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TRIBUNALE DI MONZA.
Le rivelazioni del brigadiere dei
Cc Dario Covolo (“Ciondolo”)
sui retroscena del “delitto Tobagi”
vengono stoppate dal giudice.

Brindani e Magosso
(direttore e inviato di Gente)
condannati penalmente
a una multa totale di
1.800 euro e civilmente
a risarcire due generali
(per ora) con 218mila euro.
La sentenza entro 90 giorni.

Le prime reazioni sindacali.
"Stampa democratica":
"Un nuovo, gravissimo
segnale d’allarme per la
salute della libertà di stampa".

Lorenzo Del Boca (Ordine):
“Il collega ha fatto il suo dovere”-

PROCESSI. E DIRITTO DI CRONACA
Delitto Tobagi,
giustizia è sfatta
di Franco Corleone
Il Riformista del
21 settembre 2007



Monza, 20 settembre 2007. Si  è concluso con due condanne, - davanti al Tribunale di Monza in composizione monocratica -, il processo che vedeva imputati il giornalista Renzo Magosso, autore di un articolo sul delitto Tobagi, pubblicato sul settimanale 'Gente' e l'allora direttore della testata, Umberto Brindani. Il procedimento è scaturito da una querela per diffamazione, presentata dal generale dei carabinieri in pensione Alessandro Ruffino e dalla sorella del generale Umberto Bonaventura, e concerneva un articolo sul numero di ‘Gente’ del 17 giugno 2004 in cui Magosso riportava un'intervista a un sottufficiale dei carabinieri dell'epoca, Dario Covolo, che dichiarava di avere presentato, sei mesi prima del delitto Tobagi una nota informativa sui terroristi che stavano progettando l'azione criminosa e che i suoi superiori la chiusero in un cassetto. Nel corso del processo, Covolo (detto “Ciondolo”) ha ribadito la versione dei fatti fornita a Magosso e cioè che già nel 1979 i suoi superiori, Ruffino e Bonaventura, all'epoca capitani dell'Arma, erano al corrente che Walter Tobagi era nel mirino dei terroristi. Ma il giudice Ilaria Maupoil ha accolto la tesi del pm Alessandro Pepè secondo cui Magosso avrebbe pubblicato le confidenze di Covolo senza verificarne l'esattezza - che non è mai stata provata, è stato sottolineato, in nessun atto processuale - al solo fine di fare uno scoop. Magosso è stato condannato a una multa di 1.000 euro e dopo la lettura della sentenza ha dichiarato: ''Oggi il mestiere di giornalista si sente molto male: per aver fatto una intervista a un protagonista dei fatti relativi alla morte di Tobagi, mi vedo condannato. Non esiste la libertà di stampa garantita dalla Costituzione''. Brindani  è stato condannato a 300 euro di multa e, in solido con Magosso, a risarcire le parti lese con una provvisionale di 218 mila euro, oltre alle spese legali per 20mila euro.


La sentenza verrà depositata entro 90 giorni: solo allora si potrà capire come ha ragionato il giudice Maupoil e su quali elementi si  fondi la  colpevolezza degli imputati. (fonte: Ansa)



 


Dal libro “Le carte di Moro, perché Tobagi” di Roberto Arlati e  Renzo Magosso  (Franco Angeli 2003)  riprendiamo un passaggio (pagine 142/143) che riguarda  la risposta 19 dicembre 1983 del Ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro nell’aula di Montecitorio a una interrogazione sul delitto Tobagi. Era stato Bettino Craxi (primo ministro dal 4 agosto 1983) ad accusare: “Qualcuno ha taciuto una nota informativa che preannunciava l’organizzazione dell’assassinio di Walter Tobagi”.  Questa la risposta di Scalfaro:


