Home     Scrivimi     Cercadocumenti     Chi è     Link     Login  

Cerca documenti
Cerca:
in:


Documenti
Attualità
Carte deontologiche
CASAGIT
Corte di Strasburgo
Deontologia e privacy
Dibattiti, studi e saggi
Diritto di cronaca
Dispensa telematica per l’esame di giornalista
Editoria-Web
FNSI-Giornalismo dipendente
Giornalismo-Giurisprudenza
  » I fatti della vita
INPGI 1 e 2
Lavoro. Leggi e contratti
Lettere
Ordine giornalisti
Premi
Recensioni
Riforma professione
Scuole di Giornalismo e Università
Sentenze
Storia
Tesi di laurea
TV-Radio
Unione europea - Professioni
  I fatti della vita
Stampa

Corte costituzionale, sentenza 116/2013 (Presidente GALLO - Redattore TESAURO): illegittimi i prelievi del 5, 10 e 15% sulle pensioni (pubbliche e private) superiori a 90mila, 150mila e 200mila euro. Le norme dei Governi Berlusconi e Monti violano il principio dell’uguaglianza e della progressività del sistema tributario. La sentenza è un monito al Governo Letta. Le norme censurate giudicate “un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini". L’intervento riguarda, infatti, i soli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi, divenuta peraltro ancora più evidente, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’analogo prelievo ai danni dei dipendenti pubblici (sentenza n. 223 del 2012). Interessati 930 giornalisti professionisti pensionati INPGI. Nota di Pierluigi Franz: "La restituzione delle somme finora prelevate sarà automatica da parte dell'INPS e degli altri enti previdenziali (INPGI compreso)".


Roma, 5 giuno 2013. La Corte Costituzionale, presieduta dal professor Franco Gallo, ha cancellato oggi i tagli su tutte le pensioni pubbliche e private superiori rispettivamente ai 90 mila, ai 150 mila e ai 200 mila euro lordi l’anno, introdotti nell'estate 2011 dal governo Berlusconi e poi confermati dal governo Monti.I giudici di palazzo della Consulta hanno ritenuto irragionevole e discriminatorio e quindi illegittimo il prelievo (rispettivamente del 5%, 10% e 15%) sui vitalizi di centinaia di magistrati, ambasciatori, docenti universitari, alti funzionari, avvocati dello Stato, dirigenti pubblici, ammiragli, generali, notai, manager pubblici e privati nonché di circa mille giornalisti in pensione. Avranno tutti diritto al rimborso di quanto é stato loro illegittimamente trattenuto per 23 mesi e non dovranno più pagare nulla fino al 31 dicembre 2014. La restituzione sarà automatica da parte dell'INPS e degli altri enti previdenziali (INPGI compreso).  L'Alta Corte, pur dichiarando inammissibile - ma solo per un motivo tecnico - l'intervento adesivo del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati, ne ha sostanzialmente accolto le conclusioni con cui si sollecitava l'incostituzionalità dell'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’articolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 perché tali norme violavano apertamente gli articoli 3 e 53 della Costituzione. Il Gruppo Romano Giornalisti Pensionati ringrazia rispettosamente l'Alta Corte che ancora una volta con equità, buon senso e saggezza ha inteso ristabilire la legalità nel nostro Paese, ribadendo nel contempo dei principi giuridici che il governo Letta e il Parlamento non potranno assolutamente ignorare.


Pierluigi Roesler Franz - Presidente del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati presso l'Associazione Stampa Romana


                                                                     xxxxxxxxxxxx


Roma, 5 giugno 2013. - No ai prelievi di natura fiscale che tocchino i soli pensionati, quand'anche titolari di pensioni d'oro. Lo ha stabilito la Consulta, giudicando incostituzionale un comma del decreto legge 98 del 2011. La norma censurata disponeva un contributo perequativo per le pensioni oltre 90mila euro lordi,  contributo che la Corte Costituzionale considera di natura tributaria e in cui ravvisa "un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini".     A sollevare la questione di legittimità costituzionale di fronte alla Consulta è stata la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, a seguito del ricorso di un magistrato presidente della Corte dei conti in quiescenza dal 21 dicembre 2007 e titolare di pensione superiore a 90mila euro: nel mirino, il comma 22.bis dell'art.18 del decreto-legge 98 emanato il 6 luglio 2011, contenente disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.  La norma censurata disponeva che, dal primo agosto 2011 fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi superassero 90mila euro lordi annui, fossero assoggettati a un contributo di perequazione del 5% della parte eccedente l'importo fino a 150mila euro; pari al 10% per la parte eccedente 150mila euro; e al 15% per la parte eccedente 200mila euro. La Consulta ha giudicato questa norma in contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, rispettivamente sul principio di uguaglianza e sulla progressività del  sistema tributario. "Al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria - si legge nella sentenza della Corte Costituzionale n. 116 depositata oggi, relatore il giudice Giuseppe Tesauro - il legislatore ha imposto ai soli titolari di trattamenti pensionistici, per la medesima finalità, l'ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura, attraverso una ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi".  In sostanza la Corte Costituzionale ha bocciato le modalità di applicazione del contributo di solidarietà a carico delle pensioni più alte, perché discrimina una sola categoria i pensionati - rispetto agli altri titolari di reddito: "L'intervento - si legge in sentenza - riguarda, infatti, i soli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi". C'è quindi un contrasto con il principio della "universalità dell'imposizione" e si determina una "disparità di trattamento"  non tanto "fra dipendenti o fra dipendenti e pensionati o fra pensionati e lavoratori autonomi o imprenditori, quanto piuttosto fra cittadini". I redditi derivanti dai trattamenti pensionistici - specifica ancora la Corte - non hanno natura diversa e inferiore rispetto agli altri redditi.   Nella sentenza la Corte specifica che la disposizione giudicata illegittima "trova applicazione, in relazione alle erogazioni di trattamenti pensionistici obbligatori, sia in favore del personale del pubblico impiego, sia in relazione a tutti gli altri trattamenti corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatori". (ANSA).


