabile di una testata giornalistica on-line, la circostanza che l'articolo contenente espressioni diffamatorie sia stato “postato” in forma anonima, quando l'articolo, lungi dall'essere un commento “ab externo” di un lettore, si presenti come contenuto redazionale, sia pure inserito non firmato dal suo autore, all'interno della pubblicazione telematica. Tale modalità di inserimento nel corpo della testata lascia presumere, infatti, la possibilità da parte del direttore responsabile di operare un controllo preventivo sul contenuto del giornale.


 


Norme di riferimento: art. 595 c.p.; art. 57 c.p.; L. 08.02.1948, n. 47


Stampa – Testata telematica – Diffamazione – Responsabilità direttore


È configurabile, a carico del direttore responsabile di una testata giornalistica on line, la responsabilità per il reato di omesso controllo, in relazione a un articolo contenente espressioni diffamatorie che, sia pure non firmato dal suo autore, si presenti come contenuto redazionale all'interno della pubblicazione telematica e permanga nel sito per un lungo tempo (nella specie, i giudici di merito avevano accertato che l'imputato era anche amministratore del sito dove veniva pubblicato il giornale).


 


Norme di riferimento: art. 595 c.p.; art. 57 c.p.; L. 08.02.1948, n. 47


Stampa – Testata telematica – Diffamazione – Responsabilità direttore


Il giornale telematico - sia se riproduzione di quello cartaceo, sia se unica e autonoma fonte di informazione professionale - soggiace alla normativa sulla stampa, perché ontologicamente e funzionalmente è assimilabile alla pubblicazione cartacea. Al giornale telematico si estendono, quindi, non solo le garanzie costituzionali a tutela della stampa e della libera manifestazione del pensiero previste dall'articolo 21 della costituzione, ma anche le disposizioni volte a impedire che con il mezzo della stampa si commettano reati, tra le quali quella di cui all'articolo 57 del Cp, che punisce appunto l'omesso controllo sui contenuti pubblicati. Tale responsabilità riguarda certamente i contenuti redazionali, ma non può escludersi neppure relativamente ai commenti inseriti ("postati") dagli utenti estranei alla redazione, perché, rispetto a tali ultimi contenuti, se pure si accertasse l'impossibilità per il direttore di impedirne la pubblicazione con gli opportuni, praticabili accorgimenti tecnico-organizzativi, ciò non sarebbe sufficiente a escludere la responsabilità per omesso controllo in relazione alla “permanenza” del commento incriminato, che il direttore avrebbe potuto e dovuto rimuovere.


 


Norme di riferimento: art. 595 c.p.; art. 57 c.p.; L. 08.02.1948, n. 47


In senso contrario: Cass. pen., 21.11.2017, n. 7885; Cass. pen., 5 novembre 2013, n. 10594; Cass. pen., 28 ottobre 2011, n. 35511.


NOTA


Sull’applicabilità dell’art. 57 c.p. al direttore responsabile di testata telematica


Sabrina Peron, avvocato in Milano.


Il nuovo orientamento della Corte di Cassazione, circa la responsabilità per omesso controllo ex art. 57 c.p. anche al direttore responsabile di una testata telematica.


1.- La figura del direttore responsabile


L’art. 1 della L. 47/1948, considera «stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione».


L’art. 3, invece, statuisce che «ogni giornale o altro periodico deve avere un direttore responsabile», il quale dev’essere: cittadino italiano (o cittadino di un Paese UE ex art. 9 L. 06.02.1996, n. 52); giornalista professionista o pubblicista; in possesso dei requisiti per l'iscrizione nelle liste elettorali politiche. In proposito si ricorda che il «mero conferimento dell'incarico di direttore responsabile di un periodico, ai sensi dell'art. 3 l. 8 febbraio 1948 n. 47, con la relativa indicazione dello stesso nel periodico, non comporta, di per sé, l'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato che sussiste ove, sulla base delle modalità effettive di esecuzione della prestazione, sia accertato, oltre allo svolgimento di una attività pubblicistica, ancorché episodica, e alla assunzione delle responsabilità esterne derivanti dalla legge, il continuativo esercizio delle responsabilità interne derivanti dalla preposizione, circa gli orientamenti e gli specifici contenuti del quotidiano o periodico, anche se all'opera redazionale si provveda in collettivo, con gli altri collaboratori interni della testata; è, invece, irrilevante il contenimento della soggezione del direttore al potere direttivo della proprietà editoriale, nei limiti delle direttive originariamente impartite, derivando l'ampia autonomia decisionale di chi dirige un quotidiano o periodico sia dalla preposizione al vertice della organizzazione giornalistica, sia dal contenuto spiccatamente fiduciario del rapporto, sia dalla garanzia costituzionale del pluralismo e della libertà di informazione» (così, Cass. civ., 23925/2010).


 


L’art. 57 c.p. infine prevede che «salva la responsabilità dell'autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo».


In buona sostanza, nel nostro attuale ordinamento, il direttore responsabile:



  • è autore di quell’opera collettiva dell’ingegno che è il giornale (art. 7 L. 22.04.1941, n. 633);



  • ha competenza, esclusiva e specifica, di «fissare ed impartire le direttive del lavoro redazionale e dare le disposizioni necessarie al regolare andamento del servizio». Egli, difatti, è il trait d’union tra la redazione e l’editore e ha il «diritto di guidare la redazione, in tutta autonomia rispetto all’editore», nonché ha la «facoltà di operare tagli, modifiche, integrazioni al testo scritto del giornalista, salvo il diritto di quest’ultimo di non firmare l’articolo se non condivide le modifiche» (Cass. pen., 52743/2017);



  • è tenuto a far inserire gratuitamente nella testata da lui diretta, le rettifiche di coloro di cui siano state pubblicate notizie/immagini da questi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché tali rettifiche: non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale; siano contenute nel limite delle 30 righe (art. 8 L. 47/1948);



  • risponde (ferma restando la responsabilità dell’articolista e salvo il caso di concorso) del reato di «omesso controllo» ex art. 57 c.p., quando non impedisce che «con il mezzo della pubblicazione siano commessi reati» e, peraltro, in questo caso è responsabile anche civilmente in solido con l’autore, il proprietario e l’editore, ex art. 11 L. 47/1948.