“Agli atti del reparto operativo del Gruppo carabinieri di Milano 1 esiste l’originale di una relazione di servizio redatto da un sottufficiale  dell’Arma (“il brigadiere Ciondolo”, ndr) il 13 dicembre 1979 nella quale si legge: “Secondo il postino, il...(segue il nome di un altro confidente) e gli altri avrebbero lasciato il proposito  di compiere azioni in  Varese ma avrebbero in programma un’azione a Milano. Il ....non ha lasciato capire pienamente quale possa essere il loro obiettivo ma ha riferito al postino che si tratta di un vecchio progetto delle Formazioni comuniste combattenti (FCC). Per quanto riguarda l’azione da compiere qui a Milano e la zona nella quale il gruppo sta operando il postino ritiene che vi sia in programma un attentato o il rapimento di Walter Tobagi, esponente del Corriere della Sera. La zona in cui il gruppo sta operando dovrebbe essere quella  di piazza Napoli-piazza Amendola-via Solari dove il Tobagi dovrebbe abitare. Il Tobagi è un vecchio obiettivo delle Formazioni comuniste combattenti...”. Dagli accertamenti svolti il postino di Varese si identifica con un certo Rocco Ricciardi. Va rilevato che l’attività dell’Arma dei carabinieri in tutte le vicende sufferiferite è attività di polizia giudiziaria che implica, come tale, il dovere di riferire in via esclusiva all’autorità giudiziaria dalla quale dipende”.


La precisazione è sconvolgente. E’ l’ultima frase a far sensazione. Scalfaro mette  in luce che i carabinieri debbono informare i magistrati. “Questa puntualizzazione – scrivono Arlati e Magosso – appare, alla luce dei fatti, come un rimprovero. Lascia implicitamente intendere che i carabinieri dell’Antiterrorismo di Milano non hanno detto tutto ai magistrati milanesi”. (Va detto che Arlati, ex  ufficiale dell’Arma,  aveva lavorato con Rufino e Bonaventura).


 


''Nessuno ha mai indicato a polizia e carabinieri i nomi di chi sarebbero stati gli assassini. Ci mancherebbe altro che fosse emersa una circostanza di questo tipo''. Così si è espresso IL 18 giugno 2004 al question time il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, riferendosi  all'omicidio di Walter Tobagi.. Ha detto ancora Giovanardi:


  ''A distanza di 24 anni - aveva affermato poco prima il parlamentare Verde Marco Boato - sono ricorrenti gli interrogativi sulle gravi omissioni da parte di ufficiali dei carabinieri dell'epoca che nascosero e non diedero seguito a una nota informativa preventiva redatta da un sottufficiale del nucleo antiterrorismo. Già nel dicembre '79, sei mesi prima dell'omicidio, i nomi dei terroristi che stavano progettando l'assassinio di Tobagi, erano noti, ma nulla, assolutamente nulla venne fatto per impedirne la morte. Il 28 maggio scorso il direttore del Corriere, Folli, ha dichiarato: “Non si tratta di una storia che possa considerarsi chiusa. La morte di Tobagi  è una ferita ancora aperta. E' necessario che questa vicenda venga riaperta''.


''Sulla base di informazioni attinte dall'autorità giudiziaria - ha risposto Giovanardi - devo smentire categoricamente le illazioni dell'onorevole Boato, che non corrispondono a verità, e sono dietro quel filone della dietrologia attraverso la quale i responsabili degli omicidi non sarebbero gli assassini che hanno ammazzato le vittime negli anni di piombo, ma sarebbero sempre trame oscure, la colpa  è dei carabinieri o delle forze dell'ordine, di coloro che, non si capisce perché, non avrebbero cercato di evitare questi  omicidi''.


 ''Il Governo - ha aggiunto il ministro sempre al question time - non ha potuto far altro che attingere dalla Procura di Milano, dai magistrati, con le dichiarazioni di allora e di oggi, la loro volontà di non spiegare nuovamente cose che hanno già chiarito in tutte le sedi competenti. Ricordo solo l'ultima affermazione del dottor Armando Spataro, che era stato responsabile di quell'inchiesta, che ha ribadito che la morte di Tobagi  è connessa soltanto e solo a quello che rappresentava per la democrazia di questo Paese. Purtroppo è stata una delle centinaia di vittime dell'eversione armata di quei tempi che voleva nei giornalisti, nei magistrati, nei politici, soffocare e annullare la democrazia nel nostro Paese. Credo che non dovremmo mai finire di condannare quegli assassini e non cercare ancora oggi, nel 2004, come fa Boato, di cercare di dare la colpa ai carabinieri  e a chi combatteva l'eversione e il terrorismo''.