 


SENTENZA N. 116  - ANNO 2013


REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE COSTITUZIONALE


composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,


ha pronunciato la seguente  SENTENZA


nei giudizi di legittimità costituzionale dellart. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dallarticolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, lequità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, promossi dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, con ordinanza del 20 luglio 2012, e dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, con due ordinanze del 25 febbraio 2013, rispettivamente iscritte al n. 254 del registro ordinanze 2012 ed ai nn. 55 e 56 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dellanno 2012 e n. 12, prima serie speciale, dellanno 2013.


 


Visti gli atti di costituzione di Bozzi Giuseppe ed altri, dellINPS, nella qualità di successore ex lege dellINPDAP, nonché gli atti di intervento del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati e del Presidente del Consiglio dei ministri;


udito nelludienza pubblica del 7 maggio 2013 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;


uditi gli avvocati Vincenzo Greco per il Gruppo Romano Giornalisti Pensionati, Giovanni C. Sciacca per Bozzi Giuseppe ed altri, Filippo Mangiapane per lINPS, nella qualità di successore ex lege dellINPDAP e lavvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.


 


Ritenuto in fatto


1. La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, in composizione monocratica, con ordinanza del 20 luglio 2012, iscritta al reg. ord. n. 254 del 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 36, 53, 42, terzo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dellarticolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.


1.1. Il rimettente premette che il ricorrente magistrato Presidente della Corte dei conti in quiescenza dal 21 dicembre 2007, titolare di pensione diretta di importo superiore a euro 90.000,00 annui ha chiesto il riconoscimento del proprio diritto di percepire il trattamento pensionistico ordinario, privo delle decurtazioni introdotte dallart. 18, comma 22-bis, del d.l. 6 luglio n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, nonché la condanna dellAmministrazione ai conseguenti pagamenti. La Corte ricorda, inoltre, come a sostegno del ricorso sia stata dedotta lillegittimità costituzionale della citata norma, per violazione degli artt. 2, 3, 24, 36, 41, 42, 53, 97, 100, 101, 108, 111 e 113 Cost.


1.2. In punto di rilevanza, il rimettente assume in primo luogo che il ricorso ha un petitum separato e distinto dalla questione di costituzionalità, sul quale è chiamato, in ragione della propria competenza, a decidere, trattandosi di una domanda tesa ad ottenere il riconoscimento del diritto a conservare il proprio trattamento pensionistico senza le decurtazioni disposte dal citato comma 22-bis. Inoltre, osserva che, laddove non si dubitasse della compatibilità costituzionale della norma, la pretesa dovrebbe senzaltro essere dichiarata infondata, in quanto le decurtazioni stipendiali censurate risultano fissate direttamente ed inderogabilmente dalle «stringenti ed inequivoche disposizioni di legge applicate doverosamente dallamministrazione datrice di lavoro», senza alcuna possibilità di interpretazioni alternative.


1.3. Ciò posto, il giudice a quo osserva che la disposizione impugnata si colloca nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento della spesa pubblica ed alla stabilizzazione finanziaria, in particolare in materia previdenziale, che impone ai pensionati pubblici sacrifici di considerevole entità.


1.4. In primo luogo, secondo la Corte dei conti, la norma in questione si configurerebbe come prestazione patrimoniale imposta, ai sensi dellart. 23 Cost., nonché come prelievo forzoso di natura tributaria, non rispettoso, tuttavia, dei principi di eguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.) correlati a quello di capacità contributiva (art. 53 Cost.).


A suo giudizio, infatti, limposizione del sacrificio economico individuale avrebbe tutte le caratteristiche del prelievo tributario, perché realizzato attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, il cui gettito è destinato al fabbisogno finanziario dello Stato sotto forma di risparmio di spesa (richiama in proposito la sentenza di questa Corte n. 11 del 1995).


Al di là del nomen iuris utilizzato, dunque, si tratterebbe di un prelievo forzoso di somme stipendiali, privo di sinallagmaticità” e destinato a copertura di fabbisogni finanziari indifferenziati dello Stato apparato.


Il rimettente osserva, tuttavia, che tale prestazione graverebbe soltanto su «alcune categorie di pensionati, lasciando inspiegabilmente ed illogicamente indenni tutte le altre categorie dei settori previdenziali privato ed autonomo: categorie tutte caratterizzate dallunitarietà riconducibile al principio costituzionale di tutela dei pensionati». Non si tratterebbe di una mera rideterminazione o raffreddamento dei livelli previdenziali pubblici, in astratto possibile essendo acquisito il principio della possibilità di una disciplina differenziata del rapporto previdenziale pubblico rispetto a quello privato, ma di una vera e propria imposta, gravante non su tutti i pensionati, ma esclusivamente su quelli pubblici.


Tale disciplina si porrebbe in contrasto con il principio solidaristico di cui allart. 2 Cost., coordinato con i principi di eguaglianza, parità di trattamento e capacità contributiva (artt. 3 e 53 Cost.).


Il rimettente ricorda in proposito che la giurisprudenza di questa Corte, su analoga questione relativa alla manovra di bilancio approntata con il decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438 (ordinanze n. 341 del 2000 e n. 299 del 1999), aveva precisato che il sacrificio economico richiesto dal provvedimento legislativo deve avere carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario e consentaneo allo scopo prefisso, sicchè non solo deve essere limitato ad un ristretto periodo di tempo, ma deve anche essere razionalmente ripartito fra categorie diverse di cittadini.


La norma impugnata avrebbe violato, pertanto, i parametri costituzionali invocati (artt. 3, 36 e 53 Cost.) non solo sotto il profilo della sproporzione ed irrazionalità della misura, ma anche specificamente sotto il profilo della disparità di trattamento, in quanto non sarebbero state colpite le altre categorie di pensionati, pur se percettori di elevati trattamenti, e i contribuenti in generale titolari degli stessi redditi.


Il prelievo in questione, in definitiva, non solo non sarebbe idoneo a garantire risparmi di spesa o introiti tali da realizzare significativamente lobiettivo di stabilizzazione della finanza pubblica, ma si presenterebbe come irrazionale e discriminatorio, essendo diretto a colpire una limitata categoria di soggetti, anzichè la collettività nel suo insieme, nel rispetto del principio di proporzionalità, in violazione quindi sia del principio solidaristico, che di quello di uguaglianza e di assoggettamento al prelievo fiscale in proporzione alla capacità retributiva.


