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LA NOSTRA RICETTA PER VIVERE SERENI. La disoccupazione giovanile supera il 40 per cento. E un numero consistente è rappresentato dai giovani inattivi. Due ragazzi romagnoli un lavoro l’avevano. Ma l’hanno lasciato per inseguire il loro sogno. Tornare alla terra. E costruire dal niente una fattoria.

Testo di Carlo Forquet


24.2.2015 - La fatica, certo, non li spaventa: svegliarsi alle 3 e mezzo del mattino perché c’è un parto da seguire. Guidare tra le stradine di montagna e fuori piove. Oppure, percorrere in silenzio i prati della collina, con le mani appesantite dal rotolo di filo spinato e, sulla spalla, la mazzetta da cinque chili. L’orizzonte, sulle colline dell’entroterra romagnolo, ha un che di poetico: prati e colline avvolti in un’umida nebbiolina: e, in fondo, le cime innevate della Carpegna, che è una montagna non alta ma dove i riminesi vanno a sciare. Francesco ha i capelli ricci e neri. E’ magro e con gli occhi vivaci che sorridono, quando parla con la sua accentuata cadenza romagnola. Daniele invece è il classico bello: lineamenti fini e capelli biondastri: sembra Keith Carradine ne ‘I compari’ di Altman. Dei due è il più taciturno: ma è anche quello che si esprime con proprietà di linguaggio. A conoscerli sono simpatici: colpisce soprattutto la buona disposizione d’animo con cui ti accolgono. E gli occhi, che sono sempre allegri e positivi. Non assomigliano ai classici giovani di cui parlano televisione e giornali: gli “sdraiati”, che Michele Serra descrive nel suo ultimo libro.   Secondo l’Istat, il tasso di disoccupazione dei 15-24enni ad agosto in Italia è stato del 44,2%, in aumento di un punto percentuale rispetto al mese precedente e di 3,6 punti nei dodici mesi. Dal calcolo sono esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, ad  esempio perché impegnati negli studi nel 2013. Eppure fanno parte di questa categoria.



Francesco e Daniele un lavoro lo avevano: il primo, operaio metalmeccanico in un’importante azienda del territorio, il secondo dietologo e nutrizionista, con varie esperienze negli ospedali della zona.  Due ragazzi di trent’anni come se ne vedono tanti, ma che non impersonano proprio i  ‘bamboccioni’ di Padoa Schioppa o i ‘choosy’ della Fornero. Ci sediamo nel salone, chiaramente molto rustico, del capannone in legno che hanno messo su da niente in due anni. Fuori, un cancello in legno sovrastato da un insegna con due grandi corna di vacca maremmana e la scritta “Border River”. Dietro, ci sono otto ettari ben recintati, con il paddock per le pecore (ne hanno 54, ndr), una piccola stalla con due cavalli, e un piccolo canile recintato per i border collie: «Secondo noi – dicono sommando le  voci, sono la formula uno dei cani». Francesco, li conosce e ha imparato ad addestrarli quando era un ragazzino. «Hanno tantissime qualità. Sono dolci, affettuosi, animali intelligenti e sinceri: quando gli chiedi di lavorare, e loro sono i numero uno con qualsiasi gregge, fanno di tutto per compiacerti. Hanno cuore e testa, e la forza che ci mettono nel lavoro è superiore a quella di qualsiasi altro cane. Per me il border è un vero compagno di vita». Daniele invece ha una grande passione per i cavalli, fin da quando aveva 6 anni: «Da piccolo mio padre mi comprò una cavallina. Si chiamava Silver e con lei ho imparato a montare. Andavo in autobus al maneggio, poi a 15 anni sono andato a lavorare con i cavalli da corsa, fino a Grosseto. Al Palio del mare di Rimini abbiamo vinto con un cavallo che avevo cresciuto io.  Io e Francesco abitavamo a pochi metri di distanza: ci conosciamo da quando eravamo bambini».



Francesco, tu invece cosa facevi?



Sono andato a scuola fino alla terza superiore. Ma non riuscivo a stare fermo: ero un po’ ribelle, e sono andato a lavorare. Quattordici anni da operaio, prima elettricista e poi metalmeccanico: con le mani me la cavavo.