 


A tale ultimo riguardo la giurisprudenza consolidata ha chiarito che, nei casi di diffamazione, il direttore responsabile che con la sua condotta omissiva «abbia determinato una pubblicazione criminosa, scaturisce, a titolo di colpa e non oggettivamente, dalla violazione dell'obbligo giuridico di impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati» (Cass. pen., 4672/2016). Bisogna poi distinguere la responsabilità del direttore per fatto proprio (art. 57 c.p.) da quella a titolo di concorso ex art. 110 c.p.: nella prima ipotesi, è configurabile un reato proprio, autonomo, punibile a titolo colposo, a condotta oggettivamente e soggettivamente omissiva; nella seconda, invece, si ravvisa un reato in cui il direttore concorre con un terzo, secondo la ordinaria disciplina normativa di cui al citato art. 110 c.p. Ne segue, che la responsabilità del direttore per non avere impedito la commissione del reato, è «ben diversa da quella a titolo di concorso; quest'ultima sussiste in quanto siano presenti tutti gli elementi di cui all'art. 110 c.p., sicché l’addebito della sola omissione del controllo dovuto configura la fattispecie colposa di cui all'art. 57 c.p., rispetto alla quale la diffamazione rappresenta l’evento dello specifico reato previsto a carico del solo direttore responsabile. Infatti, va ribadito che l’art. 57 c.p. prevede un’autonoma fattispecie di agevolazione colposa, attribuendo rilevanza solo ad una condotta (analogamente alle previsioni incriminatrici di cui agli artt. 254335 e 387 c.p.) non perseguibile in applicazione delle disposizioni sul concorso di persone, giacché l’art. 113 c.p. esclude la configurabilità di una partecipazione a titolo di colpa in un reato doloso» (così Cass. pen., 42309/2016).


Inoltre, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare la non assimilabilità delle figure di direttore responsabile e direttore editoriale. Difatti, il primo è colui che «assume la paternità di quanto pubblicato, ponendosi per l'art. 57 c.p. in posizione di garanzia, siccome tenuto ad esercitare il controllo atto a impedire che, con la pubblicazione, vengano commessi reati» (Cass. pen., 42309/2016). Il direttore editoriale, invece, detta le «linee di impostazione programmatica e politica del quotidiano, in rappresentanza dell'azienda editrice del prodotto giornalistico, poi elaborato e realizzato dal direttore responsabile, senza condividerne, tuttavia, la responsabilità esterna nella logica dell'art. 57 c.p.» (Cass. pen., 42309/2016). A ciò si aggiunga che l’omesso «controllo produttivo di un reato a mezzo stampa, non spiega alcun rilievo il conferimento delle funzioni di controllo al redattore capo delle edizioni decentrate, in quanto il controllo sul giornale, unitariamente considerato, compete, ex art. 57 c.p. e 3 l. n. 47 del 1948, in via esclusiva al direttore responsabile, con la conseguenza che non sussiste alcuna possibilità di delegarlo ad altri soggetti» (Cass. pen., 51111/2014). Da ultimo, e per completezza, il direttore responsabile di un telegiornale «non risponde per l'omesso controllo necessario ad impedire il reato di diffamazione né ai sensi dell'art. 57 c.p., dettato solo per i reati commessi con il mezzo della stampa periodica, né ai sensi dell'art. 30 l. 6 agosto 1990, n. 223, atteso che le norme speciali previste in questa disposizione, in tema di trattamento sanzionatorio e di competenza territoriale per il reato di diffamazione commesso attraverso trasmissioni televisive, si riferiscono a soggetti specificamente indicati - il concessionario privato, la concessionaria pubblica ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione - né possono trovare applicazione analogica» (Cass. pen., 2782/2017).


Facendo applicazione di tali principi il direttore responsabile che «non controlla il contenuto delle lettere dei lettori pubblicate sul suo giornale» risponde di omesso controllo ex art. 57 c.p. (Cass. pen., 11087/2017). Parimenti risponde di omesso controllo il direttore che autorizza la «pubblicazione di una lettera dal contenuto denigratorio, omettendo di controllare se sia stata fatta una verifica non solo sulla fondatezza delle affermazioni in essa contenuta, ma sulla stessa esistenza del mittente e sulla riferibilità allo stesso dello scritto fatto pervenire al periodico» (Cass. pen., 28734/2017). Mentre, nel caso di pubblicazione di scritti anonimi o con uno pseudonimo, il direttore risponde del reato di diffamazione, se «dalle circostanze generali possa dedursi che il direttore abbia fornito un meditato consenso alla pubblicazione del testo e abbia, così, aderito al suo contenuto» (Cass. pen., 52743/2017).


