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BARI (18.5.2014) - . 51° Congresso nazionale della Federspev. Duro attacco del presidente Michele Poerio al Parlamento e al Governo: “Rammenti la politica: le pensioni ‘vere’ non sono una spesa ma un debito dello Stato. La richiesta della rivalutazione di tutte le pensioni non è una richiesta corporativa ma una necessità per l’economia italiana in profonda crisi per il crollo dei consumi interni legato anche alle difficoltà economiche di milioni di pensionati. Invece di continuare a depredare le pensioni medioalte sarebbe meglio eliminare gli sprechi, il clientelismo, i privilegi e le regioni a statuto speciale. Può essere considerata equa una manovra che colpisce quasi esclusivamente il ceto medio e particolarmente i pensionati?”. Intervento di Franco Abruzzo (presidente Unpit): “Indispensabile colpire con durezza gli evasori, il sommerso e le mafie, che ogni anno ‘amministrano’ mille miliardi di euro. Il Governo sa dove trovare i quattrini che servono allo Stato e non lo fa. Bisogna trovare la forza di combattere i poteri criminali e smetterla di usare le pensioni come un bankomat!” – QUI SOTTO L’INTERVENTO DI MICHELE POERIO.

Autorità, care colleghe e cari colleghi, care amiche e cari amici, sono onorato di darvi il benvenuto in questa meravigliosa città di Bari per il 51° Congresso Nazionale della Federspev. Un momento importante per la Fe-derazione. E’ infatti alla scadenza congressuale che si fa un bilancio dell’anno passato, che si discute sulle nostre azioni politiche e sindacali, che si programma l’impegno futuro.



Il nostro statuto prevede che annualmente il Presidente Nazionale si presenti al Con-gresso per illustrare il rapporto dell’attività svolta, per trarne un bilancio e per porre le basi per il prossimo futuro, anche e soprattutto perché la maggioranza dei pensionati è in condizione di disagio che spesso si trasforma in povertà. Secondo i dati ISTAT nel 2011 oltre 6, 5 milioni di pensionati, pari al 44, 1% del totale , hanno percepito un reddito inferiore ai 1000 € mensili lordi , il 23, 1% ha percepito fra i 1000 e i 1500 € mensili, mentre il restante 32, 8% ha ricevuto un importo superiore a 1500 € mensili.



Si tratta, comunque, di dati bruti strillati il più delle volte dai media per far colpo sulle masse e dimostrare che la maggior parte dei trattamenti pensionistici è di importo infe-riore ai 1.000 € mensili lordi.



Ma questo dato vuol dire poco se non si mette a confronto il numero delle pensioni con quello dei pensionati, ossia oltre 23 milioni di pensioni contro circa 16, 5 milioni. Il che si-gnifica che ci sono circa 7 milioni di persone che incassano due pensioni.



Le donne, come sempre, si trovano in condizioni peggiori: sono il 52, 9% dei pensionati e percepiscono assegni di importo medio pari a 13.569 € lordi annui, inferiori rispetto a quanto ricevuto dagli uomini, cioè 19.395 €.



Nel 2012 la spesa pensionistica è stata di oltre 270 miliardi a fronte di entrate contribu-tive di 208 miliardi.



Sostengono, quindi, politici e tecnici, che il sistema previdenziale non si autofinanzia, es-sendo perennemente in deficit, nel caso specifico di 62 miliardi.



Nessuno, però, dice che questo enorme buco deriva dal costo dell’assistenza: pensioni sociali, invalidità civili, cassa integrazione, 300.000 pensioni di guerra, sostegno alle fa-miglie, social card e quant’altro, con un costo complessivo di 72 miliardi.



Ma mi chiedo, e vi chiedo, se l’assistenza costa 72 miliardi siamo proprio sicuri che il vero bilancio previdenziale sia in rosso?



A quando la netta separazione fra assistenza e previdenza? E’ sacrosanto che le pensioni sociali siano adeguatamente integrate, ma ciò deve avvenire a spese della fiscalità gene-rale e non dei cosiddetti pensionati d’oro a 3.000 € lordi al mese!



Vi ricordo che da molti anni la CIMO di Sizia e Biasioli, la Confedir e la Federspev hanno ripetutamente chiesto ai governanti di separare i costi di assistenza e previdenza. Anche Biasioli, all’interno del CNEL, si è battuto per questa linea di chiarezza. Invano…



Ma rispetto ai dati ISTAT la situazione reale dell’anno in corso, per effetto della cura feroce imposta dalla strategia del rigore, senza equità e senza sviluppo, è di gran lunga peggio-rata per l’aumento dell’imposizione fiscale, per la lievitazione dell’IVA, per il taglio quasi sempre lineare del welfare, per la riduzione dei trasferimenti monetari agli enti locali.