Richiamando, poi, testualmente precedenti ordinanze di rimessione di altri giudici, il rimettente afferma che il legislatore avrebbe «inspiegabilmente ed ingiustificatamente aumentato gli squilibri, trascurando del tutto di colpire le ricchezze evase al fisco e persino gli introiti derivanti da rendite ben conosciute (quali le rendite catastali e finanziarie), per concentrarsi su una fascia specifica di pensionati, colpevoli unicamente di appartenere al settore pubblico e di avere redditi facilmente accertabili ed ancora più facilmente attaccabili”».


1.5. La norma censurata infine, secondo il giudice a quo, si porrebbe anche in contrasto con gli artt. 42, terzo comma, e 97, primo comma, Cost., in quanto realizzerebbe per via legislativa un intervento ablatorio della proprietà, colpendo una determinata categoria di soggetti, in assenza di previa valutazione degli interessi coinvolti e senza che sia prevista la corresponsione di unindennità di ristoro, in quanto, «laccurato esame degli interessi in gioco e la ponderata decisione della misura e delle modalità del sacrificio secondo il principio costituzionale di buon andamento (art. 97 Cost.) non può non valere anche per il legislatore-amministratore».


2. È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per linfondatezza della questione.


La manovra di finanza pubblica oggi censurata sarebbe, a suo giudizio, intervenuta in maniera non dissimile dalla manovra del 1993 (art. 7 del d.l. n. 384 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 438 del 1992), rispetto alla quale la Corte costituzionale aveva dichiarato analoghe questioni manifestamente infondate (ordinanza n. 299 del 1990). In quelle occasioni questa Corte aveva affermato che norme di tale natura non si ponevano in contrasto con lart. 3 Cost., in quanto intervenute «in un momento assai delicato per la vita economico-finanziaria del paese».


Inoltre, a sostegno dellinfondatezza della questione, lAvvocatura dello Stato ricorda altresì che anche la sentenza n. 223 del 2012 ha ribadito la possibilità dellutilizzo necessario da parte del legislatore di strumenti eccezionali in situazioni di difficoltà economica, «nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti i cittadini necessitano».


Ciò posto, in questo caso la norma impugnata non si porrebbe in contrasto con lart. 3 Cost., giacché si tratterebbe di un intervento che non limita la platea dei soggetti passivi ai soli pensionati pubblici, ma si rivolge a tutti i percettori di trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, e quindi anche ai già dipendenti del settore privato ed alle gestioni pensionistiche dei lavoratori autonomi.


Inoltre, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, anche in riferimento allart. 53 Cost. lintervento censurato sarebbe pienamente rispettoso dei criteri di capacità contributiva e di progressività.


Infine, viene contestata la questione sollevata con riferimento allart. 42 Cost., in quanto, trattandosi di materia tributaria, non sarebbe concepibile alcun indennizzo come ristoro per un prelievo fiscale.


Da ultimo, lAvvocatura dello Stato rileva che limpatto sulla finanza pubblica della normativa censurata, alla luce delle relazioni tecniche presentate in Parlamento nel corso delliter di conversione del d.l. n. 98 del 2011, viene stimato in circa 26 milioni di euro per anno.


3. Nel giudizio si è costituito lINPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale), successore ex lege dellINPDAP (Istituto Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Dipendenti dellAmministrazione Pubblica), ai sensi dellart. 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, lequità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, eccependo in via pregiudiziale linammissibilità della questione per carenza di giurisdizione del giudice rimettente.


Secondo lente previdenziale, poiché il prelievo previsto dal citato art. 18, comma 22-bis, alla luce della costante giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 421 del 1995, n. 11 del 1995, n. 63 del 1990 e n. 146 del 1972) ha natura di prestazione patrimoniale imposta, la giurisdizione sarebbe riservata in via esclusiva alle Commissioni tributarie (sentenza della Corte di cassazione civile, sezioni unite, 27 ottobre 2011, n. 22381). La circostanza secondo la quale il prelievo fiscale operato dal sostituto dimposta determinerebbe una materiale riduzione dellimporto erogato al pensionato, non sarebbe infatti idonea allindividuazione della giurisdizione in capo al Giudice delle pensioni, poiché il trattamento oggetto di prelievo forzoso rimarrebbe integro «tal quale determinato dallEnte previdenziale, senza alcuna modificazione delle poste contabili già individuate».


3.1. Nel merito, la parte costituita ritiene la questione infondata, in primo luogo con riferimento allart. 3 Cost., in quanto la disposizione in esame riguarderebbe lintera platea dei titolari di trattamenti pensionistici, ivi compresi quelli integrativi, senza lasserita esclusione degli ordinamenti previdenziali privato ed autonomo. Tale assunto sarebbe, poi, dimostrato dalle modalità applicative seguite dallINPDAP prima, dallINPS e dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, poi, i quali hanno emanato apposite circolari al fine di regolare le modalità concrete per disporre il prelievo.


Neppure sarebbe sussistente, secondo lINPS, una discriminazione rispetto alla generalità dei consociati, in quanto secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la formulazione dellart. 53 Cost. andrebbe valutata in termini non assoluti, ma relativi, imponendo di interpretare il principio delluniversalità dellimposizione in necessario coordinamento con il principio solidaristico e di uguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost., essendo ben possibile lintroduzione, per singole categorie di cittadini, di specifici tributi, purché nei limiti della ragionevolezza.


Infine, quanto alla questione relativa alla violazione del principio della espropriabilità della proprietà privata, salva corresponsione di un indennizzo, ai sensi dellart. 42, terzo comma, Cost., il dubbio sarebbe infondato, in quanto la speciale ablazione della proprietà privata, ordinata al fine del concorso dei consociati alle pubbliche spese di cui allart. 53 Cost., non prevede, né potrebbe prevedere, alcun indennizzo.


4. Con le due ordinanze, di identico tenore ed entrambe depositate in data 25 febbraio 2013, iscritte rispettivamente al registro ordinanze con i nn. 55 e 56 del 2013, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 53, Cost., questioni di legittimità costituzionale dellart. 18, comma 22-bis, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011.