 


2.- Le testate telematiche


La storia dei mezzi di comunicazione di massa, è scandita da una continua evoluzione dei vari tipi di mass-media (giornali, emittenti radiofoniche, emittenti televisive, internet, etc. etc.), evoluzione che procede di pari passo, con un passaggio dalla “scarsità” all’ “abbondanza” dei mezzi stessi. In questo “percorso” dalla scarsità all’abbondanza, sono state individuate tre principali “fratture”, vale a dire, tre eventi specifici che hanno introdotto «mutamenti significativi nella struttura del sistema di comunicazione di massa e nel suo funzionamento», ossia: «1. la commercializzazione del sistema televisivo che ha luogo in tutta Europa, e non solo in Europa, nel decennio 1980-90; 2. l’avvento della digitalizzazione e del satellite che segue a ruota questo periodo, tanto da sovrapporsi, in alcuni paesi, alla commercializzazione; 3. la nascita di internet e delle ICT che caratterizza gli anni a noi più vicini» (P. Mancini, L’evoluzione della comunicazione: vecchi e nuovi media, in http://www.treccani.it/enciclopedia/l-evoluzione-della-comunicazione-vecchi-e-nuovi-media_%28Atlante-Geopolitico%29/). Quest’ultimo, ha rivoluzionato il modo di comunicare e soprattutto ha cambiato il «modo in cui l’informazione viene prodotta, distribuita e utilizzata» e tale cambiamento è tanto più radicale e profondo in quanto afferisce anche al «modo in cui le democrazie liberali e l’economia di mercato si sono evolute insieme per circa due secoli» (G. Pitruzzella, La libertà di informazione nell’era di internet, in http://www.medialaws.eu/wp-content/uploads/2018/01/paper6_pitruzzella-2.pdf). Da un lato, difatti, abbiamo un sistema di produzione dell’informazione decentralizzato, essendo «sufficiente disporre di un computer, di un tablet o di uno smartphone ed essere connessi ad internet per diventare produttori di informazione» (G. Pitruzzella, informazione nell’era di internet, cit.). Dall’altro lato, abbiamo un «numero assai ristretto di tech companies che ha il controllo delle porte di accesso alle informazioni presenti nella rete» e che rivestono il «ruolo di intermediari tra chi produce informazione e chi la riceve» (G. Pitruzzella, informazione nell’era di internet, cit.).


Si ha così un’enorme massa di informazioni, che si autoalimenta attraverso il sistema della loro condivisione tra gli utenti (il c.d. sharing). Condivisione che, in alcuni casi, diventa virale grazie a forme di “contagio emotivo”, facilmente manipolabili per le più disparate finalità. Si pensi al fenomeno delle c.d. fake news e/o dell’hate speech (fenomeni che spesso si compenetrano l’un l’altro): nell’attuale sistema informativo, caratterizzato dalla suaccennata decentralizzazione, le possibilità che delle notizie inventate ad hoc e/o contenenti discorsi d’odio, vengano create e immesse in rete e che – una volta immesse - attraverso forme di condivisione, abbiano una diffusione contagiosa, influenzando l’opinione pubblica e condizionando la vita politica, sociale ed economica, ben lungi dall’essere un rischio meramente ipotetico lavoro è una realtà concreta.


Il “contagio emotivo” – che ha la peculiarità di crescere a valanga – è presente in quelle forme di eccitazioni di massa che plasmano l’opinione pubblica per alimentare sensi di persecuzione, nonché forme irose di suscettibilità ed eccitabilità nei confronti di presunti “nemici”. Anzi vi è una sorta di reciprocità del contagio che, accumulatosi, porta all’accrescimento del movimento emozionale collettivo ed al fatto che la massa agente viene facilmente sospinta oltre le intenzioni dei singoli a fare cose che nessuno vuole e di cui nessuno si sente responsabile e che fa scaturire scopi e/o conseguenze che vanno oltre le intenzioni di tutti i singoli.


Tutte le volte in cui, con tali nuovi mezzi di comunicazione e di massa, vengono commessi reati di lesione dell’onore, della reputazione, dell’immagine, della privacy altrui, si pongono tutta una serie di quesiti in ordine all’individuazione ed alla punizione dei responsabili, alle quali la giurisprudenza, in assenza di un intervento legislativo, sta cercando di trovare delle risposte che siano coerenti con il sistema di tutele costituzionali del nostro Paese.


 


3.- Sull’applicabilità della L. 47/1948 alle testate telematiche: riflessioni e conseguenze.


L’art. 2 della L. 47/48, prevede che ogni stampato - che ai sensi dell’art. 1 della medesima legge è ogni tipo di riproduzione tipografica o comunque ottenuta con mezzi meccanici o fisico-chimici e destinata alla pubblicazione - debba obbligatoriamente indicare il luogo e l’anno della pubblicazione, nonché il nome e il domicilio dello stampatore, dell’editore, del proprietario e del direttore responsabile. L’art. 5 inoltre prevede che l’obbligo di registrazione «presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi» e ciò al fine di consentire – in sede civile, penale ed amministrativa – l’individuazione dei soggetti responsabili: si tratta dunque di una forma di pubblicità, diretta alla tutela dei terzi. La pubblicazione di un giornale od altro periodico, «senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta dall'art. 5 cit., costituisce peraltro illecito penale punito ai sensi della citata L. n. 47 del 1948, art. 16» (Cons. Stato, 4665/2013).