Se si considera, poi, che pensionati e lavoratori dipendenti, tassati alla fonte, reggono oltre il 78% delle entrate fiscali statali, si può avvertire appieno come l’impoverimento pressoché generale provochi un forte malessere nella platea dei pensionati, sempre più marginale rispetto alla tanto decantata società civile.



Lo dimostra chiaramente un recente rapporto CNEL-ISTAT secondo cui, alla luce di un nuovo benchmark, il cosiddetto BES, acronimo di “benessere equo e sostenibile”, il numero degli italiani e dei pensionati, in particolare, in grave stato di deprivazione materiale è passato, nel corso del 2012, dal 6, 9% all’11, 1%.



Questo indicatore che possiamo considerare come un nuovo modo per misurare lo stato di salute del Paese, scatta quando un soggetto ha problemi per almeno quattro bisogni fondamentali su una lista di nove. Bisogni come riscaldare la casa, avere un pasto ade-guato, nemmeno tutti i giorni ma almeno uno su due, non potere sostenere spese impre-viste per 800 euro, essere in arretrato con il pagamento dell’affitto. Dal che emerge che 6, 7 milioni di famiglie sono in emergenza economica.



Cambiano gli acronimi, ma in fondo il risultato non è poi molto diverso rispetto a ciò che da tempo la continua diminuzione del nostro prodotto interno lordo (PIL) ci racconta. Più che di benessere, sarebbe meglio parlare di malessere diffuso e crescente da rovesciare addosso, come un rigurgito, ai partiti politici.



Il rapporto, oltre che la deprivazione materiale, prende in considerazione dodici aree che leggono lo stato di salute del Paese anche da un punto di vista sociale.



Tutti bocciati senza riserve!



I politici sono inchiodati su un 2, 3 di gradimento che su una scala da 0 a 10 equivale ad un verdetto senza possibilità di appello.



Ma è una bocciatura generalizzata:



- il Parlamento si attesta su un misero 3, 6; - le amministrazioni locali sul 4; - la giustizia sul 4, 4.



Insufficienze gravi da cui si salvano solo i vigili del fuoco che ottengono un brillante 8, 1 e le forze dell’ordine un discreto 6, 5.



Il pericolo più grave in un momento di crisi epocale come questo, crisi che si sta rivelando peggiore di quella del 1929, è una possibile ed incontrollabile esplosione sociale.



Quali conseguenze, mi chiedo e vi chiedo, può avere una simile eventualità in un Paese dove la disoccupazione è del 12, 8% , dove la disoccupazione giovanile è di circa il 42%, dove si calcola che oltre un milione e mezzo di persone, soprattutto giovani, non cercano più lavoro, dove si legge di numerosi piccoli imprenditori che si suicidano perché si sono visti negare il mutuo dalla banca e di pensionati che non riescono a superare i primi venti giorni del mese, dove si evadono più di 250/260 miliardi anno con un danno per l’erario di circa 130 miliardi anno?



Non sono per natura pessimista, ma sono questi i tempi in cui si potrebbero rinverdire gli anni di piombo del terrorismo……..



Certo, siamo consapevoli della gravissima crisi economico-finanziaria in cui versa il nostro Paese , ma non è accettabile che siano sempre i soliti noti a pagare il conto. Da sempre,





in Italia, i veri e quasi unici sostenitori del Paese dal punto di vista fiscale sono i lavoratori dipendenti ed i pensionati.



Invece di continuare a depredare le pensioni, sarebbe meglio:



- eliminare quel clientelismo partitocratico imperante in Italia, combattendo le ruberie e le tangentocrazie che la Corte dei Conti ha valutato in circa 60 miliardi anno;



- eliminare i privilegi dei dipendenti di Camera, Senato, Quirinale, Bankitalia, Corte Costituzionale e Presidenza del Consiglio dei Ministri che fra scatti, automatismi e contributi figurativi lasciano il posto ben prima rispetto alla media italiana;



- eliminare la fantomatica fondazione della Camera dei deputati costituita nel 2003 da Casini e che riserva agli ex Presidenti della Camera lussuosi appartamenti a pa-lazzo Theodoli con relativo personale e macchine blu per il modico costo di qualche decina di milioni annui;



- eliminare le regioni a statuto speciale che storicamente non hanno più ragion d’es-sere e sono delle idrovore di quattrini (emblematica l’ultima spesa di circa 1, 5 milioni di euro per fornire al Governatore siculo Crocetta 5 macchine blindate ed accesso-riatissime);



- eliminare i circa 500 mila consulenti di tutta la P.A. che costano 2 miliardi anno: dallo studioso delle abitudini riproduttive dei cormorani a quello delle fasi produttive dell’aglio di Vessalico (Liguria).