E tu, Daniele?



Io ho continuato. Mi sono laureato in dietistica, seguendo quello che già faceva mia madre. Quando ho avuto il mio primo cavallo dopo Silver, anche Francesco ne ha preso uno e abbiamo deciso di tenerli insieme. Abbiamo affittato un ettaro di terra in un paesino vicino e lì abbiamo iniziato a capire quale poteva essere il nostro futuro.



Dove trovavate il tempo?  Tutti e due lavoravate?



F. Io facevo l’operaio, e quando smontavo, alle sei del pomeriggio venivo di corsa nel nostro piccolo podere: allora avevamo i cavalli, quattro galline e quattro conigli, e pochissime pecore. E’ stato allora che abbiamo preso i cani. Mio padre, da bambino, non me li faceva mai tenere. Da quando ero un ragazzo ho sempre lavorato ed ho imparato da subito a mantenermi da solo.



D. Io, invece, dopo la laurea sono stato in qualche ambulatorio della zona; poi ho fatto il libero professionista, e questo mi permetteva di avere un po’ di tempo a disposizione.



Ma addestrare cavalli e cani non è semplice. Come avete imparato?



F. Piano piano.  Siamo andati a fare degli stage con dei professionisti e tuttora andiamo. Con i border non si finisce mai di imparare. La nostra maestra si chiama Lyuba Musso e sta a Livorno. Una volta al mese vado io ed ogni tanto viene lei. Quando saremo vecchi potremo dire di aver imparato qualcosa. Adesso, siamo ancora  in alto mare, ma ci mettiamo tutto il nostro impegno, la nostra passione.



D. Da ragazzo ho sempre avuto voglia di imparare. Sono andato da molti addestratori locali, fino a Pesaro. Lì, ho conosciuto una disciplina di monta americana che si chiama reining.  Vuol dire redini e assomiglia al dressage. Nei ranch si sfidavano sempre a chi aveva il cavallo più addestrato. Di lì sono nate le gare.



Una passione impegnativa. Cosa c’è dietro?



D. Il nostro è un mondo complesso, bisogna conoscere tanti aspetti, imparare la tecnica, come approcciarli. Per addestrare qualsiasi animale ci vuole molta esperienza. Sono diversi uno dall’altro. Bisogna avere quello che gli americani chiamano feel, cioè un grado di sensibilità, di lettura dell’animale. Questo vale sia per i cani che per  i cavalli. Non si improvvisa niente.



F. Oggi, purtroppo, è tutto cambiato, con la cinofilia moderna che è impazzita. Noi, in Italia, abbiamo ben poco, eccetto in zone ristrette come la Maremma, o la Puglia per il cavallo murgese.



I contadini erano poveri, non c’era il tempo per pensare alla genetica: avevano un animale magro e dovevano tenerselo. La cultura anglosassone, invece, ha sempre avuto più attenzione per il mondo animale. Il purosangue inglese lo  hanno inventato loro. Come i border collie per le greggi. Potevano giocare con la genetica, quindi selezionare gli animali migliori. Noi ci siamo sempre ispirati a loro.



Quand’è che avete pensato che questa passione poteva diventare un lavoro?



F. Quasi per caso. Il nostro veterinario, vedendoci appassionati, ci ha chiesto se volevamo sistemare questo podere, che lui aveva ereditato dal padre. Lo abbiamo visto e abbiamo subito deciso, siamo venuti e, piano piano, abbiamo costruito tutto. Ogni asse è stata verniciata, tutto è rustico ma dà soddisfazione. Io, negli ultimi anni, stavo spesso in cassa integrazione, ma non perdevo tempo a piangermi addosso: venivo qui e lavoravo per costruire il mio sogno, che era il nostro sogno fin da quando eravamo bambini.