Inoltre, al fine di assicurare la trasparenza del sistema editoriale, la L. 05.08.1981, n. 416 (che contiene la disciplina delle imprese editrici e delle provvidenze per l’editoria) ha istituito il registro nazionale della stampa (RNS, attualmente ROC) per la registrazione degli editori di quotidiani, periodici o riviste, agenzie di stampa e imprese concessionarie di pubblicità sui quotidiani e periodici. Si tratta, tuttavia, di un registro destinato non alle testate giornalistiche, ma ai soggetti economici del settore dell’informazione e che «è sottratto a scelte o valutazioni discrezionali dei competenti organi del servizio dell'editoria (cui è affidata la tenuta del registro)» (TAR. Lazio, 687/1987). Successivamente, la L. 62/2001 ha introdotto l’iscrizione nel registro tenuto presso i tribunali ex art. 5, L. 47/1948, anche per i prodotti editoriali telematici dotati di testata, periodicità e finalità informativa.


A seguito dell’introduzione di tale ultima normativa, l’orientamento prevalente riteneva che:



  • il giornale telematico non ottemperasse alle «due condizioni ritenute essenziali ai fini della sussistenza del prodotto stampa come definito dalla L. n. 47 del 1948, art. 1 ed ossia: a) un'attività di riproduzione tipografica; b) la destinazione alla pubblicazione del risultato di tale attività» (Cass. pen., 23230/2012);



  • la normativa di cui alla L. 62/2001 avesse «introdotto la registrazione dei giornali on-line soltanto per ragioni amministrative ed esclusivamente ai fini della possibilità di usufruire delle provvidenze economiche previste per l'editoria» (Cass. pen., 23230/2012). Con la precisazione che tale ultima disciplina era stata ribadita anche dalla «successiva normativa di cui al D.Lgs., 70/2003, che esplicitamente ha prescritto, con la disposizione di cui all'art. 7, comma 3, che la registrazione della testata editoriale telematica è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i prestatori di servizio intendono avvalersi delle provvidenze previste dalla L. 62/2001» (Cass. pen., 23230/2012).


 


 


In proposito, la Suprema Corte aveva precisato che per poter rientrare nella nozione di stampa in senso giuridico (ai sensi del ricordato art.1, L. 47/1948) occorrono due condizioni: «a) che vi sia una riproduzione tipografica (prius), b) che il prodotto di tale attività (quella tipografica) sia destinato alla pubblicazione e, quindi, debba essere effettivamente distribuito tra il pubblico (posterius)». Peraltro, il «fatto che il messaggio internet (e, dunque, anche la pagina del giornale telematico) si possa stampare non appare circostanza determinante, in ragione della mera eventualità, sia oggettiva, che soggettiva. Sotto il primo aspetto, si osserva che non tutti i messaggi trasmessi via internet sono “stampabili”: si pensi ai video, magari corredati di audio; sotto il secondo, basta riflettere sulla circostanza che, in realtà, è il destinatario colui che, selettivamente ed eventualmente, decide di riprodurre a stampa la “schermata”» (Cass. pen., 35211/2010).


Seguendo questa linea interpretativa, è stata anche esclusa l’estensibilità all’informazione telematica della legge che disciplina il sistema radiotelevisivo (L. 223/1990 e successive modifiche), sul presupposto che la nozione legislativa di «trasmissione» non possa comprendere servizi di comunicazione che operano su richiesta individuale, con la conseguenza che si potrebbe ammettere l’assoggettabilità al «regime della L. 223/1990 solo quelle trasmissioni radiofoniche o televisive che vengono diffuse attraverso una rete telematica con modalità analoghe e quelle della diffusione via etere e cioè con una programmazione continua determinata dall’emittente e non alterabile dal ricevente nel suo contenuto e nella sua disposizione cronologica» (V. Zeno-Zencovich, La pretesa estensione alla telematica del regime della stampa: note critiche).


Fermo restando, in ogni caso, che la diffusione di messaggi lesivi dell’onore e della reputazione altrui, veicolati a mezzo internet (dai social network, ai forum, ai blog, ai siti, etc. etc.), «integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595 c.p., comma 3, in quanto trattasi di condotta potenzialmente in grado di raggiungere un numero indeterminato o, comunque, quantitativamente apprezzabile di persone, qualunque sia la modalità informatica di condivisione e di trasmissione» (Cass. pen., 8482/2017).


Successivamente, tuttavia, sono intervenute due pronunzie delle Sezioni Unite (penali, prima, e civili, poi) che hanno ricompreso nella nozione di stampa anche i giornali telematici caratterizzati: «da una testata, dalla diffusione regolare, dall’organizzazione in una struttura con un direttore responsabile, che sia giornalista professionista o pubblicista, una redazione ed un editore registrato presso il registro degli operatori della comunicazione, dalla finalizzazione all’attività professionale di informazione diretta al pubblico, per tale intendendosi quella di raccolta e commento di notizie di attualità e di informazioni da parte di soggetti professionalmente qualificati» (SS.UU, civ., 23469/2016).


Parallelamente è stato chiarito che i forum on-line «non possono qualificarsi come un prodotto editoriale, o come un giornale “on-line”, o come una testata giornalistica informatica», trattandosi di una semplice area di discussione non soggetta alle regole e agli obblighi cui è soggetta la stampa (ad es. indicare un direttore responsabile; registrare la testata, giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che la Costituzione riserva solo alla stampa)» (Cass. pen., 10535/2008).


