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  I fatti della vita
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Perché appaiono ingiuste le critiche alla storica sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale che ha sbloccato dopo anni la perequazione sulle pensioni da medio basse in su.‏ A chi apre la bocca senza conoscere bene i fatti si consiglia un'attenta rilettura in particolare di tre sentenze della Corte stessa: la n. 30 del 23 gennaio 2004 (Presidente Riccardo Chieppa, relatore Ugo De Siervo), la n. 316 dell'11 novembre 2010 (Presidente Francesco Amirante, relatore Luigi Mazzella) e la n. 116 del 5 giugno 2013 (Presidente Franco Gallo, relatore Giuseppe Tesauro), che dimostrano l'assoluta coerenza, correttezza ed equità dei giudici della Consulta, nonché il loro equilibrio e buon senso. In conclusione, le sentenze della Consulta, in base all'art. 136, 1° comma, della Costituzione vanno applicate senza se e senza ma, cioé senza fantasiose e infondate ipotesi (di leggi retroattive) che provocherebbero solo una valanga di ricorsi in tutti i tribunali.


Nota di PIERLUIGI ROESLER FRANZ, consigliere nazionale dell'Ordine dei Giornalisti.

4.5.2015 - Ai politici e ai "tecnici" o "supertecnici" smemorati che criticano la "storica" sentenza n. 70/2015 della Corte Costituzionale (Presidente Alessandro Criscuolo, relatrice Silvana Sciarra) che ha finalmente sbloccato dopo anni la perequazione sulle pensioni da medio basse in su, cioé di importo superiore a euro 1.217,00 netti al mese, vorrei ricordare che la Consulta ha semplicemente posto riparo ad una grave e discriminatoria ingiustizia, cioé il mancato adeguamento dei vitalizi al costo della vita e, applicando alla lettera la Costituzione, ha ripristinato lo stato di legalità dopo che vari Governi e Parlamenti in diversa composizione si sono reiteratamente infischiati degli "ultimatum - o, più elegantemente, dei "moniti" - dell'Alta Corte a partire dal 2004 in poi.Era quindi un verdetto largamente prevedibile che non può e non deve suscitare alcuno scandalo, almeno fino a quando resterà in vigore l'attuale Carta repubblicana.


A chi apre la bocca e gli dà fiato senza conoscere bene i fatti consiglierei un'attenta rilettura in particolare di 3 sentenze: la n. 30 del 23 gennaio 2004 (Presidente Riccardo Chieppa, relatore Ugo De Siervo), la n. 316 dell'11 novembre 2010 (Presidente Francesco Amirante, relatore Luigi Mazzella) e la n. 116 del 5 giugno 2013 (Presidente Franco Gallo, relatore Giuseppe Tesauro), che dimostrano l'assoluta coerenza, correttezza ed equità dei giudici della Consulta, nonché il loro equilibrio e buon senso.


Lo Stato, che aveva già bloccato la perequazione delle pensioni per il 1998 e il 2008 ed ha poi reiterato la mancata rivalutazione monetaria di milioni di vitalizi anche per il 2012, 2013 e 2014, ha, invece, scelto la strada senza uscita di infischiarsene dei moniti della Consulta e di "rapinare" di fatto milioni di cittadini.


E' notorio, infatti, che la pensione ha la funzione di "retribuzione differita" e, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato. In sostanza il danno del blocco della perequazione é irreparabile ed ha effetti negativi permanenti sulle pensioni.


Questi i principi affermati nei 3 precedenti verdetti della Consulta, che, come é noto, parla attraverso le sue sentenze:


1)sentenza n. 30 del 2004, meglio spiegata nel mio articolo allegato in calce e riportato su http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=107: "il verificarsi di irragionevoli scostamenti dell'entità dei trattamenti di quiescenza rispetto alle effettive variazioni del potere di acquisto della moneta, sarebbe indicativo dell'inidoneità del meccanismo in concreto prescelto ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti sanciti dagli artt. 36 e 38 della Costituzione".


2) sentenza n. 316 del 2010: "la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità, perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta”.


3) sentenza n. 116 del 2013: "il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con più evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro". Pertanto si determina un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarietà del diverso trattamento riservato alla categoria colpita, «foriero peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando diversamente un “universale” intervento impositivo». Se da un lato l’eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è suscettibile di consentire il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini necessitano, dall’altro ciò non può e non deve determinare ancora una volta un’obliterazione dei fondamentali canoni di uguaglianza, sui quali si fonda l’ordinamento costituzionale".


L'unico argomento che viene sbandierato oggi da politici, "tecnici" o "supertecnici" per cercare pervicacemente di contestare la decisione dell'Alta Corte é che lo Stato dovrebbe rimborsare tra i 5 e i 10 miliardi di euro, cioé un costo troppo alto cui far fronte. Ma, guarda caso, ci si dimentica di ricordare che:


1) davanti alla Consulta la Presidenza del Consiglio, rappresentata dall'Avvocatura dello Stato, ha quantificato in 4 miliardi 800 milioni di euro l'esborso per la Stato in caso di sentenza di incostituzionalità. E ciò in base a stime precise del Ministero dell'Economia. Come si fa allora a parlare di cifre comprese fra i 5 e i 10 miliardi di euro? Non si indicano forse importi a caso?