4.1. Il rimettente premette che i ricorrenti tutti magistrati ordinari, magistrati della Corte dei conti, magistrati militari titolari di pensione ordinaria diretta, ovvero aventi causa da magistrati della Corte dei conti e da magistrati amministrativi hanno proposto ricorso avverso il trattamento pensionistico loro attribuito a partire dal mese di agosto 2011, nella parte in cui è assoggettato al contributo di perequazione previsto dal comma 22-bis dellart. 18 del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, come reintrodotto dallart. 2, comma l, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, nelle percentuali ivi stabilite, come risultanti dalle rispettive certificazioni CUD per lanno 2011.


Nellordinanza iscritta al reg. ord. n. 55 del 2013, si afferma che i ricorrenti hanno chiesto, altresì, la corresponsione della mancata rivalutazione automatica del loro trattamento pensionistico in applicazione del comma 25 dellart. 24 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011.


Tutti i ricorrenti hanno chiesto, dunque, la corresponsione del proprio trattamento pensionistico senza assoggettamento al predetto contributo di perequazione e con conseguente condanna alla restituzione di quanto trattenuto per tali titoli, con rivalutazione monetaria e interessi sino al soddisfo.


 


4.2. In particolare, i ricorrenti hanno chiesto alla Corte dei conti, nel giudizio di cui allordinanza iscritta al reg. ord. n. 55 del 2013, di rimettere alla Corte costituzionale le questioni di costituzionalità: A) del comma 22-bis dellart. 18. del d.l. n. 98 del 2011, per contrasto con gli artt. 2, 3, 53, 23 e 97 Cost.; B) del comma 25 dellart. 24 del d.l. n. 20l del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, per contrasto con gli artt. 3, 53, 97, 36 e 38 Cost.


Quanto alla questione di legittimità costituzionale di cui al punto B), il giudice a quo, ancorché rilevante, la riteneva manifestamente infondata con separato provvedimento.


4.3. Nel giudizio di cui allordinanza iscritta al reg. ord. n. 56 del 2013, i ricorrenti hanno chiesto alla Corte dei conti, di rimettere alla Corte costituzionale le questioni di legittimità costituzionale: A) del comma 22-bis dellart. 18 del d.l. n. 98 del 2011, per contrasto con gli artt. 2, 3, 53, 23 e 97 Cost.; B) dellart. 2, commi l e 2, del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011; C) dellart. l, commi l e 5, della legge 6 luglio 2012, n. 96 (Norme in materia di riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e dei movimenti politici, nonché misure per garantire la trasparenza e i controlli dei rendiconti dei medesimi. Delega al Governo per ladozione di un testo unico delle leggi concernenti il finanziamento dei partiti e dei movimenti politici e per larmonizzazione del regime relativo alle detrazioni fiscali).


La Corte riteneva irrilevante la questione sub B) e manifestamente infondata quella sub C).


4.4. Ciò posto, il giudice a quo dopo aver osservato, in punto di rilevanza, di trovarsi nellimpossibilità di poter definire il giudizio indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale in ordine alla specifica eccezione sollevata dalla resistente INPS, quale successore ex lege dellINPDAP, afferma la propria giurisdizione sulle domande avanzate.


 


Secondo il rimettente, la giurisdizione della Corte dei conti in materia di pensioni ha carattere esclusivo, in quanto affidata al criterio di collegamento costituito dalla materia. In essa sono, dunque, comprese tutte le controversie in cui il rapporto pensionistico costituisca elemento identificativo del petitum sostanziale ovvero sia comunque in questione la misura della prestazione previdenziale.


La circostanza che il contributo di perequazione sia previsto da una norma di natura tributaria non trasformerebbe il rapporto tra enti gestori di forme di previdenza obbligatorie e beneficiari dei relativi trattamenti pensionistici in un rapporto tributario.


Nella fattispecie tale rapporto, al quale è estranea lAmministrazione finanziaria coerentemente non evocata in giudizio non riguarderebbe una contestazione diretta della debenza allErario della somma trattenuta, ovvero un rapporto tributario tra contribuente ed Amministrazione. Le controversie relative allindebito pagamento dei tributi seguirebbero, infatti, la regola della devoluzione alla giurisdizione speciale del giudice tributario soltanto allorchè si debba impugnare uno degli atti previsti dallart. 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nellart. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) e il convenuto in senso formale sia uno dei soggetti indicati nellart. 10 di tale decreto legislativo. Quando la controversia si svolga tra due soggetti privati in assenza di un provvedimento impugnabile soltanto dinanzi al giudice tributario, il giudice ordinario, quindi, si riapproprierebbe della giurisdizione, non rilevando che la composizione della lite necessiti della interpretazione di una norma tributaria.


4.5. Quanto alle questioni sub A), il rimettente, con ordinanze identiche quanto a motivazione, premette che questa Corte ha espressamente riconosciuto la natura tributaria della misura in questione. In particolare, viene ricordato che la sentenza n. 241 del 2012 ha affermato che il contributo di perequazione di cui comma 22-bis dellart. 18 del d.l. n. 98 del 2011 «ha natura certamente tributaria, in quanto costituisce un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici [] nella parte dichiarata illegittima da questa Corte con la sentenza n. 223 del 2012 e la cui natura tributaria è stata espressamente riconosciuta dalla medesima sentenza». La norma impugnata, infatti, integrerebbe una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare, che presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza della Corte per caratterizzare il prelievo come tributario, ovvero, indipendentemente dal nomen iuris attribuitole dal legislatore, quelli di un prelievo coattivo finalizzato al concorso delle pubbliche spese, posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva che deve esprimere lidoneità di tale soggetto allobbligazione tributaria.


Il giudice a quo, inoltre, dopo aver richiamato i principi enucleati nella sentenza n. 223 del 2012, assume che limpugnato art. 18, comma 22-bis, del d.l. n. 98 del 2011 si pone in contrasto con gli articoli 3 e 53 Cost.


In primo luogo, infatti, a parità di reddito con la categoria dei lavoratori (pubblici o privati), il prelievo sarebbe ingiustificatamente posto a carico della sola categoria dei pensionati degli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, con conseguente irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi. Il legislatore, affrontando leccezionale situazione economica avrebbe utilizzato uno strumento eccezionale, senza tuttavia garantire il rispetto dei principi fondamentali dellordinamento costituzionale e, in particolare, del principio di uguaglianza (come specificato dalla citata sentenza n. 223 del 2012, che ha dichiarato lillegittimità costituzionale dellarticolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122).