E potrei continuare a riempire decine di pagine di queste chicche.



Siamo stati e continuiamo ad essere per i vari governi di ogni colore un vero e proprio ban-comat. E ciò è facilmente spiegabile se è vero, come è vero, che solamente lo 0, 9% (382 mila circa) degli oltre 41 milioni e mezzo di contribuenti dichiara al fisco fra i 100 e 120 mila euro lordi anno, e di questi 382 mila contribuenti il 70% è costituito da lavoratori dipen-denti pubblici, privati e pensionati.



E’ indispensabile, quindi, combattere seriamente l’evasione - elusione fiscale interve-nendo concretamente per porre rimedio a questa vergogna e mettendo, fra gli altri prov-vedimenti, in reciproco conflitto di interesse il prestatore d’opera ed il comune cittadino. Ciò non solo per una questione di equità sociale, ma anche e soprattutto nell’ottica di li-berare risorse utili alle imprese ed ai singoli individui, soprattutto pensionati, in difficoltà. La richiesta, quindi, della rivalutazione di tutte le pensioni non è una richiesta corporativa ma una necessità per l’economia italiana in profonda crisi per il crollo dei consumi interni legato anche alle difficoltà economiche di milioni di pensionati.



E’ doveroso precisare per l’ennesima volta che la pensione è una forma di salario differito, o se vogliamo, di risparmio forzoso, accumulato in anni di attività, e non elargizione assi-stenziale come vorrebbero considerarla molti fra coloro che si arrogano il diritto di igno-rare i principi costituzionali che non fanno comodo.



Da rilevare, altresì, che in Italia i redditi da pensione, fiscalmente, sono assimilati a tutti gli effetti a quelli da lavoro e, dunque, subiscono una imposizione sproporzionata. Al contra-rio negli altri paesi europei, come evidenziato in un recente studio della Confesercenti, il trattamento tributario delle pensioni è più favorevole rispetto a quello previsto per gli altri redditi. Ad esempio per le pensioni più basse, sotto i 10.000 € lordi anno, registriamo  un’assenza di prelievo in Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, contro una tassa-zione di circa il 10% in Italia.



Su una pensione di 20.000 € anno in Italia il prelievo è di oltre 4.000 €, il doppio di quanto si paga in Spagna, tre volte di quanto si paga in Gran Bretagna, il quadruplo di quanto si paga in Francia, mentre in Germania il prelievo è quasi inesistente (380 €).



Le nostre pensioni, invece, sono colpite tre volte:



- la prima perché vengono rivalutate, peraltro in modo differenziato, in base all’infla-zione programmata e non in base all’inflazione reale, ben superiore;



- la seconda per i reiterati blocchi della perequazione che hanno determinato negli ultimi 15 anni una perdita di potere di acquisto di tutte le pensioni, da quelle me-dio-basse a quelle medio-alte, dal 35 al 50%;



- la terza, come già detto, perché sono assimilate fiscalmente ai redditi da lavoro. A costo di essere noiosamente ripetitivo, pongo, per ogni iniziativa di rigore riguardante le pensioni della gente comune, una condizione preliminare che purtroppo non vedo mai realizzata: poiché tutto avviene in base a leggi del Parlamento dobbiamo esigere che il Parlamento stesso prima di decidere alcunché sulle nostre pensioni decida di ridurre dra-sticamente i suoi vitalizi che maturano in un tempo scandalosamente breve. Attualmente è sufficiente una sola legislatura (ma fino a qualche tempo fa bastava anche un solo giorno) il che è un’offesa per coloro che dopo decenni di lavoro e ingenti contributi a valore reale vedono diminuire progressivamente il potere di acquisto delle proprie pensioni.



Equità, invecchiamento della popolazione e lotte intergenerazionali



Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) “ denuncia” i terribili costi che nel mondo occiden-tale già derivano e ancor di più deriveranno nei prossimi anni dall’invecchiamento della popolazione.



Pensioni, sanità, assistenza sociale crescono e continueranno a crescere.



Un problema serio che mette in discussione le politiche economiche e sociali di tutti i paesi sviluppati.



Ma non è anche una buona notizia?



Nell’occidente, specialmente nell’occidente europeo, si vive molto più a lungo che in Africa e nel Sud del mondo.