2) i pensionati sono notoriamente i maggiori contribuenti italiani che hanno sempre pagato puntalmente le tasse ed hanno finora funzionato per i vari Governi come una sorta di Bancomat.


3) sul totale del rimborso dovuto in base alla sentenza n. 70 del 2015 lo Stato recupererà all'istante in media circa un terzo sotto forma di tassazione IRPEF (con punte anche del 43%) e incasseranno automaticamente molti soldi anche i Comuni e le Regioni con le 2 addizionali previste dalla legge. Di conseguenza le stime di 4,8 miliardi - o addirittura di  5/10 miliardi di euro - sono comunque al lordo delle tasse, e non al netto.


4) che in ogni caso il rimborso dovuto in base alla sentenza n. 70 del 2015 potrà per il passato essere dilazionato dallo Stato in più anni, come é già avvenuto nella legge di stabilità per il 2014 per restituire i circa 80 milioni di euro corrispondenti ai tagli in vigore dall'agosto 2011 al giugno 2013 (data della sentenza della Corte Costituzionale n. 116) sulle pensioni di oltre 90 mila euro lordi l'anno.


5) la tassazione IRPEF cui sono sottoposti i pensionati italiani é la più alta d'Europa a differenza di quanto avviene, ad esempio, in altri Paesi come la Germania o il Portogallo dove ogni anno i pensionati pagano meno della metà.


6) l'art. 53 della Costituzione prevede che tutti i cittadini contribuiscano a parità di reddito, in quanto i sacrifici che lo Stato può richiedere riguardano tutti indistintamente. E' un principio basilare riaffermato in particolare nella sentenza della Consulta n. 116 del 2013. Pertanto non può essere tartassata solo la categoria dei pensionati, solo perché é quella più facile da colpire, ma devono pagare le tasse e, in particolare, il contributo di solidarietà anche tutti gli altri cittadini (cioé i lavoratori autonomi e dipendenti pubblici e privati, enti e società) che annualmente dichiarino gli stessi guadagni al fisco.


7) lo Stato continua incredibilmente ad elargire migliaia di generosi e sostanziosi vitalizi a ex deputati, senatori, parlamentari europei, Governatori e consiglieri regionali e Sindaci di grandi città che finiscono di fatto per usufruire gratis di una seconda pensione pagata da "Pantalone" in base ad una distorta interpretazione dell'art. 31 dello Statuto dei lavoratori in vigore da 45 anni, che sarebbe costata sinora all'Erario almeno 5 miliardi di euro.


8) lo Stato ha la possibilità di ricavare forti entrate attraverso una vera lotta all'evasione fiscale, anziché continuare a prendersela sempre con chi non sfugge.


In conclusione, le sentenze dell'Alta Corte, in base all'art. 136, 1° comma, della Costituzione vanno applicate senza se e senza ma, cioé senza fantasiose ipotesi che provocherebbero solo una valanga di ricorsi in tutti i tribunali. A partire da giovedì 7 maggio (giorno successivo alla pubblicazione della sentenza n. 70 della Consulta sulla Gazzetta Ufficiale) perderà quindi valore giuridico la norma di cui all'art. 24, comma 25, del decreto legge Monti-Fornero del 6 dicembre 2011 n. 201, convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011 n. 214, nella parte in cui prevede che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento». Ciò non consente che possa essere costruita ora un'altra disposizione di legge ad hoc con effetto retroattivo a danno di 6 milioni di pensionati e delle loro famiglie.


Pertanto l'adeguamento al costo della vita delle pensioni superiori a 3 volte il minimo INPS non é certo colpa della Consulta, ma solo dei vari Governi che per 11 anni hanno voluto apertamente sfidare la Corte, infischiandosene altamente dei suoi cortesi e reiterati inviti, e, anzi, perseverando ostinatamente nell'errore di bloccare per anni l'adeguamento dei vitalizi al costo della vita, come se i pensionati fossero dei cittadini di serie B.                                            




  1.                    §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ 


    SENTENZA N. 30/2004 - RICHIAMO DELLA CORTE COSTITUZIONALE AL PARLAMENTO: “PENSIONI, NON BASTA L’ADEGUAMENTO ISTAT”. QUESTO PRINCIPIO VALE ANCHE PER IL NOSTRO INPGI “IL PARLAMENTO DEVE CAMBIARE IL MECCANISMO DI ADEGUAMENTO ANNUALE DELLE PENSIONI” - IN http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=107