Peraltro, la norma censurata si porrebbe in contrasto con gli articoli artt. 2, 3 e 53 Cost. anche in quanto lo speciale prelievo di solidarietà si imporrebbe nei confronti dei soli magistrati in pensione, come conseguenza indotta dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dellanalogo prelievo scrutinato dalla sentenza n. 223 del 2012. Conseguentemente, il principio di uguaglianza in relazione alla capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost. sarebbe ulteriormente vulnerato, nella specie, in quanto la suddetta categoria di pensionati verrebbe «colpita in misura maggiore rispetto ai titolari di altri redditi e, più specificamente, di redditi da lavoro dipendente» (in analogia con quanto deciso dalla sentenza n. 119 del 1981).


La Corte rimettente, inoltre, assume quale ulteriore motivo di censura anche la stessa entità del contributo di perequazione, posto in comparazione con quello previsto dallart. 2, comma 2, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011. Sarebbe, infatti, irragionevole ed ingiustificato che con riferimento a interventi di solidarietà connotati da sostanziale identità di ratio i contribuenti titolari di un reddito complessivo superiore a 300.000 euro siano tenuti al versamento di un contributo di solidarietà del 3% sulla parte di reddito che eccede il predetto importo, qualunque siano le componenti del loro reddito complessivo, compresi i redditi pensionistici, mentre i ricorrenti siano tenuti (per far fronte alla medesima eccezionale situazione economica) ad un prelievo maggiore. Sintomatico sarebbe peraltro che, oltre la soglia di reddito di 300.000 euro lordi annui, a parità di reddito, luna categoria (tendenzialmente universale) subisce unimposizione del 3%, laltra (circoscritta ai soli pensionati titolari di trattamenti di quiescenza corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria) unimposizione del 15%, in violazione dei canoni costituzionali delleguaglianza e della ragionevolezza stabiliti dallart. 3 Cost., nonché del canone della capacità contributiva e del criterio di progressività delle imposte sanciti dallart. 53 Cost.


Secondo la Corte dei conti, quindi, qualora la norma impugnata non venisse espunta dallordinamento giuridico, determinerebbe un ulteriore profilo di irrazionalità complessiva del sistema delle imposte speciali, inducendo un correlato irragionevole effetto discriminatorio, tenuto conto che lo stesso contributo di solidarietà di cui citato art. 2, comma 2, del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, non si applica sui redditi di cui allarticolo 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, con conseguente «irragionevole ed arbitrario disallineamento normativo derivante dallasimmetricità nel meccanismo impositivo del contributo di solidarietà».


5. Anche in tali giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, ribadendo le argomentazioni svolte nellaltro giudizio, in particolare con riferimento alla legittimità di manovre di bilancio poste in essere «in un momento assai delicato per la vita economico-finanziaria del paese» ed alla conseguente infondatezza delle questioni, non trattandosi di un intervento che limita la platea dei soggetti passivi ai soli pensionati pubblici, in quanto si rivolge a tutti i percettori di trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie. Non rileverebbe, infatti, la qualificazione pubblicistica o privatistica del rapporto di lavoro, ma unicamente la natura del trattamento, come sarebbe dimostrato, peraltro, dalla circolare INPS n. 109 del 2011, la quale espressamente dispone che, ai fini dellindividuazione dei soggetti per i quali opera il contributo, devono essere presi in considerazione tutti i trattamenti pensionistici obbligatori e i trattamenti pensionistici integrativi e complementari, sia erogati dallINPS che da enti diversi dallINPS.


Inoltre, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, anche in riferimento allart. 53 Cost. lintervento censurato sarebbe pienamente rispettoso dei criteri di capacità contributiva e di progressività.


6. Anche in questi giudizi si è costituito lINPS, con atto di tenore identico a quello relativo al giudizio iscritto al reg. ord. n. 254 del 2012.


7. Nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 55 del 2013, si sono costituite le parti private ricorrenti nel giudizio a quo, che hanno ripercorso pedissequamente le motivazioni dellordinanza di rimessione, sostenendo che, alla luce della natura di prestazione imposta del prelievo, la norma censurata sarebbe illegittima perché in contrasto con il principio di uguaglianza tributaria e di capacità contributiva nonché con il principio solidaristico, essendo una misura che colpirebbe soltanto la categoria dei pensionati, anche in considerazione dellintervenuta pronuncia di illegittimità costituzionale relativa al contributo di cui allart. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010. A giudizio dei ricorrenti, le motivazioni adottate dalla Corte con riferimento a quella norma sarebbero applicabili anche al caso di specie, tenuto conto della pacifica natura di retribuzione differita da attribuire alle pensioni (citano in proposito la sentenza n. 30 del 2004).


8. Nel medesimo giudizio è intervenuto il Gruppo Romano Giornalisti Pensionati, il quale, premesso di essere unassociazione, senza fini di lucro, che intende tutelare i suoi circa 300 soci che hanno subito le decurtazioni pensionistiche, tramite lINPGI, fra i quali 4 dei 12 che compongono lattuale consiglio direttivo, e di poter essere dunque annoverato fra gli enti esponenziali di interessi diffusi, conclude per laccoglimento delle questioni, precisando, quanto allordinanza n. 254 del 2012, che il tertium comparationis non potrebbe essere individuato nei pensionato privati, alla luce del tenore letterale della disposizione.


 


Considerato in diritto


1. Sono sottoposte allesame della Corte questioni di legittimità costituzionale dellarticolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nel testo successivamente modificato dallarticolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, lequità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sollevate dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania e per la Regione Lazio, con tre ordinanze depositate rispettivamente il 20 luglio 2012 ed il 22 febbraio 2013, iscritte al reg. ord. n. 254 del 2012 e nn. 55 e 56 del 203.