Si può continuare a lavorare e perfino a produrre e a fare l’amore fino a tarda età, si può guarire da malattie fino a pochi anni fa considerate incurabili, si può, insomma, condurre un’esistenza ricca di relazioni e soddisfazioni anche da “ vecchi”.



Invece per il FMI, tutto questo, non solo non è un progresso da festeggiare, ma un disastro. Un costo da ridurre, scusate il gioco di parole, a tutti i costi.



Sembra davvero assurdo che lo straordinario progresso odierno venga da alcuni visto come una catastrofe o giù di lì.



Inoltre la nozione di “vecchio e di “ anziano” continua ad essere circondata da un alone se-mantico prevalentemente negativo. Magari nel nome di un giovanilismo rottamatore e spesso del tutto ideologico, se non truffaldino. Ma da anziani o da vecchi, se si è in buona salute fisica e psichica (e sempre di più questo avverrà), si possono dare contributi più che  preziosi alla vita sociale, culturale e anche economica.



Che bisogno c’è di scatenare lotte intergenerazionali senza sbocco, accusando i vecchi di essere responsabili della infelice condizione giovanile? E’ una menzogna quella del conflitto giovani contro anziani.



Dobbiamo reagire e respingere alcune affermazioni che si sentono in giro: “ siete voi che ru-bate il futuro ai giovani-ci dicono- siete voi che, anche quando sono pochi, avete i vostri soldi sicuri e garantiti ogni mese. Siete voi i parassiti che pesano sulle casse dello Stato e vi mangiate oltre il 16% del PIL e cioè della ricchezza nazionale che sottraete ai giovani , alle donne e ai disoccupati”.



Ho voluto affrontare la questione centrale della solidarietà intergenerazionale non solo perché ha formato oggetto dell’anno europeo del 2012 ma perché sono fermamente con-vinto che si tratta di un terreno sul quale la nostra credibilità politica può essere messa in discussione e noi dobbiamo fare di tutto per essere credibili, con la forza della nostra storia.



A noi interessa soprattutto il futuro con cui vogliamo misurarci e rinnovarci costruendo idee, progetti, programmi nuovi all’altezza delle sfide che l’attuale realtà ci pone.



Certamente dobbiamo continuare a sostenere la nostra linea sindacale esercitando ogni pressione su tutte le forze politiche, di maggioranza ed opposizione, per il riconoscimento della totale perequazione su “tutte” le pensioni, per la decontribuzione di quote pensioni-stiche in rapporto all’età, per un paniere ISTAT specifico per i pensionati, per la difesa delle pensioni di reversibilità. Ma dobbiamo anche crescere ed innovare implementando lo sforzo di rendere il nostro Paese più giusto, più moderno, più equo soprattutto nei con-fronti di quella terza e quarta età di cui la Federspev è parte integrante.



Equità, bellissima parola: uno dei ritornelli più utilizzati dagli ultimi governi, da quello tec-nico di Monti a quelli politici di Letta e Renzi.



Equità, a mio modesto avviso, significa soprattutto una migliore distribuzione del carico fi-scale.



Ma può essere considerata equa una manovra che colpisce quasi esclusivamente il ceto medio e particolarmente i pensionati?



Possiamo considerare equa l’affermazione di alcuni politici secondo cui noi apparteniamo a quella categoria di lavoratori e pensionati ricchi che “debbono piangere” e debbono continuare ad essere tartassati con contributi di solidarietà, con l’azzeramento della pe-requazione e con balzelli vari? A questi “signori” vorrei ricordare che la loro non è una pensione bensì un vitalizio e, in quanto tale, non soggetto ad essere depredato come le nostre pensioni.



La casta politica continua ad essere indenne da qualsiasi taglio se si escludono modeste, quasi simboliche, riduzioni delle loro prebende come quella del rimborso telefonico, men-tre il solo blocco della rivalutazione introdotto dall’ex ministra Fornero ha determinato per i pensionati, titolari di un reddito mensile netto di 1.217 € (1.486 € lordi) un danno nel 2012 di 363 € e nel 2013 di 776 €. I pensionati con redditi di 1.556 € netti (oltre 2.000 € lordi) nel 2012 hanno perso 487 € e nel 2013 1.020 €.



Si tratta di un accanimento indegno per una società civile nei confronti di una categoria  che sta sopportando sulla propria pelle il costo della crisi.



Abbiamo, comunque, ricorso contro questo blocco ed il giudice del lavoro di Palermo, nello scorso novembre, lo ha dichiarato manifestamente incostituzionale trasmettendo gli atti alla Consulta.