Da tale impostazione la giurisprudenza si è orientata nel ritenere:



  • legittimo, il «sequestro preventivo di un sito, qualificato blog anche dal suo gestore, che sia stato utilizzato per commettere il reato di diffamazione e manchi degli elementi necessari ad individuare una testata giornalistica telematica (nella specie, era stata dal giudice di merito valorizzata l’assenza del carattere della periodicità regolare delle pubblicazioni, della testata e della registrazione), non rilevando, in senso contrario, la natura dell’attività informativa svolta dal sito medesimo, né la circostanza che il gestore fosse iscritto all’ordine dei giornalisti» (Cass. pen., 12536/2016);



  • illegittimo, il sequestro preventivo di una testata telematica, trattandosi di un «prodotto editoriale sottoposto alla normativa di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l’attività di informazione professionale diretta al pubblico» (SS.UU, pen., 31022/2015). Vi è, invece, contrasto per quanto riguarda l’applicabilità anche alle testate telematiche dell’art. 57 c.p., in tema di responsabilità del direttore responsabile per omesso controllo. Difatti, prima delle pronunzie delle Sezioni Unite, dall’impossibilità di ricondurre l’informazione on-line alla nozione di stampa, quanto meno sotto il profilo dell’interpretazione analogica in malam partem, discendeva l’inapplicabilità dell’art. 13, L. 47/1948, che punisce la diffamazione a mezzo stampa, e degli artt. 57 (responsabilità del direttore responsabile), 57-bis (responsabilità dell’editore), 58 (responsabilità dello stampatore) c.p.


 



  •  


La sentenza della Corte di Cassazione che qui si pubblica, invece, per la prima volta esprime un orientamento in senso contrario, laddove statuisce che dalla «riconducibilità della testata giornalistica telematica alla nozione di “stampa” consegue la sottoposizione di tale particolare forma di “giornale” alla relativa disciplina di rango costituzionale e di livello ordinario». Ne segue, da un lato, l’estensione (come si è visto pacifica) delle «garanzie costituzionali a tutela della stampa e della libera manifestazione del pensiero previste dall'art. 21 Cost.», dall’altro lato, l’estensione anche delle «disposizioni volte ad impedire che con il mezzo della stampa si commettano reati, tra le quali particolare rilievo assume il disposto del citato art. 57 c.p., che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, estende la sua portata anche ai casi di pubblicazione di un articolo non firmato, da ritenersi, in assenza di diversa allegazione, di produzione redazionale, dunque, riconducibile al direttore responsabile» (Cass. pen., 7885/2017).


Sempre secondo la sentenza che qui si annota, risulterebbe, pertanto, «superato il contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità, che escludeva la responsabilità del direttore di un periodico on line per il reato di omesso controllo, ex art. 57, c.p., principalmente per l'impossibilità di ricomprendere detta attività on line nel concetto di stampa periodica, nonché per l'impossibilità per il direttore della testata on line di impedire le pubblicazioni di contenuti diffamatori “postati” direttamente dall'utenza». In realtà solo un mese prima, sempre la medesima Corte, aveva statuito – sia pure con una motivazione più tranchant e meno articolata di quella qui in commento - l’esatto opposto, ossia che «il direttore di un periodico on-line non può essere ritenuto responsabile per l'omesso controllo sul contenuto delle pubblicazioni ai sensi dell'art. 57 c.p.» (Cass. pen., 7885/2017).


La sentenza in commento, inoltre, ha ritenuto l’impossibilità di invocare, come causa di esclusione della responsabilità ex art. 57 c.p., la circostanza che l'articolo contenente le espressioni diffamatorie fosse stato “postato” nella testata on-line in forma anonima. Secondo la Corte, difatti, quando, un «articolo, lungi dall'essere un commento ab externo di un lettore, si presenti come contenuto redazionale, sia pure non firmato dal suo autore, all'interno della pubblicazione telematica», tale modalità di inserimento «lascia presumere, la possibilità da parte del direttore responsabile di operare un controllo preventivo sul contenuto del giornale, che, altrimenti, ove non operasse alcun filtro, sarebbe esposto alla indiscriminata pubblicazione di ogni sorta di articolo diffamatorio, diventando un efficace strumento per la consumazione di reati a mezzo stampa». Accertata, inoltre, la permanenza on-line dell’articolo, per un certo lasso di tempo (oltre un anno), la Corte ha ritenuto che anche laddove si «addivenisse, attraverso un'indagine tipica del giudizio di merito, ad accertare che da parte del direttore responsabile non vi era la possibilità di controllare preventivamente il contenuto dell'articolo in questione, predisponendo gli opportuni accorgimenti tecnico-organizzativi, ove praticabili, che gli consentissero di venire a conoscenza in anticipo dei contenuti degli articoli “postati” in forma anonima, ciò non sarebbe, comunque, sufficiente ad escludere la responsabilità del predetto, in relazione alla permanenza dell'articolo incriminato, che egli avrebbe potuto (e dovuto) rimuovere».


Al riguardo, si noti che recentemente la Corte di Cassazione, sempre sezione penale, in un caso ancora una volta riguardante la responsabilità di un direttore di un periodico on-line, ha statuito che questi risponde del «reato di diffamazione - e non di quello meno grave di omesso controllo previsto dall'art. 57 c.p. - per la pubblicazione di un articolo lesivo dell'onore e della reputazione altrui, l'identità del cui autore è rimasta celata dietro lo pseudonimo utilizzato per firmarlo, qualora da un complesso di circostanze esteriorizzate nella pubblicazione del testo (come la forma, l'evidenza, la collocazione tipografica, i titoli, le illustrazioni e la correlazione dello scritto con il contesto culturale che impegna e caratterizza l'edizione su cui compare l'articolo) possa dedursi il suo meditato consenso alla pubblicazione dell'articolo medesimo nella consapevole adesione al suo contenuto, tanto da far ritenere per l'appunto che la suddetta pubblicazione rappresenti il frutto di una scelta redazionale» (Cass. pen., 52743/2017). Secondo la sentenza in commento, invece, la «responsabilità, che può atteggiarsi, indifferentemente, a titolo di colpa, ex art. 57 c.p., o di concorso ex art. 110 c.p., nel reato di diffamazione, quando vi sia la prova del consenso e della adesione del direttore al contenuto dello scritto diffamatorio, senza che si possa sostenere, nel primo caso, il verificarsi di un'indebita modifica della fattispecie normativa di cui all'art. 57 c.p., attraverso la sottoposizione a sanzione di una condotta diversa da quella tipizzata dal legislatore».