2. Secondo la Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Campania (ordinanza iscritta al reg. ord. n. 254 del 2012), la norma censurata, disponendo che, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi complessivamente superino 90.000 euro lordi annui, sono assoggettati ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché pari al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro, si porrebbe in contrasto con gli articoli 2, 3, 36 e 53, della Costituzione in quanto tale prelievo, avendo natura tributaria perché realizzato attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, con destinazione del gettito al fabbisogno finanziario dello Stato , sarebbe operato in violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza, correlati a quello di capacità contributiva. Lintervento censurato, in primo luogo, colpirebbe la sola categoria dei pensionati pubblici, «lasciando inspiegabilmente ed illogicamente indenni tutte le altre categorie dei settori previdenziali privato ed autonomo: categorie tutte caratterizzate dallunitarietà riconducibile al principio costituzionale di tutela dei pensionati»; in secondo luogo, analoga misura non sarebbe prevista per i contribuenti in generale, titolari degli stessi redditi.


A giudizio della Corte campana, poi, la disciplina in esame recherebbe vulnus anche agli artt. 42, terzo comma, e 97, primo comma, Cost., poichè realizzerebbe per via legislativa un intervento ablatorio della proprietà, colpendo una determinata categoria di soggetti, in assenza di previa valutazione degli interessi coinvolti e senza che sia prevista la corresponsione di unindennità di ristoro, in quanto «laccurato esame degli interessi in gioco e la ponderata decisione della misura e delle modalità del sacrificio secondo il principio costituzionale di buon andamento (art. 97 Cost.) non può non valere anche per il legislatore-amministratore».


2.1. Le ordinanze iscritte al reg. ord. nn. 55 e 56 del 2013, di identico tenore ed entrambe emesse dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Lazio, assumono che la norma impugnata violerebbe gli artt. 2, 3 e 53 Cost., poichè, come precisato anche dalla sentenza n. 241 del 2012 di questa Corte, pur avendo il «contributo di perequazione» natura «certamente tributaria, in quanto costituisce un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici [] nella parte dichiarata illegittima dalla Corte con la sentenza n. 223 del 2012», e pur essendo stato adottato in una eccezionale situazione economica, non garantirebbe il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito con la categoria dei lavoratori (pubblici o privati), essendo ingiustificatamente posto a carico della sola categoria dei pensionati degli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, con conseguente irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi.


Il contributo in questione sarebbe stato adottato, poi, in violazione del principio di uguaglianza in relazione alla capacità contributiva, perché imposto nei confronti dei soli magistrati in pensione, categoria «colpita in misura maggiore rispetto ai titolari di altri redditi e, più specificamente, di redditi da lavoro dipendente», come conseguenza indotta dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dellanalogo prelievo dichiarato illegittimo dalla sentenza n. 223 del 2012.


Inoltre, posto in comparazione con il contributo previsto dallart. 2, comma 2, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, il prelievo sarebbe palesemente irragionevole ed ingiustificato, perché con riferimento a interventi di solidarietà connotati da sostanziale identità di ratio i contribuenti titolari di un reddito complessivo superiore a 300.000 euro sarebbero tenuti al versamento di un contributo di solidarietà del 3% sulla parte di reddito che eccede il predetto importo, qualunque siano le componenti del loro reddito complessivo, compresi redditi pensionistici, mentre i ricorrenti nei giudizi principali, sarebbero tenuti (per far fronte alla medesima eccezionale situazione economica) ad un prelievo maggiore, in violazione non solo dei canoni costituzionali delleguaglianza e della ragionevolezza, ma anche di quelli della capacità contributiva e del criterio di progressività delle imposte.


Infine, la disposizione in esame determinerebbe, a giudizio dei rimettenti, un irragionevole effetto discriminatorio, in quanto lo stesso contributo di solidarietà di cui al citato art. 2, comma 2, del d.l. n. 138 del 2011, non trova applicazione sui redditi di cui allarticolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, con conseguente «irragionevole ed arbitrario disallineamento normativo derivante dallasimmetricità nel meccanismo impositivo del contributo di solidarietà».


3. Tutte le ordinanze hanno ad oggetto la stessa norma, censurata con argomentazioni in larga misura coincidenti, e, quindi, va disposta la riunione dei giudizi, ai fini di ununica trattazione e di ununica pronuncia.


4. Preliminarmente, va confermata lordinanza letta nella pubblica udienza del 7 maggio 2013, che ha dichiarato inammissibile lintervento spiegato nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 55 del 2013 dal Gruppo Romano Giornalisti Pensionati. Lintervento di soggetti estranei al giudizio principale è ammissibile soltanto per i terzi titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex plurimis: ordinanza letta alludienza del 23 ottobre 2012, confermata con la sentenza n. 272 del 2012; ordinanza letta alludienza del 23 marzo 2010, confermata con la sentenza n. 138 del 2010; ordinanza letta alludienza del 31 marzo 2009, confermata con la sentenza n. 151 del 2009; sentenze n. 94 del 2009, n. 96 del 2008 e n. 245 del 2007).


Nel giudizio, da cui traggono origine le questioni di legittimità costituzionale, i rapporti sostanziali dedotti in causa riguardano profili che possono riguardare le posizioni previdenziali dei soci dellente intervenuto, ma non concernono direttamente prerogative o diritti dei medesimi, con conseguente inammissibilità dellintervento.


5. Ancora in via preliminare, va respinta leccezione, sollevata dallINPS, di inammissibilità della questione, sotto il profilo che la giurisdizione spetterebbe non al rimettente, ma al giudice tributario.


In considerazione dellautonomia del giudizio incidentale di costituzionalità rispetto a quello principale, questa Corte ha costantemente affermato che il difetto di giurisdizione può rilevare soltanto nei casi in cui appaia macroscopico, così che nessun dubbio possa aversi sulla sua sussistenza; non anche quando il rimettente abbia motivato in maniera non implausibile in ordine alla sua giurisdizione (da ultimo sentenze n. 279 del 2012 e n. 241 del 2008). Nella specie, i rimettenti, in particolare nelle ordinanze n. 55 e n. 56 del 2013, sulla specifica eccezione sollevata dalla parte costituita in quel giudizio, hanno affermato la propria giurisdizione sulla base di motivazioni del tutto plausibili. A loro giudizio, la natura tributaria della norma che prevede il contributo di perequazione non trasforma il rapporto tra enti gestori di forme di previdenza obbligatorie e beneficiari dei relativi trattamenti pensionistici in un rapporto tributario, in quanto la devoluzione alla giurisdizione speciale del giudice tributario presuppone che sia impugnato uno degli atti previsti dallart. 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nellart. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) e che il convenuto in senso formale sia uno dei soggetti indicati nellart. 10 di tale decreto legislativo.