La previdenza complementare



E’ stata trascurata da tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni, governi che non hanno mai affrontato concretamente questa seconda gamba previdenziale che do-vrebbe riequilibrare il sistema per le generazioni presenti e future, contribuendo a risol-vere anche le lotte intergenerazionali su accennate.



E’ noto che nei prossimi 20, 30 anni si andrà in pensione con il 45% circa dell’ultima retri-buzione, per cui è indispensabile un rilancio della previdenza integrativa attraverso inter-venti specifici. Se si vorrà, quindi, veramente dare effettività a questo nuovo strumento di tutela occorrerà:



1) emanare uno specifico D.Lgs. (in analogia a quanto fatto con il D.Lgs. 252/2005 per l’impiego privato) per armonizzare la previdenza complementare dei pubblici dipen-denti sulla base delle proprie peculiarità;



2) rendere effettivo il conferimento delle quote da parte del datore di lavoro e del la-voratore al fondo di previdenza complementare, assicurando un congruo finanzia-mento pubblico al settore;



3) rendere fiscalmente più vantaggiosa, rispetto alle attuali previsioni, la previdenza complementare;



4) garantire una riserva di rappresentanza nei consigli di amministrazione dei fondi ai rappresentanti dei dirigenti, assicurando gli attuali statuti e regolamenti solo l’ege-monia di CGIL, CISL e UIL.



Europa e anziani



Come voi sapete, in quanto aderenti Confedir, la Federspev fa parte di due importantis-sime organizzazioni europee : la CESI (Confederazione Europea dei Sindacati Indipen-denti) e il CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo).



E’ per noi importante che queste organizzazioni facciano proprie le politiche dei pensio-nati e degli anziani in seno alla Comunità Europea.



Le problematiche della terza e quarta età, stanno venendo prepotentemente alla ribalta in Europa e nel mondo e sarebbe miope per organizzazioni come la CESI e il CESE rima-nere in disparte e fingere che il problema non esista.



E’ assolutamente indispensabile che la Commissione Europea e i governi degli stati mem-bri non guardino più ai soggetti deboli, ed in particolare alla popolazione anziana e pen-sionata, esclusivamente come sorgente di spesa pubblica a fondo perduto, ma come cittadini a tutti gli effetti su cui investire e a cui richiedere, in cambio, prestazioni compa-tibili con l’età e con la loro attuale posizione nella società civile.



Il contesto organizzativo ed il proselitismo



Prendendo atto di come la crisi economico - finanziaria globale stia cambiando radical-mente il mondo, si osserva che l’Italia stessa , investita da una profonda recessione eco-nomica, politica e sociale, modifica con estrema rapidità concetti che fino a pochi anni fa sembravano immutabili. Cambiano l’economia, i partiti e più in generale la società.



Emerge, infatti, un quadro in cui l’ipotesi di un nuovo federalismo e le previste modifiche delle province e dei comuni evidenziano la necessità di rivedere l’assetto organizzativo della Federazione realizzando compiutamente, come da tempo sostiene il nostro Defidio, la figura del delegato comunale quale vero e proprio punto di riferimento per ogni iscritto o potenziale iscritto.



Ed è questo potenziale iscritto che mi induce ad introdurre il tema del proselitismo. Tema di vitale importanza per qualsiasi organizzazione.



Purtroppo in questi ultimi tre, quattro anni abbiamo assistito ad una diminuzione delle adesioni, per fortuna non eccessiva, diminuzione che ha interessato non solo la nostra Federspev, ma tutte le organizzazioni sindacali in maniera molto più accentuata. Certamente mal comune non è mezzo gaudio, quindi è nostro dovere analizzare compiu-tamente le motivazioni del calo.



I governi tecnici e politici che si sono succeduti negli ultimi anni con la loro politica pena-lizzante della previdenza sicuramente non ci hanno aiutato. Da parte nostra abbiamo fatto il possibile ed a volte anche l’impossibile per contrastare il rigore che ci hanno impo-sto e la mancanza di equità.



Cerchiamo, quindi, di analizzare in maniera obiettiva le cause del calo :



1) diminuiscono i pensionamenti a causa della riforma Monti-Fornero;



2) diminuisce il reddito dei pensionati;



3) mancano risultati tangibili in risposta alle nostre vertenze;



4) manca un collegamento adeguato con le associazioni degli attivi, e non certamente per colpa nostra.



Quali possono essere, quindi, le strategie da mettere in campo?



1) Bisogna mettere in atto nuove idee per la promozione associativa.