La Corte continua osservando che la «costruzione della responsabilità prevista dall’art. 57 c.p., in termini di colpa, va, invero, rapportata allo scopo dichiarato dalla norma: evitare che con il mezzo della pubblicazione siano compromessi i beni ritenuti meritevoli di tutela dal legislatore penale. Sicché, tenuto conto che la lesione del bene giuridico protetto, nel caso della pubblicazione di un articolo dal contenuto diffamatorio sul “web”, non si esaurisce nell'atto della pubblicazione, cioè della materiale inserzione e della diffusione dell'articolo nella realtà telematica, ma continua per tutto il tempo di permanenza dello scritto nel mondo della “rete”, dove è liberamente consultabile, da un numero potenzialmente illimitato di lettori». Ne discende, che la valutazione del comportamento del direttore responsabile (o del vicedirettore) deve svolgersi con «riferimento sia al momento dell'inserzione dell'articolo nella testata giornalistica telematica, sia al momento successivo della permanenza dello scritto nella testata accessibile on-line, allo scopo di accertare se, in relazione ad entrambi i momenti», gli sia in concreto rimproverabile la «mancata osservanza di regole di condotta, che, ove rispettate, avrebbero impedito la lesione del bene giuridico protetto dalle norme penali». Convincimento, questo, rafforzato dalla circostanza che, nel caso in esame, l’imputato non era solo il direttore responsabile della testata, ma era «anche “amministratore” del sito elettronico, dove veniva pubblicato il giornale». In tale qualità, dunque, «gravava su di lui l'obbligo di provvedere all'eliminazione dell'articolo diffamatorio sul sito, una volta che ne fosse venuto a conoscenza» (in proposito la sentenza in commento si richiama agli insegnamenti di Cass. pen., 54946/2016).


Da ultimo per completezza, si segnala che anche la giurisprudenza di merito si sta allineando con la nuova interpretazione evolutiva espressa dalle Sezioni Unite, laddove con riferimento alle testate on-line:



  • ha ritenuto ammissibili tutti quei rimedi cautelari atipici i quali, pur «senza giungere ad un risultato pratico equivalente al sequestro e, dunque, senza limitare la formazione dell’opinione pubblica, consentano di informare il fruitore di notizie on-line dell’esistenza di “voci contrarie”, della “verità soggettiva” del soggetto oggetto della notizia, del potenziale aggiornamento delle informazioni (ad esempio in ragione di sviluppi di indagine o di successive rivelazioni da parte di altre fonti) o, ancora, dell’esistenza di un procedimento giurisdizionale volto all’accertamento della veridicità – anche solo putativa – delle informazioni contenute nell’articolo» (Trib. Milano (ord.), 25 gennaio 2018);



  • ha affermato l’applicabilità dell’art. 8 L n. 47/1948: «sebbene la norma faccia espresso riferimento alle sole pubblicazioni cartacee. Il citato art. 8, infatti, dev’essere oggetto di un’interpretazione analogica, in grado di consentire alla norma di rispondere alle esigenze di tutela portate dall’evoluzione tecnologica. Al riguardo, giova richiamare Cass. penale, Sezioni Unite, 29 gennaio 2015, n. 31022, così massimata: “la testata giornalistica telematica, in quanto assimilabile funzionalmente a quella tradizionale, rientra nel concetto ampio di “stampa” e soggiace alla normativa, di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l'attività d'informazione professionale diretta al pubblico”. Ne consegue che l’art. 8 Legge n. 47/1948, pur se riferito alla stampa cartacea, deve ritenersi applicabile anche agli articoli pubblicati da una testata on-line» (T. Torino (ord.), 6 aprile 2018).


 


 


TESTO DELA SENTENZA. CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza, 11-12-2017, n. 13398 (data deposito 22-03-2018)


Fatto e diritto. — 1. - Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte d'appello di Campobasso, in riforma della sentenza con cui il Tribunale di Campobasso, in data 10 febbraio 2014, aveva condannato Dell'Olmo Nicola alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, in relazione al delitto di cui all'art. 595, 1°, 2° e 3° comma, c.p., in rubrica ascrittogli, per aver redatto e pubblicato sul giornale telematico «Prima Parigine [sic] Molise.it» un articolo dal titolo «Il Vizio di Vinicio», con il quale, secondo l'assunto accusatorio, si offendeva, anche con l'attribuzione di fatti determinati, l'onore e la reputazione di Vinicio D'Ambrosio, assolveva il suddetto imputato con la formula «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato», revocando le statuizioni civili, disposte dal giudice di primo grado in favore della costituita parte civile.