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UN COMMENTO GIORNALISTICO


 


PROCESSI. E DIRITTO DI CRONACA


Delitto Tobagi,


giustizia è sfatta


 


di Franco Corleone/Il Riformista del 21 settembre 2007


Nessuna sorpresa dal Tribunale di Monza: Magosso è colpevole e la verità ufficiale sull’omicidio Tobagi è sacra e intangibile. Renzo Magosso, cronista d’assalto e amico di Walter Tobagi è stato condannato per diffamazione verso il generale Ruffino e la sorella del defunto generale Bonaventura per avere pubblicato una intervista a un ex carabiniere dell’antiterrorismo di Milano che senza ambiguità o incertezza affermava di avere presentato sei mesi prima dell’omicidio un rapporto ai suoi superiori con i nomi degli autori del progetto assassino. Una rivelazione sconvolgente per tutti ma in particolare per un collega e amico che già dai giorni del delitto sul quotidiano L’Occhio individuava la pista del gruppo di Marco Barbone fino a denunciarlo il 26 settembre prima della presunta confessione spontanea del capo della Brigata 28 marzo.


Mille euro di multa la richiesta del pubblico ministero accolta dal giudice e rispettivamente 120 mila e 90 mila euro di risarcimento per le parti offese più le spese processuali. Una condanna penale che non è meno grave, anzi più offensiva perché monetizzata in maniera spropositata. Viene da rimpiangere il tempo in cui le questioni d’onore si risolvevano con il duello, ora tutto viene comprato e venduto con il denaro, anche la libertà e la dignità. È un segno dei tempi che anche la giustizia si affidi alla bilancia di Brenno.


Quale è la colpa del giornalista in questo caso che non solo diverrà da manuale ma assumerà il carattere del monito e dell’intimidazione? Secondo il dottor Pepè, il pm che dall’inizio del processo ha mostrato palesemente la sua convinzione colpevolista al limite del pregiudizio, Magosso avrebbe dovuto ridicolizzare Dario Covolo e annullare lo scoop sentendo la controparte. È una tesi che distruggerebbe il ruolo della libera stampa e il diritto-dovere di informazione. Questa sentenza del tribunale di Monza va anche contro una netta pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che afferma la non responsabilità del giornalista per le affermazioni dell’intervistato. In questo caso poi vi era la deposizione di Dario Covolo che in aula si era assunto la paternità testuale delle frasi incriminate.


La vicenda giudiziaria andrà avanti con l’appello, ma peccheremmo di ingenuità riducendo la vicenda a un normale caso di diffamazione. La censura che ha avvolto questo caso, il silenzio assordante di tanti che avrebbero dovuto prendere parola, ha a che fare con le ombre e i dubbi che da ventisette anni circondano l’interrogativo drammatico: Tobagi poteva essere salvato?


La ricostruzione di Covolo oltre alla denuncia dei rapporti tenuti nel cassetto per ragioni misteriose (sciatteria, sottovalutazione, insipienza nella più innocente delle ipotesi) ha fatto emergere un altro punto dolente, il ruolo di Rocco Ricciardi, militante dei gruppi armati di quegli anni nella zona di Varese e da un certo momento confidente dei carabinieri. Sergio Segio nell’incontro pubblico del 23 luglio al Centro San Fedele di Milano e nel testo presente nel Libro Bianco che abbiamo presentato martedi scorso al Circolo della Stampa avanza l’ipotesi che la collaborazione di Ricciardi sia cominciata ben prima del marzo 1979 e protrattasi dopo l’ottobre 1980. Una collaborazione ben più importante di quanto si sia voluto far credere.


Si aprono scenari inquietanti e davvero è fuori dal mondo la pretesa che una sentenza per diffamazione metta la parola fine alla chiarificazione necessaria di eventi che devono entrare nella storia e non essere sepolti dall’oblio. Come è interessante la denuncia del generale Bozzo che sempre a Monza ha dichiarato che la catena di comando del carabinieri di Milano era rappresentata da personaggi ex repubblichini e affiliati alla P2 e che non rispondevano alla logica dello Stato democratico.


Una multa di mille euro non può fermare un approfondimento di cui nessuno può avere paura. I deputati Boato e Buemi hanno presentato nei giorni scorsi una interpellanza al presidente del Consiglio e ai ministri della Giustizia e dell’Interno per chiedere quali iniziative intenda assumere il governo contro ogni possibile omissione nella ricerca della verità. Mi pare che il Parlamento sia la sede adatta per sciogliere un groviglio inquietante. Nella scorsa legislatura, il 16 giugno del 2004, Marco Boato illustrò un documento ispettivo sempre su questo caso e la risposta del governo, del ministro Giovanardi, fu definita dall’interrogante come «semplicemente indecente». Questa volta il governo non si dovrà trincerare dietro le verità ufficiali delle procure o dei carabinieri.