E la commissione all’uopo costituita e coordinata da Antonino Arcoraci e con la par-tecipazione di Leonardo Petroni, Mario Defidio e Norma Raggetti ha prodotto un documento molto interessante che divulgheremo quanto prima, dopo dibattito nel Direttivo Nazionale.



2) Analizzare le motivazioni delle revoche che per fortuna sono molto poche.



3) Partecipare attivamente alla vita degli ordini professionali chiedendo, ove possibile, l’inserimento di un iscritto Federspev fra i consiglieri.



4) Incentivare le attività turistiche e di tempo libero dei nostri associati.



5) Incentivare i servizi : le attività dei CAF, dei patronati, dei servizi assicurativi e finan-ziari, le consulenze previdenziali e legali. Settore, questo, da noi potenziato notevol-mente in questo ultimo anno. Mi riferisco alle molteplici convenzioni e servizi che ri-trovate elencati nell’ultima pagina del nostro giornale.



Welfare, pensionati e long term care



In questa situazione drammatica nella quale l’assistenza ed il welfare in generale sono in caduta libera, alcuni politici continuano pervicacemente ed ottusamente a penalizzare i soliti noti: classe media e pensionati.



Il governo blocca la rivalutazione delle pensioni superiori ai 3.000 euro lordi mensili, blocco che nei prossimi 15 anni determinerà un abbattimento del loro potere di acquisto del 35-50%, senza considerare che questi pensionati già contribuiscono al fisco per un terzo delle entrate totali, e senza considerare che questi pensionati rappresentano il più importante ammortizzatore sociale per milioni di figli e nipoti disoccupati o sottoccupati.



Il centro studi Confedir, su dati ISTAT e del CNEL, ha calcolato che il welfare sostitutivo delle famiglie italiane ammonta a circa 22 miliardi di euro anno di cui oltre 6 miliardi per l’aiuto ai circa 6 milioni di figli disoccupati o sottoccupati.



E’ lapalissiano affermare che non c’è previdenza senza lavoro, per cui bisogna puntare all’occupazione ed a tutte le misure possibili per favorirla. Il governo, per creare lavoro, dovrà, pertanto, agire soprattutto sul lato dell’offerta (riduzione del cuneo fiscale, radi-cale modifica della riforma Fornero, soluzione della questione esodati, staffetta genera-zionale sul pensionamento, incentivi dell’apprendistato, semplificazione burocratica ecc) Per quanto ci riguarda direttamente, abbiamo suggerito da tempo e quindi condividiamo e riteniamo interessante la proposta di introdurre politiche di invecchiamento attivo, ossia modelli graduali e part-time di pensionamento, incentivando forme di staffetta e di tuto-rato intergenerazionale che però si scontra con l’impossibilità di trovare le relative coper-ture finanziarie.



Secondo una recente ricerca del CENSIS l’assistenza socio-sanitaria delle persone non autosufficienti rappresenta una delle maggiori preoccupazioni degli italiani.



Nel nostro Paese i non autosufficienti sono oltre 2.600.000 di cui 2 milioni di anziani. Un problema che riguarda una famiglia su dieci e che si aggrava sempre più con l’invec-chiamento della popolazione.



Le famiglie italiane, già oggi, spendono più di 11 miliardi di euro per oltre un milione di ba-danti, quindi più dei circa 7 miliardi spesi dallo Stato per le indennità di accompagna-mento.



Di fronte ad una domanda in crescita ed incontrollabile è indispensabile riprogrammare un nuovo modello di long term care capace di prendersi cura e carico della persona, svi-luppando il secondo pilastro dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria integrativa mirata alla soluzione dell’annoso problema della non autosufficienza.



In Germania (dal 1995), nei Paesi Bassi ed in Francia hanno già affrontato il problema dei fondi integrativi alimentati con forme diverse dai datori di lavoro e dai lavoratori, dalla fiscalità generale e dal cittadino.



Si pongono, pertanto, diverse questioni metodologiche ed operative su come riprogram-mare un nuovo modello di long term care, in una nuova visione del welfare capace di pren-dersi cura e carico della persona anziana.



Potere d’acquisto delle pensioni



L’attuale meccanismo di recupero del potere d’acquisto delle pensioni nel tempo, si è dimo-strato inadeguato rispetto all’andamento dell’economia e dell’incalzare dell’inflazione, tanto più che il meccanismo stesso ha subìto, e continua a subire, il blocco dell’indicizzazione. Tutto ciò ha comportato l’aggravarsi della situazione economica dei pensionati, già di fatto compromessa dal caro vita, dall’aumento dei prezzi e tariffe, dall’elevata pressione fiscale, nonché dall’aumento dei bisogni dei pensionati, che, con l’avanzare dell’età, ne-cessitano di sempre maggiori servizi e prestazioni sanitarie.



