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Stampa

Schifani perde la causa di diffamazione contro il Fatto: pagherą sei mila euro

di Chiara Daina
Il Fatto 30.7.2014



II Fatto Quotidiano ha vinto la causa in primo grado contro Renato Schifani, che quattro anni fa aveva citato in giudizio il nostro giornale per aver pubblicato tra il 20 novembre 2009 e il gennaio 2010 articoli a suo parere "diffamatori". E per i quali aveva chiesto un risarcimento di 720mila euro. Il giudice del Tribunale di Roma Monica Velletti, con sentenza del 2 luglio scorso, ha rigettato l'accusa dichiarando che tutti i dati riportati sono corrispondenti al vero, tenuto conto anche delle indagini aperte dalla Procura di Palermo alla luce dei fatti denunciati negli articoli contestati dall'ex presidente del Senato. A difendere II Fatto spa sono stati gli avvocati Katia Malavenda, Martino Chiocchi e Oreste Flammini Minuto, che nel frattempo è venuto a mancare.


IL TONO IRONICO e sarcastico utilizzato dai giornalisti, si legge sulla sentenza, è "espressione del diritto di critica e di satira", specifici della libertà di informazione prevista dall'art.21 della Costituzione. Gli articoli in questione sono cinque. Il primo a firma di Marco Lillo, dal titolo "Schifani e la casa della mafia", in cui il nome di Schifani era collegato a un palazzo nel quale "ogni muro e mattone profuma di mafia", visto che il senatore, di professione avvocato, aveva detto di aver difeso Pietro Lo Scicco, il costruttore, ma all'epoca su di lui non c'erano indagini aperte. La ricostruzione dei fatti è stata giudicata "puntuale" e la forma usata "rispettosa". Nel secondo, "Schifani e la mafia il palazzo tace", di Furio Colombo, si faceva riferimento ai clienti difesi dal senatore poi condannati per reati di stampo mafioso e dei quali si sarebbe potuto avvantaggiare. In questo caso, il giornalista ha manifestato un "giudizio legittimo" di "critica politica", dal momento che Schifani era il presidente del Senato, cioè ricopriva la seconda carica dello Stato. Il terzo firmato dal condirettore del Fatto Marco Travaglio, "Dialogo di condominio", che rientra nei limiti della satira politica. Segue "Padrini e Condomini" di Peter Gomez e Marco Lillo, in cui si diceva che era diventato socio della cooperativa Desio, di cui facevano parte personaggi poi inquisiti per reati mafiosi. In questo caso, il diritto di cronaca è stato esercitato correttamente, ha sottolineato il giudice. Infine, l'editoriale, sempre firmato da Travaglio, "Minority report". L'attuale presidente del Nuovo Centrodestra, che risulta tuttora iscritto nel registro degli indagati della Procura palermitana per concorso esterno in associazione mafìosa (dietro lo pseudonimo di Schioperatu, escamotage dei magistrati per celare la sua identità, essendo allora la seconda carica dello Stato), si era lamentato per essere stato definito, secondo lui, come "un soggetto vicino agli ambienti della criminalità mafìosa, con accostamenti suggestionanti e l'uso di toni sproporzionati e scandalizzanti". Nel mirino di Schifani anche la vignetta, in cui veniva ritratto nell'atto di salutare e stringere le mani con la scritta "bacio le mani", tipica della forma mafìosa, ripetuta per quattro volte.






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