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Le reazioni sindacali


 


STAMPA DEMOCRATICA


fondata da Walter Tobagi


Sempre da una parte sola. Quella dei giornalisti


 


CONDANNATI PER UN’INTERVISTA: FALSA? NO, TROPPO ESATTA


Si arriva al punto che un’intervista, resa evidentemente in modo totalmente fedele, costituisce – secondo il giudizio di primo grado – un reato. E soltanto perché essa contrasterebbe con una presunta “verità ufficiale” stabilita, e cristallizzata, nelle sentenze di oltre 20 anni fa sul delitto Tobagi.


 


Un nuovo, gravissimo segnale d’allarme per la salute della libertà di stampa arriva dal Tribunale di Monza, che ha condannato per diffamazione Renzo Magosso, caporedattore di Gente, e con lui il direttore Umberto Brindani. Il settimanale aveva pubblicato una intervista a Dario Covolo, ex brigadiere dei Carabinieri impegnato negli anni ’70 e ’80 nelle indagini sul terrorismo. Nell’intervista – confermata parola per parola da Covolo in una testimonianza resa al processo contro Magosso e Brindani – si affermava che erano stati fatti, sei mesi prima dell’assassinio di Walter Tobagi, i nomi di coloro (Marco Barbone e gli altri 5 della Brigata 28 Marzo) che progettavano un’azione terroristica contro l’inviato del Corriere della Sera e Presidente dell’Associazione Lombarda dei giornalisti, leader e fondatore della corrente sindacale Stampa Democratica.


Si arriva al punto che un’intervista, resa evidentemente in modo totalmente fedele, costituisce – secondo il giudizio di primo grado – un reato. E soltanto perché essa contrasterebbe con una presunta “verità ufficiale” stabilita, e cristallizzata, nelle sentenze di oltre 20 anni fa sul delitto Tobagi.


E’ evidente che, se questo criterio si affermasse, nessun esercizio di dubbio o di critica sarebbe più ammesso. I giornalisti sono avvertiti: d’ora in poi scrivere su Piazza Fontana, la Strage di Brescia, quella di Bologna, per citare solo qualche caso, potrà essere pericoloso.


Accanto alle iniziative, ventilate o in atto, da parte del governo e del potere politico, per imbrigliare il diritto-dovere di cronaca, sentenze come quella di Monza devono richiamare i giornalisti alla vigilanza e alla mobilitazione.


Ai colleghi condannati Stampa Democratica esprime solidarietà, apprezzamento per il loro lavoro, e l’augurio che in appello il giudizio possa essere ribaltato.


 mv


 Milano 20 settembre 2007


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Magosso: l’Ordine solidarizza.


Lorenzo Del Boca:


“Il collega ha fatto il suo dovere”


 


 “Il mestiere del giornalista è diventato proprio difficile”. E’ il commento di Lorenzo Del Boca, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, dopo che Renzo Magosso, caporedattore del settimanale Gente, è stato condannato per aver pubblicato l’intervista al brigadiere dei carabinieri Dario Covolo che raccontava particolari inediti sul delitto Tobagi.


“Il collega ha fatto il suo dovere – prosegue Del Boca – e non può venirgli meno la solidarietà della categoria. I giudici sostengono che per evitare la condanna avrebbe dovuto ricordare nell’articolo che la ricostruzione dell’ex carabiniere era contestata da altre persone. E’ evidente il desiderio dei giudici di insegnarci il mestiere. Chissà perché i magistrati si lamentano tanto quando i giornalisti contestano loro la faraginosità del loro italiano”.


(20 settembre 2007)


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Serventi Longhi su sentenza


Magosso: "Singolare condanna”


Roma, 21 settembre 2007. “La sentenza con la quale è stato condannato per diffamazione il collega Renzo Magosso va rispettata come tutte le decisioni della Magistratura. Ritengo però singolare che Magosso sia stato condannato nonostante capi riconosciuti del terrorismo, responsabili dell’atroce omicidio di Walter Tobagi, abbiano confermato nella sede giudiziaria tutte le notizie che lo stesso Magosso aveva raccolto. Ritengo importante in ogni caso continuare a sostenere il diritto di cronaca e la libertà d’informazione, specialmente per quanto riguarda il lavoro di indagine e di inchiesta di giornalisti preparati e che fanno un approfondito lavoro di verifica delle fonti. Mi auguro che la magistratura giudicante e quella inquirente tengano conto sempre del diritto dei cittadini a conoscere la realtà, specie di fronte alle tragedie della recente storia italiana”.