Spinoso è , quindi, il tema della tenuta del potere di acquisto delle nostre pensioni che tutti i sistemi di welfare in Europa garantiscono, e che per noi è un obiettivo irrinunciabile. Qualche politico recentemente ha osservato che all’estero le pensioni sono più basse: è vero, però è anche vero che sono più basse le aliquote contributive, ma soprattutto sono aggan-ciate alla dinamica salariale e mantengono quindi nel tempo lo stesso valore di acquisto.



Personalmente ho sempre sostenuto che non importa una pensione alta, importa una pensione dignitosa che mantenga negli anni lo stesso potere di acquisto.



Si dice, sempre da parte di alcuni politici, che la spesa pensionistica italiana è fra le più alte in occidente, si aggiunge che l’Italia ha un debito pubblico notevole, il più importante d’Europa, e si ricorda che il nostro Paese ha il più basso indice di natalità e la vita media più alta fra i paesi più sviluppati, secondo solo al Giappone.



Tutto vero! Ma bisognerebbe anche dire che una recente ricerca dell’OCSE ha accertato che l’Italia, tra i paesi più industrializzati del mondo, detiene anche il record del più basso potere di acquisto per i lavoratori dipendenti e per i pensionati che, guarda caso, sono rimasti esclusi dal famoso aumento di 80 € mensili del governo Renzi.



Peraltro sono numerose le sentenze della Corte Costituzionale che hanno più volte riba-dito la necessità di un intervento legislativo per riformulare lo strumento di adeguamento delle pensioni che dal 1992 è impropriamente calcolato sull’indice ISTAT o addirittura al di sotto dell’indice di inflazione programmata.



Non c’è da meravigliarsi, quindi, se i pensionati, già castigati dal blocco della perequa-zione del 2008 che una sentenza scandalosamente politica della Corte Costituzionale ha ritenuto possibile, sia pure ammonendo il Legislatore a non più reiterarla, non meraviglia-moci, dicevo, e consentitemi il termine, se i pensionati si “incazzano” quando il governo Monti reitera il blocco della perequazione addirittura per il 2012, 13, infischiandosene dell’ammonizione della Consulta, e la legge di stabilità del governo Letta introduce per il triennio 2014/16 un regime di fasce progressive di blocco fino a 5 volte il minimo INPS e nessun aumento per le pensioni superiori a 6 volte il minimo INPS, se si esclude un au-mento forfettario del 40% dell’indice inflattivo, equivalente a 15 € lordi al mese.



La legge di stabilità reintroduce anche il contributo di solidarietà del 6-12-18% rispettiva-mente sulle pensioni superiori ai 91-130-195 mila € circa, già dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale.



Chiaramente, come abbiamo già fatto, impugneremo in tutte le sedi queste aberranti deci-sioni.Recentemente Renzi ha dichiarato a “Porta a Porta” “ non chiederemo un contributo sulle pensioni di 2 - 3.000 €” (non vi viene il dubbio che sia un’affermazione preelettorale?), smentendo il suo sottosegretario Delrio, ma non si pronuncia sulle pensioni al di sopra dei 3.000 €. Il ministro dell’economia Padoan smentisce il suo sottosegretario Baretta che propone di introdurre un contributo di solidarietà sulle pensioni di 2.500 - 3.000 € lordi mensili.



Il commissario alla spending review Carlo Cottarelli (smentito da Renzi) ipotizza prelievi progressivi dal 2 al 15 % sulle pensioni da 2.000 € in su.



Politici e tecnici troppo chiacchieroni?



Rammento, però, che un importante uomo politico della prima repubblica ricordava sem-pre ai propri collaboratori che una smentita è una notizia data due volte.



Tutte queste ipotesi, comunque, prestano il fianco a rilievi di costituzionalità o all’accusa politica di “esproprio proletario” a danno di chi ha lavorato per una vita per mettere da parte una rendita che gli consentisse una dignitosa vecchiaia.



Vorrei ribadire che noi pensionati “abbiamo già dato” e continuiamo a dare, pretendiamo, però, di essere tutelati aspettando che altri contribuiscano allo sviluppo del Paese, e mi riferisco ai cosiddetti poteri forti: banche, fondazioni bancarie, assicurazioni, petrolieri, società immobiliari e attività d’impresa in genere.



