Denise Pardo per “Panorama” del 18 settembre 2007
Il suo Tg1?
«Internazional- popolare».
Il restyling del telegiornale?
Tante rubriche, politica estera e il funerale del mezzobusto. Ha fatto sfilare in video il guru di Le Monde, Jean-Marie Colombani, e quello di Foreign Policy, Moises Naim, ma considera Umberto Pizzi, fotoreporter di Dagospia, un immortale. A un anno dalla nomina a direttore del Tg1, Gianni Riotta, palermitano ottimista, ex firma di Corriere e Stampa rompe il silenzio e si racconta per la prima volta. Finora, rispetto agli standard del Tg1, ha ottenuto la pax redazionale e la stampa non lo ha tormentato più di tanto. Qualcuno dice che per abilità ed ecumenismo ricorda il mitico Nuccio Fava.
Così il «Tg1» si rinnova?
Sì. C’è lo studio virtuale, il conduttore immerso tra immagini che predominano su tutta la comunicazione: l’idea è che lo spettatore stia dentro la notizia. Le registe, sono tutte donne, il jingle tra i titoli è rinnovato e i conduttori partecipano e intervistano ospiti in studio o in collegamento. In alcune edizioni, doppia conduzione: non per avere due mezzibusti ma per proporre il confronto di due personalità e punti di vista diversi.
Riotta uccide il mezzobusto classico?
Sì, ma il processo è già avviato. Per esempio, al Tg delle 20, i cinque conduttori sono giornalisti di grande personalità già molto coinvolti. Abbasso il mezzobusto, viva il giornalista che interagisce davvero con il tg.
Grandi cambiamenti perché al «Tg5» c’è Clemente Mimun all’attacco? Il mio tg è leader e lo distacca. Ma io non concepisco il giornalismo come agonismo, né il mio mandato è battere il Tg5. Definerei il mio tg internazional-popolare. È autorevole, aperto, sempre più ricco di nuove rubriche.
Sa chi è il nemico?
Quei 3 milioni di italiani che all’andata in onda dei tg scelgono di non vederli. Arrivo a dire: meglio che non vedano il mio e scelgano il Tg5, che niente.
Riotta santo subito. La verità è che il telespettatore italiano è fortunato. Noi siamo i primi. Il Tg5 è un ottimo telegiornale storicamente, lo era con Carlo Rossella, lo è con Mimun. Il Tg3 ha una parte esteri formidabile, il Tg2 è popolare e spiritoso. Emilio Fede è un cult e un amico. Il tg dei giovani, Studio aperto, propone un nuovo linguaggio. Vada a vedere invece cosa offrono le altre tv in giro per il mondo.
Tutti bravi, tutti buoni... Tempo fa un collega mi disse: «Parli sempre bene di tutti». Non è vero. Spesso ho infastidito persone verso le quali i giornalisti scodinzolano alla grande. Per esempio, Adriano Sofri: penso sia colpevole e ho aiutato Mario Calabresi quando ha scritto il libro sull’assassinio di suo padre. Sofri, Beppe Grillo, Sabina Guzzanti: se c’è da dire no grazie non mi tiro indietro.
Un anno da direttore. Cosa ricorda del primo giorno?
Era il 25 settembre. Arrivando a Saxa Rubra mi chiama Mario Landolfi, presidente della Commissione vigilanza Rai. Mi dice: «Direttò, ma lo fa il panino o no?». E io: «Manco lo so che è». Lui: «Vuol dire prima la parola al governo poi all’opposizione e poi di nuovo al governo. «Presidente» ho risposto «è impossibile essere così scemi da pensare che gli italiani diano retta all’ultimo che parla. Quindi lo abroghiamo».
Il triste pastone politico invece è intoccabile?
C’è da lavorare. Vanno intensificate le interviste in diretta, come già facciamo da un po’. Così che i politici siano senza rete e non possano dire: scusa non va, rifacciamo la battuta.
Com’è la carta stampata vista da lontano?
Tranne poche eccezioni, i giornalisti della carta stampata non capiscono e non conoscono la televisione. Anch’io ero così. Le faccio un esempio. Al mio esordio ero convinto che la politica facesse cambiare canale. Mi sono studiato tre mesi di curve d’ascolto di Tg1 e Tg5. Bene, anche il più tragico dei pastoni non perde mai ascolto. Ho capito perché. Quei due minuti di politica sono l’unico momento in cui il pubblico televisivo segue la vita del governo, dei partiti e quindi gli interessa. Ai giornalisti della carta stampata fa orrore perché sanno già tutto, vivono di politica, sono amici dei politici, ci mangiano da Fortunato al Pantheon.
Il vero problema è che i giornalisti sono parte della casta. Il primo della lista, però, è il direttore del «Tg1».
Certo. Ma giorni fa sono andato al teatro Argentina di Roma. Ho tirato fuori i soldi dal portafoglio e mi sono messo l’abbonamento in tasca. Mi ha chiamato una signora dell’ufficio stampa: «Sono esterrefatta. È la prima volta che un giornalista paga l’abbonamento. Non era mai successo». Sappiamo bene che se un giornalista vuole andare a teatro, chiama l’ufficio stampa e si fa regalare il biglietto.
Mesi fa dichiarò che non aveva pressioni, che i politici non la chiamavano. Giampaolo Pansa ribatté che non era possibile.
Pansa mi disse: «Questo lo dici a tua nonna». Ecco, Pansa è uomo della casta, perché se uno per strada ti risponde: «Dillo a tua nonna», tu gli dici scusa e scendi con il cric. Se te lo dice in tv devi incassare.
Pansa non è della casta. Ha rivolto insulto a un collega che gli vuole bene e lo ha invitato in studio a presentare il suo libro.
Non è possibile che i politici non chiedano in Rai.
Confermo: a me zero richieste. Al massimo qualche telefonata come succede nei giornali. Forse perché io non ho mai lavorato in Transatlantico, non ho gran consuetudine con loro. Ne ho invitati tanti a Tv7. A tutti ho chiesto: si impegna davanti ai telespettatori a non chiedere più posti in Rai? Walter Veltroni, Pier Ferdinando Casini, Massimo D’Alema, tutti a dire sì. Ma è stato Gianfranco Fini a dare la risposta: «Mi impegno a non chiedere più posti in Rai purché i giornalisti si impegnino a non chiamarmi per chiedermi di averli». Io non sono lottizzato, non ho fatto parte di un pacchetto, sono stato votato all’unanimità. Ma nel corto circuito politica e giornalismo, la prima ha una grave colpa, e noi andiamo a mendicare.
I giornali la tormentano poco: perché ci ha lavorato tanto e invita in video i suoi colleghi?
Ho avuto critiche da tutti i giornali e da tutti i partiti. Si dice che il Tg1 sia governativo. Ma le nostre posizioni critiche sono state tante. Gli editoriali di Francesco Giavazzi, Tito Boeri, Giovanni Sartori, quelli della mattina di Riccardo Bellofiore, il Giavazzi della sinistra radicale. Io stesso ho analizzato duramente la situazione del Paese. Non dico di essere Olga Politkovskaya. Ma credo che sia la prima volta che il Tg1 critica il governo.
Si racconta che lei sappia a memoria Spinoza.
È capitato che il «Tg1» mandasse in onda immagini di Prodi nelle occasioni in cui appariva proprio Fabiano Fabiani, neoconsigliere Rai. Caso o intuizione spinoziana? Non me ne sono accorto.
(via www.dagospia.com)