A fronte di siffatta espressa statuizione, il sindacato di questa Corte non può che arrestarsi, attesa la non implausibilità di una simile motivazione, peraltro in linea con i principi espressi dalle sezioni unite della Corte di cassazione, in sede di regolamento di giurisdizione, richiamati dalle ordinanze di rimessione.


6.– La questione sollevata in riferimento agli articoli 3 e 53 Cost. è fondata.


7. La norma censurata si inserisce nellambito del d.l. n. 98 del 2011, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, emanato nel quadro di una più articolata manovra di stabilizzazione che ha avuto inizio con il d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, sviluppatasi in seguito attraverso altri interventi, contenuti nel d.l. n. 138 del 2011. In tali manovre sono state contemplate, per quanto attiene specificamente alle situazioni evocate dalle ordinanze in esame, misure dirette a perseguire un generale raffreddamento delle dinamiche retributive del pubblico impiego, oltre a interventi temporanei di riduzione delle retribuzioni e ad interventi di solidarietà”, variamente articolati, quanto a diverse categorie di cittadini, posti a carico sia del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni, sia della generalità di cittadini.


Per quanto qui interessa, con riferimento alla norma censurata, questa Corte ha ricostruito la portata dellattuale formulazione e dellattuale vigenza della disposizione. La legge 14 settembre 2011, n. 148, nel non convertire in legge loriginaria formulazione del comma 1 dellart. 2 del d.l. n. 138 del 2011 (che aveva abrogato il comma 22-bis dellart. 18 del d.l. n. 98 del 2011), ha sostituito, come già osservato nella sentenza n. 241 del 2012, il comma non convertito con una disposizione che si è limitata a riaffermare la perdurante efficacia del comma 22-bis dellart. 18 del d.l. n. 98 del 2011 («le disposizioni di cui agli articoli [] 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, continuano ad applicarsi nei termini ivi previsti rispettivamente dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 e dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014»). Conseguentemente, con la mancata conversione, la stessa abrogazione è venuta meno, con effetto retroattivo, ai sensi dellart. 77, terzo comma, Cost., cosí da determinare la reviviscenza del comma 22-bis abrogato dal decreto non convertito.


7.1. Va altresì osservato che, alla luce del chiaro tenore letterale, la disposizione trova applicazione, in relazione alle erogazioni di trattamenti pensionistici obbligatoria, sia in favore del personale del pubblico impiego, sia in relazione a tutti gli altri trattamenti corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatori, ivi incluse le forme pensionistiche che garantiscono prestazioni in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio (comprese quelle di cui al decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 563, recante «Attuazione della delega conferita dallarticolo 2, comma 23, lettera b), della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di trattamenti pensionistici, erogati dalle forme pensionistiche diverse da quelle dellassicurazione generale obbligatoria, del personale degli enti che svolgono le loro attività nelle materie di cui allart. 1 del D.Lgs.C.P.S. 17 luglio 1947, n. 691», al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, recante «Disposizioni sulla previdenza degli enti pubblici creditizi», al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, recante «Disciplina delle forme pensionistiche complementari»), nonché i trattamenti che assicurano prestazioni definite dei dipendenti delle regioni a statuto speciale e degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), e successive modificazioni.


7.2. Questa Corte ha già espressamente qualificato lintervento di perequazione in questione come avente natura tributaria, non solo allorché si è occupata, dichiarandone lillegittimità costituzionale, dellanalogo intervento di cui allart. 9, comma 2 del decreto-legge n. 78 del 2010 (sentenza n. 223 del 2012), ma anche e soprattutto allorchè ha esaminato la stessa norma oggi impugnata, con la citata sentenza n. 241 del 2012. In tale pronuncia è stato affermato che «il contributo oggetto di censura è previsto a carico dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie ed ha natura certamente tributaria, in quanto costituisce un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici (sopra descritto al punto 7.3.) previsto dallo stesso comma 1 nella parte dichiarata illegittima da questa Corte con la suddetta sentenza n. 223 del 2012 e la cui natura tributaria è stata espressamente riconosciuta dalla medesima sentenza. La norma impugnata, infatti, integra una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare, che presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per caratterizzare il prelievo come tributario (ex plurimis, sentenze n. 223 del 2012; n. 141 del 2009; n. 335, n. 102 e n. 64 del 2008; n. 334 del 2006; n. 73 del 2005)».


Nella specie, la Corte ribadisce la natura tributaria della norma impugnata, e pertanto la correttezza della premessa interpretativa che ha condotto i rimettenti ad impugnare la norma per violazione degli artt. 3 e 53 Cost.


7.3. Le principali censure dei rimettenti individuano nella misura in questione un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini. Lintervento riguarda, infatti, i soli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi, divenuta peraltro ancora più evidente, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale dellanalogo prelievo di cui al comma 2 dellart. 9 del d.l. n. 78 del 2010 (sentenza n. 223 del 2012).


Così correttamente individuato il rapporto di comparazione fra soggetti titolari di trattamenti pensionistici erogati da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie e tutti gli altri titolari di redditi, anche e non solo da lavoro dipendente, come reso palese nelle ordinanze nn. 54 e 55 del 2013, la questione, come con la pronuncia n. 223 del 2012, va scrutinata in riferimento al contrasto con il principio della universalità della imposizione ed alla irragionevolezza della sua deroga, avendo riguardo, quindi, non tanto alla disparità di trattamento fra dipendenti o fra dipendenti e pensionati o fra pensionati e lavoratori autonomi od imprenditori, quanto piuttosto a quella fra cittadini.


Va infatti, al riguardo, precisato che i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dellosservanza dellart. 53 Cost., il quale non consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro. Questa Corte ha, anzi, sottolineato (sentenze n. 30 del 2004, n. 409 del 1995, n. 96 del 1991) la particolare tutela che il nostro ordinamento riconosce ai trattamenti pensionistici, che costituiscono, nei diversi sistemi che la legislazione contempla, il perfezionamento della fattispecie previdenziale conseguente ai requisiti anagrafici e contributivi richiesti.


A fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla necessità di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici: il contributo di solidarietà si applica su soglie inferiori e con aliquote superiori, mentre per tutti gli altri cittadini la misura è ai redditi oltre 300.000 euro lordi annui, con unaliquota del 3 per cento, salva in questo caso la deducibilità dal reddito.