Nessuno di noi chiede privilegi chiediamo, solo il rispetto per quanto dato da attivi alla so-cietà e del principio di corrispondenza tra contribuzione versata e prestazione pensioni-stica, in rapporto alle norme vigenti al momento del collocamento in quiescenza.



Le pensioni di reversibilità



La legge Dini 335/95 ha trasformato il diritto alla pensione di reversibilità, diritto matu-rato dopo anni di contribuzione, in una elargizione di tipo assistenziale in funzione del reddito, come le pensioni sociali. Il che, sostengono eminenti giuristi, viola di fatto principi costituzionali fondamentali ai sensi degli articoli 3, 29 e 47 della Carta Costituzionale. Si da il caso che la reversibilità sembra essere nel mirino di questo governo “del cambia-mento” di Matteo Renzi che già nel novembre scorso aveva espresso l’intenzione di ab-battere la pensione a sua nonna Maria, ultraottantenne che con 3.000 € lordi mensili aveva cresciuto ben sei figli, ma che oggi, a dire del buon Matteo, sono troppi.



Questo giovane presidente, bisogna riconoscerlo, è molto simpatico quando in toscano dice che “vol bene alla su nonna”. Lo è certamente molto di meno, anche alla su nonna, quando dice che le vuole diminuire la pensione.



Attualmente vi sono 3, 8 milioni di pensioni di reversibilità di importo medio mensile di 565 € per una spesa di 28 miliardi che diventano 39 se aggiungiamo quelle di chi possiede altre entrate, spesa che Renzi intende abbattere.



Si tratta di un approccio politico approssimativo e pauperista che i nostri governanti, in-distintamente, mostrano: se il coniuge sopravvissuto ha un reddito sufficientemente ele-vato, secondo il ministro di turno, si provvede alla decurtazione tenendo presente non il montante contributivo che ha generato la pensione del coniuge defunto, ma il reddito del superstite.



Rammentiamo, infine, che con il metodo contributivo, come già detto, le pensioni sono meno vantaggiose rispetto a quello retributivo e anche in presenza di importi molto bassi, la legge 335/95 non prevede alcuna integrazione al minimo. E’ indispensabile, quindi, modificare tale norma.



Mi avvio alla conclusione.



Forse mi sono dilungato un po’ troppo, ma i problemi sono davvero tanti!



Sento il dovere di ringraziarvi per l’attenzione e prima di chiudere voglio ringraziare tutti gli amici e colleghi che hanno contribuito all’intensa attività di questo mio primo anno di presidenza: in primo luogo il Past President Dott. Miscetti, sempre presente in sede e sempre pronto a fornire la sua incommensurabile esperienza di 25 anni di presidenza,



Ringrazio tutti gli amici pugliesi ed in particolar modo Nicola Simonetti e Maria Longo, indi-spensabili per l’organizzazione di questo congresso.



Ringrazio tutti gli amici del Direttivo nazionale e tutti i componenti l’Esecutivo ed in partico-lar modo il Vice Presidente Vicario Marco Perelli Ercolini, la Segretaria nazionale Tecla Caroselli, anche coordinatrice della Commissione premi letterari, la Sig.ra Teresa Stardero Gariglio Vice Presidente nazionale, e Mario Defidio, Tesoriere nazionale.



Ringrazio Paolo Quarto per le sue puntuali e preziose consulenze tecniche non solo ai no-stri iscritti, ma anche al Presidente.



Ringrazio la nostra addetta stampa Flavia Marincola per la sua indispensabile collabora-zione anche nella realizzazione della nuova veste grafica e contenutistica della nostra ri-vista”Azione Sanitaria” che ha ottenuto notevole gradimento da parte dei nostri associati. E per ultima, ma non ultima, l’infaticabile Naria Colosi, colonna portante della nostra sede romana, con la collaborazione di Lucilla e Caterina.



Autorità, carissimi ospiti, vi ringrazio ancora per la vostra partecipazione al nostro 51° congresso.



A voi tutti, care delegate e cari delegati che siete il fulcro della nostra Federspev va il mio ringraziamento affettuoso.



E’ merito del vostro quotidiano lavoro a contatto diretto con pensionati e pensionandi del nostro settore se siamo una importante federazione sindacale.



La Federspev siete voi e la Federspev cresce e crescerà insieme a voi.



Non dobbiamo avere paura! Mai!



Così come non abbiamo avuto paura di brandire i nostri bastoni contro il palazzo del po-tere gridando il nostro slogan “ vogliono toglierci il nostro bastone-pensione” in quel bel-lissimo 4 dicembre dello scorso anno.



C’eravamo ieri, ci siamo oggi, ci saremo domani.



Viva la Federspev!



 






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