D. Abbiamo stretto i denti parecchio. Il veterinario, Paolo, si è fidato di noi e siamo diventati soci. La nostra azienda è fatta di tre persone. Lui è una mente creativa e organizzativa eccezionale. La parte veterinaria la segue lui, ma non è attivo dal punto di vista lavorativo. Siamo regolarmente iscritti alla Coldiretti.  Lui ci ha messo la terra, noi il nostro lavoro. Abbiamo comprato le attrezzature, i mobili e il bestiame, il tondino per cavalli, le mangiatoie. Riutilizzando molto materiale già esistente, come il piano del tavolo, che è una vecchia greppia dei primi del ’900. Poca spesa molta resa: Francesco è molto bravo nella parte manuale.



Avete immaginato uno sviluppo?



F. Siamo pronti per il grande passo. Io mi sono licenziato dal lavoro: ormai stavo sempre in solidarietà. E anche Daniele ha deciso di venire qui. Abbiamo comprato 21 ettari di terra, lungo il fiumiciattolo Conca. Un po’ con l’aiuto dei genitori, un po’ indebitandoci: io ho venduto una casa che avevo comprato qualche anno fa. Il terreno sarà tutto da recintare.



D. Con i cavalli e con il bestiame vogliamo realizzare una vera transumanza. Non ci sono strade in mezzo. Il nostro obiettivo è ampliare l’azienda, creando anche queste attività, per chi vuole imparare a lavorare con le pecore, i cavalli e il cane.



Nel mondo aziendale si parla di vision, cioè di prospettiva. Qual è la vostra e quale il piano di fattibilità?



F. Molto semplice. Vivere sereni, guadagnare il giusto, costruire una vita dignitosa e fare la nostra fattoria. Ampliarla inserendo tutti i tipi di animali, anche i maiali e le vacche. E fare prodotti di alta qualità: già li facciamo da anni per le nostre famiglie e gli amici. Abbiamo una nostra etica, che è innanzitutto il rispetto per gli animali e per  il lavoro con loro.



D. Queste sono cose che si stanno perdendo: lavorare tutto il giorno all’aria aperta è una fortuna. Vorremmo puntare sulla qualità e dare un prodotto che si è un po’ perso. Oggi come oggi si va al supermercato, i sapori sono tutti standard. Invece noi vorremmo ritornare al sapore delle cose genuine, al maiale cresciuto nel bosco, al vitello e all’agnello che vivono nello stesso modo. Purtroppo saranno macellati ma nella parte della loro vita, cerchiamo di farli vivere meglio, liberi e con un’alimentazione adatta alle loro esigenze. Tutto questo si rifletterà nel prodotto finito.



Ci vuole molta determinazione…



D. Alla base c’è una malattia, perché siamo malati. Devi avere una passione forte sennò ti stufi. Il nostro lavoro è sette giorni su sette per 365 giorni l’anno. Non c’è il giorno di riposo e, se piove, bisogna lavorare lo stesso.



F. Bisogna stringere i denti e lavorare. C’è la poesia ma anche i giorni difficili.



Siete sposati?



D. Francesco si sposerà nel 2015, io l’anno dopo. Siamo mono-tema, siamo anche un po’ noiosi: ci devono sopportare. Questo è uno stile di vita. I giovani di oggi hanno altro a cui pensare.



E che suggerimento dareste al ventenne?



D. Per me è importante fare esperienze in ogni settore. Ma io credo in un ritorno alla terra. I ragazzi dovrebbero capire dove nasce una bistecca o la verdura del  supermercato. Gli animali sono un po’ troppo umanizzati, e nessuno è più in grado di ammazzare un pollo. Invece bisogna capire che la fatica e il lavoro sono importanti: i nostri nonni dalla povertà hanno creato il benessere. I giovani di oggi lo stanno distruggendo, perché non sono in grado di portarlo avanti.



F. Bisogna usare la tecnologia quanto serve. E stare molto di più all’aria aperta: vivere la natura, le stagioni, guardare il cielo, la luna, cercare il benessere interiore che serve per la realizzazione della vita. Vivere senza tanti fronzoli nella testa e fare un lavoro onesto.  Se hai un pezzo di terra, crisi o non crisi di fame non muori. Gli antichi dicevano: biblioteca e orto. Noi ci crediamo.






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