  1. - Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, di Campobasso ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, agli effetti civili, Vinicio D'Ambrosio, lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la corte territoriale ha errato nell'affermare la mancata dimostrazione della consapevolezza, da parte dell'imputato, della pubblicazione dell'articolo incriminato, laddove, invece, correttamente il giudice di primo grado aveva affermato la riconducibilità dell'articolo in questione al Dell'Olmo, essendo quest'ultimo il responsabile della testata, oltre che amministratore del sito elettronico dove veniva pubblicato il giornale (qualifica, quest'ultima, riconosciuta dal tribunale, con motivazione non disattesa dalla corte d'appello), alla luce della lunga permanenza in rete dell'articolo incriminato, che costituisce inequivocabile prova di quanto l'imputato fosse consapevole dell'esistenza, nella sua duplice veste, dell'avvenuta pubblicazione e della permanenza nel sito del suddetto articolo, chiunque ne sia stato l'autore; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la corte di appello, dopo aver proceduto, ex art. 130 c.p.p., alla correzione di errore materiale del capo di imputazione, aggiungendovi la contestazione di cui all'art. 57 c.p., ha erroneamente affermato, ponendola a base della sentenza di assoluzione, l'inapplicabilità al caso di specie del dettato di cui alla menzionata disposizione normativa, sulla base dell'argomentazione per cui «le pubblicazioni divulgate mediante la rete informatica difettino dei requisiti tipici della riproduzione tipografica (...), conseguendone che la diffusione in rete di articoli di detta natura vada assimilata alla diffusione di trasmissioni in materia radiotelevisiva», laddove, al contrario, tale assunto risulta smentito sulla scorta del principio di diritto affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione (con la sentenza 29 gennaio 2015, F., Foro it., 2016, II, 52), che hanno ricondotto la testata giornalistica telematica alla nozione di «stampa»; 3) omessa motivazione, con riferimento all'ultimo capo della sentenza impugnata, riguardante la parte in cui viene affermato che nell'articolo contestato non si ravvisa una violazione dei principî di verità, continenza e pertinenza, in quanto le informazioni divulgate apparirebbero conformi ai fatti realmente accaduti e le espressioni utilizzate non sembrano travalicare i limiti del corretto esercizio del diritto di critica.

  2. - Il ricorso è fondato e va accolto.

  3. - Ed invero non può non rilevarsi l'errore di diritto in cui è incorsa la corte territoriale nel fondare la sua decisione di escludere la responsabilità penale dell'imputato per il delitto ex art. 595 c.p., sul presupposto che, trattandosi pacificamente di articolo apparso in forma anonima sulla pubblicazione telematica di cui si discute, in assenza di elementi che consentano di attribuirne personalmente al Dell'Olmo la materiale redazione, non è applicabile, nei confronti di quest'ultimo, in quanto direttore responsabile della testata on line, il disposto dell'art. 57, c.p., che, come è noto, configura la responsabilità a titolo di colpa del direttore o del vicedirettore responsabile del periodico, che ometta di esercitare il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, nel caso in cui un reato sia commesso.


Come affermato, infatti, dalla Suprema corte, nella sua espressione più autorevole, la testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di «stampa» di cui all'art. 1 l. 8 febbraio 1948 n. 47, in quanto si tratta di prodotto editoriale sottoposto alla normativa di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l'attività di informazione professionale diretta al pubblico.


Il giornale telematico, dunque, «sia se riproduzione di quello cartaceo, sia se unica e autonoma fonte di informazione professionale, soggiace alla normativa sulla stampa, perché ontologicamente e funzionalmente è assimilabile alla pubblicazione cartacea. È, infatti, un prodotto editoriale, con una propria testata identificativa, diffuso con regolarità in rete; ha la finalità di raccogliere, commentare e criticare notizie di attualità dirette al pubblico; ha un direttore responsabile, iscritto all'albo dei giornalisti; è registrato presso il tribunale del luogo in cui ha sede la redazione; ha un hosting provider, che funge da stampatore, e un editore registrato presso il Roc» (cfr. Cass., sez. un., 29 gennaio 2015, F., cit.), circostanze riscontrate nel caso in esame.


Dalla riconducibilità della testata giornalistica telematica alla nozione di «stampa» consegue la sottoposizione di tale particolare forma di «giornale» alla relativa disciplina di rango costituzionale e di livello ordinario.


Ad essa, pertanto, si estendono non solo le garanzie costituzionali a tutela della stampa e della libera manifestazione del pensiero previste dall'art. 21 Cost., ma anche le disposizioni volte ad impedire che con il mezzo della stampa si commettano reati, tra le quali particolare rilievo assume il disposto del citato art. 57 c.p., che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, estende la sua portata anche ai casi di pubblicazione di un articolo non firmato, da ritenersi, in assenza di diversa allegazione, di produzione redazionale, dunque, riconducibile al direttore responsabile (cfr. Cass. 10 ottobre 2008, Monaco, id., Rep. 2009, voce Ingiuria, n. 34; 22 febbraio 2012, C., id., Rep. 2012, voce cit., n. 37).


Risulta, pertanto, superato il contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità, che escludeva la responsabilità del direttore di un periodico on line per il reato di omesso controllo, ex art. 57, c.p., principalmente per l'impossibilità di ricomprendere detta attività on line nel concetto di stampa periodica, nonché per l'impossibilità per il direttore della testata on line di impedire le pubblicazioni di contenuti diffamatori «postati» direttamente dall'utenza (cfr., ex plurimis, Cass. 5 novembre 2013, M., id., Rep. 2015, voce Stampa ed editoria, n. 13).


Tale ultimo profilo viene specificamente affrontato nella sentenza di questa sezione richiamata dalla corte territoriale (Cass. 28 ottobre 2011, Hamaui, id., 2012, II, 1), in cui, partendo dalla constatazione che nel caso di pubblicazione in Internet la trasmissione avviene telematicamente tramite un «Internet provider, sfruttando la rete telefonica, fissa o cellulare», si è affermato che per le pubblicazioni a mezzo della rete informatica «postate» direttamente dall'utenza, sussiste «l'impossibilità per il direttore della testata di impedire la pubblicazione di commenti diffamatori, il che rende evidente che la norma contenuta nell'art. 57 c.p. non è stata pensata per queste situazioni, perché costringerebbe il direttore ad un'attività impossibile, ovvero lo punirebbe automaticamente ed oggettivamente, senza dargli la possibilità di tenere una condotta lecita». Il tema, peraltro, viene affrontato, sia pure per incidens, nella richiamata sentenza delle sezioni unite, in cui si specifica che «le garanzie e le responsabilità previste, per la stampa, dalle disposizioni sia di rango costituzionale, sia di livello ordinario, devono essere riferite ai soli contenuti redazionali e non anche ad eventuali commenti inseriti dagli utenti (soggetti estranei alla redazione), che attivano un forum, vale a dire una discussione su uno o più articoli pubblicati».


