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UNA PROPOSTA AL MINISTRO. - Intercettazioni, nessun segreto se c’è il diritto di cronaca- La legge sulla divulgazione delle conversazioni dovrebbe tenere conto che il giornalista può scegliere cosa pubblicare. È il giudice che deve valutarne la correttezza se la persona coinvolta lo chiede


di Caterina Malavenda*
corsera.it-30.9.2015

Caro direttore, la Camera ha approvato la legge che delega il governo, fra l’altro, a riscrivere le norme sulla divulgazione delle intercettazioni «avendo speciale riguardo alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale», legge che passa ora all’esame del Senato.I più hanno paventato si tratti di un bavaglio per l’informazione, in misura minore hanno plaudito alla stretta sulla «libertà di sputtanamento», un modo elegante per indicare la pubblicazione di conversazioni a volte davvero irrilevanti.


E c’è stato chi ha evidenziato, con competenza e una certa fondatezza, possibili profili di incostituzionalità. Il governo non ha replicato nel merito, consapevole com’è che, fra qualche giorno, l’attenzione di gufi e detrattori, ma anche quella di simpatizzanti ed estimatori, verrà calamitata da altri provvedimenti, che alimenteranno nuove polemiche.


E, tuttavia, al ministro Orlando, giurista e persona perbene, è scappato un commento che lascia intendere più di quanto probabilmente non volesse: «Non vogliamo mettere il bavaglio, piuttosto vogliamo chiudere il buco della serratura. Dal buco della serratura bisogna guardare solo quanto è funzionale all’interesse collettivo». E se il buco della serratura è quello che restituisce il «materiale intercettativo» — brutta espressione per indicare l’insieme delle «comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione», prima di qualsiasi scrematura — basta intendersi sul concetto di interesse collettivo, appagato solo quando circolano liberamente informazioni di rilievo pubblico, quale che sia la loro provenienza, come Strasburgo ci insegna.


Un principio, quello ricordato dal ministro, già recepito nella legge sulla privacy, che tutela, in via generale, la riservatezza dei dati personali, fra i quali rientrano anche quelli desumibili dalle conversazioni intercettate, il che pone qualche dubbio sulla effettiva necessità di legiferare ancora sul tema. Si tratta di dati liberamente utilizzabili dai giornalisti, solo se sono essenziali per l’informazione, cioè appunto, come il ministro ha sottolineato, se sono funzionali all’interesse collettivo, così come possono essere diffuse, secondo l’ultima modifica, introdotta nella stessa legge, le intercettazioni fra presenti, nell’ambito del diritto di cronaca.


Che i divieti alla circolazione di notizie possano esser derogati, in presenza di un interesse pubblico è, dunque, pacifico. Anche perché, quale che sia la sanzione, è impossibile, oltre che non previsto dal codice, impedire la circolazione dei contenuti delle intercettazioni, una volta venuti a conoscenza delle parti, in fase di selezione e, quindi, non più segreti; mentre sarebbe incostituzionale inibire la diffusione di quelle che appaiano di manifesto interesse pubblico, al di là della loro rilevanza penale, sanzionando chi esercita quello stesso diritto di cronaca.


E allora, caro direttore, mi perdoni se, avendo una discreta esperienza in materia, pur scrivendo a lei, ne approfitto per rivolgermi direttamente al ministro, per quel che ha detto e per quel che potrà fare.


Un suggerimento, non un lodo, per carità: invece di impelagarsi in lavori di una commissione creata ad hoc, estenuanti e probabilmente inutili, perché il governo non introduce un solo articolo che punisca severamente chi diffonde intercettazioni che coinvolgono terzi, estranei alle indagini o penalmente irrilevanti, a meno che ciò non avvenga nell’esercizio del diritto di cronaca, trattandosi di conversazioni essenziali per l’informazione?


La selezione rimarrebbe di competenza del giornalista — cui occorre pur dare la necessaria fiducia, oltre che cento codici deontologici — e la valutazione della correttezza della sua scelta sarebbe del giudice, cui l’interessato potrà rivolgersi se non la condivide. In fondo, non è così che si fa in uno Stato di diritto?


*Avvocato esperta in diritto dell’informazione


- TESTO IN http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_30/intercettazioni-nessun-segreto-se-c-diritto-cronaca-2c949e94-673b-11e5-9bc4-2d55534839fc.shtml


 


 


 


 





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