La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che «la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile raccordo con la capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)» (sentenza n. 341 del 2000). Il controllo della Corte in ordine alla lesione dei principi di cui allart. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui allart. 3 Cost., non può, quindi, che essere ricondotto ad un «giudizio sulluso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dellimposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dellentità dellimposizione» (sentenza n. 111 del 1997).


In relazione agli interventi di stabilizzazione della finanza pubblica, nel cui contesto si colloca la disposizione in esame, questa Corte ha evidenziato la sostanziale coincidenza dei prelievi tributari posti in comparazione, ritenendo irragionevole il diverso trattamento fra dipendenti pubblici e contribuenti in generale (sentenza n. 223 del 2012).


Anche in questo caso, è necessario analogamente rilevare lidentità di ratio della norma oggi censurata rispetto sia allanaloga disposizione già dichiarata illegittima, sia al contributo di solidarietà (lart. 2 del d.l. n. 138 del 2011) del 3 per cento sui redditi annui superiori a 300.000 euro, questultimo assunto anche quale tertium comparationis.


Al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha imposto ai soli titolari di trattamenti pensionistici, per la medesima finalità, lulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura, attraverso una ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi.


Va pertanto ribadito, anche questa volta, quanto già affermato nella citata sentenza n. 223 del 2012, e cioè che tale sostanziale identità di ratio dei differenti interventi di solidarietà”, determina un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarietà del diverso trattamento riservato alla categoria colpita, «foriero peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando diversamente un universale intervento impositivo». Se da un lato leccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è suscettibile di consentire il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini necessitano, dallaltro ciò non può e non deve determinare ancora una volta unobliterazione dei fondamentali canoni di uguaglianza, sui quali si fonda lordinamento costituzionale.


Nel caso di specie, peraltro, il giudizio di irragionevolezza dellintervento settoriale appare ancor più palese, laddove si consideri che la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita (fra le altre sentenza n. 30 del 2004, ordinanza n. 166 del 2006); sicché il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con più evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro.


Va, quindi, pronunciata lillegittimità costituzionale dellart. 18, comma 22-bis, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, come modificato dallart. 24, comma 31-bis, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011.


per questi motivi


LA CORTE COSTITUZIONALE


riuniti i giudizi,


dichiara lillegittimità costituzionale dellarticolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dallarticolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, lequità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.


Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013.


 


F.to:


Franco GALLO, Presidente


Giuseppe TESAURO, Redattore


Gabriella MELATTI, Cancelliere


Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2013.


Il Direttore della Cancelleria


F.to: Gabriella MELATTI


Allegato:


ordinanza letta all'udienza del 7 maggio 2013


ORDINANZA


Visti gli atti relativi al giudizio di legittimità costituzionale introdotto con ordinanza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, depositata il 25 febbraio 2013 (n. 55 Reg. ordinanze 2013);


rilevato che in detto giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Gruppo Romano Giornalisti Pensionati, associazione, senza fini di lucro, che intende con tale atto tutelare i suoi soci che hanno subito le decurtazioni pensionistiche, tramite l'INPGI;


che l'ente in questione non è stato parte nel giudizio a quo;


che, per costante giurisprudenza di questa Corte, sono ammessi a intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale (oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale), le sole parti del giudizio principale, mentre l'intervento di soggetti estranei a questo è ammissibile soltanto per i terzi titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto ed immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex plurimis: ordinanza letta all'udienza del 23 marzo 2010, confermata con sentenza n. 138 del 2010; ordinanza letta all'udienza del 31 marzo 2009, confermata con sentenza n. 151 del 2009; sentenze n. 94 del 2009, n. 96 del 2008, n. 245 del 2007);


che, nel giudizio da cui traggono origine le questioni di legittimità costituzionale in discussione, i rapporti sostanziali dedotti in causa concernono profili che possono anche riguardare le posizioni previdenziali dei soci dell'ente intervenuto, ma non concernono direttamente prerogative o diritti dei medesimi;


che l'ammissibilità d'interventi ad opera di terzi, titolari di interessi soltanto analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale, contrasterebbe con il carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto l'accesso delle parti al detto giudizio avverrebbe senza la previa verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione da parte del giudice a quo;


che, pertanto, l'intervento spiegato nel giudizio di legittimità costituzionale sopra indicato deve essere dichiarato inammissibile.


per questi motivi


LA CORTE COSTITUZIONALE


dichiara inammissibile l'intervento spiegato dal Gruppo Romano Giornalisti Pensionati nel giudizio di legittimità costituzionale R.O. n. 55 del 2013.


F.to: Franco Gallo, Presidente


 


 





Editore/proprietario/direttore: Francesco Abruzzo - via XXIV Maggio 1 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) - telefono-fax 022484456 - cell. 3461454018
---------------------------------
Decreto legge n. 63/2012 convertito con la legge 103/2012. Art. 3-bis (Semplificazioni per periodici web di piccole dimensioni): 1. Le testate periodiche realizzate unicamente su supporto informatico e diffuse unicamente per via telematica ovvero on line, i cui editori non abbiano fatto domanda di provvidenze, contributi o agevolazioni pubbliche e che conseguano ricavi annui da attività editoriale non superiori a 100.000 euro, non sono soggette agli obblighi stabiliti dall'articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, dall'articolo 1 della legge 5 agosto 1981, n. 416, e successive modificazioni, e dall'articolo 16 della legge 7 marzo 2001, n. 62, e ad esse non si applicano le disposizioni di cui alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 666/08/CONS del 26 novembre 2008, e successive modificazioni. 2. Ai fini del comma 1 per ricavi annui da attività editoriale si intendono i ricavi derivanti da abbonamenti e vendita in qualsiasi forma, ivi compresa l'offerta di singoli contenuti a pagamento, da pubblicità e sponsorizzazioni, da contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati.
---------------------------------
Provider-distributore: Aruba.it SpA (www.aruba.it) - piazza Garibaldi 8 / 52010 Soci (AR) - Anno XV Copyright � 2003

Realizzazione ANT di Piccinno John Malcolm - antconsultant@gmail.com