di Silvia Serena
(6.7.2014) - “La fortuna, il positivo tocca a chi non si accontenta di quel che la sorte gli ha dato“ ha detto Marco Malvaldi il 3 luglio, durante il suo prologo letterario all’ultimo dei due incontri pomeridiani svolti a Palazzo Edison a chiusura della serie di cinque incontri con la musica, curati da Paolo Terni nell’ambito del ciclo La musica della Milanesiana all’interno dell’omonima Rassegna ideata e diretta per la 15a volta da Elisabetta Sgarbi. In effetti è proprio questa dimensione del non accontentarsi, e dell’instancabile ricercare, il fondamento di questi cicli che, accompagnati dall’attesa lunga un anno (questo è il terzo) e seguiti ogni volta da un pubblico sempre più numeroso (al punto che la Sala delle Colonne di Palazzo Reale non ha potuto accoglierlo tutto), in ogni edizione sono una nuova sorpresa – un nuovo respiro che guarda al precedente e lo sviluppa in una tappa nuova. Ogni incontro all’interno del ciclo guarda contemporaneamente, a guisa di un Giano bifronte, avanti e indietro. Così è stato a Palazzo Edison per i due ultimi incontri: nell’ascolto del violoncello di Sarah Bennici (2 luglio), Bach era collocato tra Gabrielli e Dell’Abaco, mentre nel concerto di Francesco Corti (3 luglio) è stato la sorgente del racconto di come cambia la rappresentazione del mondo nella generazione dei figli (qui Carl Philipp Emanuel), e di come si evolve l’esplorazione della forma fino a Haydn.
Ma in sé questo ciclo di due giorni è stato una voluta ulteriore del cammino delle prime tre giornate a Palazzo Reale (27-29 giugno) le quali, apertesi in segno di continuità col ciclo del 2013 con la sonata in si minore di Liszt, si erano concluse con la trasposizione lisztiana per pianoforte della fantasia e fuga in sol minore di Bach, ad indicare una tensione di ricerca di certezza e di equilibrio in un mondo che ormai non è più quello bachiano. Ma tutti e cinque gli incontri erano legati da un unico sotteso poisson d’or: l’eterna domanda del rapporto con il reale, del modo in cui l’uomo ne vede emergere il senso e del modo in cui lo traduce e lo rappresenta – dunque lo canta. Ed ecco la ragione del titolo che accomuna i primi tre giorni: la ricerca de Le ragioni del canto indica la ricerca di una ragione del nostro stare al mondo, del nostro pèlerinage (per usare il termine lisztiano, visto che dalla “Troisième année” sono stati eseguiti tre brani), durante il quale ci resta sì impressa una sequenza di immagini, ove però le cime dei cyprès de la Villa d’Este svettano in un’altra realtà, e dove i jeux d’eau sono, appunto, un gioco con qualcosa di liquido, in eterno movimento… Un modo di pensare il mondo è dunque il gioco, che si è manifestato anche nell’universo creato dalle sette Fantasie op.116 di Brahms che, presentate singolarmente nei loro incipit da Michele Sganga prima dell’esecuzione integrale, sono risultate, nel commento di Paolo Terni, visione profetica di una disgregata sequenza di macerie, anticipazione della visione eliotiana della terra desolata… E la “necessità di non avere certezze”, messa in luce nell’ascolto del pensiero di César Franck, si è manifestata come segno ulteriore di quanto lontane siano ormai le certezze del mondo bachiano – distanza sottolineata da un pensiero citato dal volume Á l’écoute di Jean-Luc Nancy, filosofo per felice coincidenza ospite della Milanesiana: “Il sonoro trascina via la forma, non la risolve, piuttosto l’allarga, le dà un’ampiezza, uno spessore, un’ondulazione … cui il segno non fa che approssimarsi in continuo”. E questo “trascinar via la forma” ha fatto da sfondo all’emergere delle Ragioni del canto: il modo come Michele Sganga, in consonanza con Paolo Terni, ha isolato nella seconda e nella terza mattina, il canto nella domanda di Liszt, mostrando cosa diventa in Franck, ha fatto vibrare di commozione la sala intera, e ha segnato il passaggio verso la ricerca di un canto diverso in Debussy, un canto inghiottito, ove la sequenza della narrazione lineare sparisce, ove l’elemento dinamico delle Cloches vibra in un eterno presente filtrato dalle feuilles, ove quindi la ricerca del canto diviene ricerca del suono in un presente vibratile, al confine tra suono e tempo.
Chi ha avuto la fortuna di partecipare a questi cinque incontri, è stato indotto ad ascoltare … come la musica pensa – e a partecipare a una specie di epifania di quello che Paolo Terni ha chiamato il canto: l’approdo di queste giornate si configura dunque come gratitudine per i doni ricevuti, cui attingere (insieme alle puntate che Paolo Terni conduce per Radio 3 nella Trasmissione Qui comincia) durante il lungo pèlerinage in attesa del ciclo del 2015, sempre alla ricerca di una risposta a quella unanswered question (per usare il titolo di una composizione di Ives citata durante un incontro), la quale solo finché resta senza risposta, ci permette di continuare a vivere, a cercare, scoprire e ascoltare il sempre nuovo respiro della musica.
Silvia Serena - 4 luglio 2014
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LA MILANESIANA 2014