Orbene ritiene il collegio che non possa essere invocata come causa di esclusione della responsabilità ex art. 57 c.p., del direttore responsabile di una testata giornalistica on line la circostanza che l'articolo contenente espressioni diffamatorie sia stato «postato» in forma anonima, quando, come nel caso in esame, l'articolo, lungi dall'essere un commento ab externo di un lettore, si presenti come contenuto redazionale, sia pure inserito non firmato dal suo autore, all'interno della pubblicazione telematica, come si evince dalla documentazione allegata al ricorso.


Tale modalità di inserimento nel corpo della testata lascia presumere, infatti, la possibilità da parte del direttore responsabile di operare un controllo preventivo sul contenuto del giornale, che, altrimenti, ove non operasse alcun filtro, sarebbe esposto alla indiscriminata pubblicazione di ogni sorta di articolo diffamatorio, diventando un efficace strumento per la consumazione di reati a mezzo stampa.


Va, inoltre, rilevato che, nel caso in esame, risulta dimostrata la permanenza dell'articolo nel sito del giornale e, dunque, la possibilità di fruirne da parte di un numero potenzialmente illimitato di lettori-utenti della «rete», per un lungo periodo di tempo (oltre un anno), a far data dalla pubblicazione avvenuta il 16 febbraio 2011.


Sicché, ove anche si addivenisse, attraverso un'indagine tipica del giudizio di merito, ad accertare che da parte del direttore responsabile non vi era la possibilità di controllare preventivamente il contenuto dell'articolo in questione, predisponendo gli opportuni accorgimenti tecnico-organizzativi, ove praticabili, che gli consentissero di venire a conoscenza in anticipo dei contenuti degli articoli «postati» in forma anonima, ciò non sarebbe, comunque, sufficiente ad escludere la responsabilità del predetto, in relazione alla permanenza dell'articolo incriminato, che egli avrebbe potuto (e dovuto) rimuovere.


Responsabilità, che può atteggiarsi, indifferentemente, a titolo di colpa, ex art. 57 c.p., o di concorso ex art. 110 c.p., nel reato di diffamazione, quando vi sia la prova del consenso e della adesione del direttore al contenuto dello scritto diffamatorio (cfr. Cass. 28 settembre 2017, n. 52743, A., id., Le banche dati, archivio Cassazione penale), senza che si possa sostenere, nel primo caso, il verificarsi di un'indebita modifica della fattispecie normativa di cui all'art. 57 c.p., attraverso la sottoposizione a sanzione di una condotta diversa da quella tipizzata dal legislatore.


La costruzione della responsabilità prevista dall'art. 57 c.p., in termini di colpa, va, invero, rapportata allo scopo dichiarato dalla norma: evitare che con il mezzo della pubblicazione siano compromessi i beni ritenuti meritevoli di tutela dal legislatore penale.


Sicché, tenuto conto che la lesione del bene giuridico protetto, nel caso della pubblicazione di un articolo dal contenuto diffamatorio sul «Web», non si esaurisce nell'atto della pubblicazione, cioè della materiale inserzione e della diffusione dell'articolo nella realtà telematica, ma continua per tutto il tempo di permanenza dello scritto nel mondo della «rete», dove è liberamente consultabile, come si diceva, da un numero potenzialmente illimitato di lettori, la valutazione del comportamento del direttore responsabile (o del vicedirettore) va effettuata con riferimento sia al momento dell'inserzione dell'articolo nella testata giornalistica telematica, sia al momento successivo della permanenza dello scritto nella testata accessibile on line, allo scopo di accertare se, in relazione ad entrambi i momenti, sia in concreto rimproverabile all'imputato la mancata osservanza di regole di condotta, che, ove rispettate, avrebbero impedito la lesione del bene giuridico protetto dalle norme penali.


Né va taciuto che la corte territoriale ha omesso di considerare un altro rilevante aspetto, rappresentato dalla circostanza, accertata nel dibattimento di primo grado, che il Dell'Olmo oltre ad essere direttore responsabile della testata telematica in parola, era anche «amministratore» del sito elettronico, dove veniva pubblicato il giornale.


In tale qualità gravava su di lui l'obbligo di provvedere all'eliminazione dell'articolo diffamatorio sul sito, una volta che ne fosse venuto a conoscenza (cfr. Cass. 14 luglio 2016, Maffeis, id., 2017, II, 251).


Merita censura, infine, per la sua estrema genericità, che configura una vera e propria motivazione apparente, la parte finale del percorso argomentativo seguìto dal giudice di secondo grado, in cui si sostiene apoditticamente, con affermazioni di puro genere (cfr. Cass. 14 luglio 2014, V., id., Rep. 2015, voce Sentenza penale, n. 24), l'esistenza, nel caso in esame, di un «diritto di critica o di cronaca», che verrebbe a scriminare la condotta del reo.



  1. - Sulla base delle svolte considerazioni, la sentenza impugnata va, dunque, annullata, con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello.





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