    di Pierluigi Franz


    Roma, 23 gennaio 2004. Per assicurare un reale ed effettivo adeguamento delle pensioni alle variazioni del costo della vita il Parlamento deve studiare un nuovo e diverso meccanismo rispetto all'attuale automatica rivalutazione annuale basata sugli indici Istat. E' il severo monito che la Corte Costituzionale, presieduta da Riccardo Chieppa, ha lanciato ieri alle Camere. Difatti, "il verificarsi di irragionevoli scostamenti dell'entità dei trattamenti di quiescenza rispetto alle effettive variazioni del potere dí acquisto della moneta, sarebbe indicativo dell'inidoneità del meccanismo in concreto prescelto ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e dignitosa nel rispetto dei principi e dei diritti sanciti dagli artt. 36 e 38 della Costituzione". In altri termini, il perdurare dell'attuale percentuale di variazione determinata dal ministro Tremonti sulla base della rivalutazione annuale dell'indice Istat limitata al 90% per le fasce di importo delle pensioni comprese tra 3 e 5 volte il trattamento minimo INPS, e al 75% per le fasce di importo superiori a 5 volte il predetto trattamento minimo, potrebbe essere dichiarato incostituzionale.


    I giudici della Consulta, pur respingendo un'eccezione sollevata due anni fa dalla Corte dei conti seconda sezione centrale su ricorso dell'Università di Parma (erede universale di un pensionato statale, che lamentava di avere perso circa il 47% di pensione rispetto a quella di un pari grado andato in pensione successivamente), assistita dagli avvocati Filippo de Jorio e Giuseppe Polini, hanno comunque sottolineato che l'attuale meccanismo legato alle variazioni Istat potrebbe creare di nuovo le condizioni per il formarsi delle cosiddette "pensioni d'annata". Di conseguenza il "perdurante necessario rispetto dei principi di sufficienza ed adeguatezza delle pensioni" deve indurre il legislatore, "pur nell'esercizio del suo potere discrezionale di bilanciamento tra le varie esigenze di politica economica e le disponibilità finanziarie", ad individuare un meccanismo in grado di assicurare un reale ed effettivo adeguamento dei trattamenti pensionistici alle variazioni del costo della vita. Insomma, la rivalutazione annuale delle pensioni in base ad una percentuale fissata dall'Istat in base al decreto legislativo 503 del 1992 e alla legge 448 del 1998, non garantirebbe al 100% i pensionati dal rischio che in futuro possa diminuire il potere d'acquisto dell'euro rispetto all'originario trattamento di quiescenza.


    Nella sentenza (è la n. 30 redatta dal giudice Ugo De Siervo e depositata ieri in cancelleria) viene ricostruita analiticamente la complessa problematica. E si ricordano i principi giuridici dai quali non si può assolutamente derogare. In particolare, riconoscendo alla pensione natura di retribuzione differita, la Corte Costituzionale ha da anni affermato che essa deve essere proporzionata alla qualità e quantità di lavoro prestato e deve comunque essere idonea ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa, nel pieno rispetto dell'art. 36 della Costituzione. A sua volta il successivo articolo 38 della stessa Carta repubblicana riconosce il diritto dei lavoratori affinché siano previsti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria anche tramite organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.


    Secondo l'Alta Corte l'azione di integrazione anche economica tramite interventi a carico della finanza pubblica appare tanto più necessaria in presenza di un significativo allungamento della vita dei cittadini, e del conseguente prolungamento del periodo in cui è anzitutto il trattamento pensionistico ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa al pensionato e ai suoi familiari, pur senza escludere la necessità di forme di assistenza sociale e sanitaria pienamente adeguate. In questo contesto, é particolarmente importante che siano individuate le modalità per garantire effettivamente che il trattamento pensionistico sia adeguato non solo al momento del collocamento a riposo, ma anche successivamente, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta.


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    .29 APRILE 2015 - . PREVIDENZA. INCOSTITUZIONALE IL BLOCCO DELLA PEREQUAZIONE. La Corte costituzionale con la sentenza 70/2015 riconosce per gli anni 2012-2013 la rivalutazione dell'assegno anche a chi percepisce una pensione superiore a tre volte il minimo Inps. Cancellata la norma del Governo Monti. Lo Stato dovrà sborsare 4,8 mld. Bagno di sangue per l'Inpgi che dovrà versare almeno 6 mln di euro (di cui 2 ritorneranno all'erario sotto forma di tassazione). Bastonato Boeri: se la Patria è in pericolo devono concorrere tutti i cittadini (attivi e pensionati). “Risultano intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita e l’adeguatezza. Quest’ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.. La norma censurata è, pertanto, costituzionalmente illegittima nei termini esposti”. FRANCO ABRUZZO (UNPIT): “I pensionati italiani conoscono la straordinaria coerenza della nostra Consulta nella difesa dei grandi valori della Repubblica. La sentenza è una risposta netta e perentoria a chi predica l'odio contro i cittadini che hanno lavorato per 35-40 anni versando contributi d'oro. Noi pensionati non ci sentiamo soli, abbiamo dalla nostra parte la Costituzione e il Giudice che la fa rispettare anche al Parlamento e al Governo”. IN CODA LA SENTENZA. - TESTO IN http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=17626


     




 


 


 





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