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Associazione Lombarda: vicini a Magosso


Il Consiglio Direttivo dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti esprime assoluta solidarietà ai colleghi Renzo Magosso e Umberto Brindani condannati dal tribunale di Monza per diffamazione, per aver pubblicato un articolo-intervista sul delitto dell’inviato del Corriere della Sera Walter Tobagi.


Il Consiglio Direttivo considera un dovere di tutti i giornalisti non abbandonare mai la ricerca della verità dei fatti anche oltre le “verità ufficiali”.


I giornalisti hanno il dovere costituzionale di informare e non possono perdere o abbandonare l’impegno costante nell’attività d’indagine e d’inchiesta per far luce su eventi della storia italiana che presentano in molti casi ancora troppe ombre.



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Franco Abruzzo: "Il 20 settembre sarò
in aula nel Tribunale di Monza. Spero
che i cronisti di giudiziaria  siano tanti.
Magosso non merita di rimanere solo.
Cerchiamo tutti la verità sul delitto
Tobagi finché esiste un dubbio
ragionevole su come siano andati
realmente  i fatti nel periodo
dicembre 1979-maggio 1980.
Il dubbio alimenta la sete di
certezze e il bisogno di verità,
ma non fa venir meno il rispetto
 per gli investigatori di 27 anni
fa.  Il delitto Tobagi per me
e per tanti è ancora oggi
una ferita terribilmente aperta".


 


“DELITTO WALTER TOBAGI”.
Ex carabiniere  Dario Covolo
davanti al Tribunale di Monza:
“Si sapeva di attentato”.
La sentenza attesa per  il 20/9.
Generale dell’Arma
ha querelato Renzo Magosso,
il giornalista che ha intervistato
l’ex carabiniere detto “ciondolo”.
IN ALLEGATO L’AUDIZIONE
DI COVOLO-CIONDOLO
e  del generale di  Corpo d’Armata
Nicolò BOZZO (già a capo della "Pastrengo"
e stretto collaboratore di Dalla Chiesa).


In coda le dichiarazioni dei ministri  Scalfaro
e  Giovanardi sui retroscena del delitto Tobagi
nonché i due articoli di Franco Corleone
sul processo di Monza pubblicati dal
"Riformista" il 10 luglio e il 12 settembre.


PRESENTATO LIBRO BIANCO


"Spiegai per tempo in un rapporto che un attentato sarebbe stato fatto nei confronti di Walter Tobagi e diedi i nomi di chi l'avrebbe compiuto. Ma non venne preso alcun  provvedimento". Lo ha affermato, in una conferenza stampa (23 luglio scorso)  a Milano, l'ex brigadiere dei  carabinieri Dario Covolo. Tobagi, presidente dell'Associazione lombarda  dei giornalisti (Alg) e cronista politico di punta del Corriere della Sera fu ucciso il 28 maggio 1980. Il suo omicidio provocò forti  polemiche sul fatto che potesse essere prevenuto.


E a oltre 27 anni di distanza si è tenuto un incontro sul tema 'Le verità nascoste. Il caso Tobagi: ferita ancora aperta” al quale hanno preso parte, fra gli altri, il giornalista Renzo Magosso, l'ex terrorista di Prima Linea Sergio Segio, il deputato Marco Boato, l'ex sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone e David Messina dell'Alg. Covolo, soprannominato quando era in servizio 'ciondolo', ha spiegato di "aver raccolto quanto raccontato dal confidente Rocco Ricciardi, definito il 'postino' del gruppo terroristico" e "di averle rese note al capitano Alessandro Ruffino". "Dopo la morte di Tobagi - ha sottolineato - ho avuto una discussione molto accesa con Ruffino perché gli avevo detto che  volevano uccidere Tobagi e gli avevo fatto i nomi di Marco Barbone e altri.  Queste cose le ho anche ripetute come testimone al processo in corso a Monza davanti a lui. L'incredibile è che per aver fatto il mio dovere ora  devo risponderne legalmente". Covolo, infatti, è stato denunciato per diffamazione da Ruffino, ora generale in pensione, insieme con Magosso


per una intervista sul settimanale 'Gente'. La sua posizione è stata  però  stralciata perché vive all'estero e quindi ha preso parte alle udienze come teste. A Magosso, che sull'argomento ha scritto anche il libro 'Le  carte di Moro, perché Tobagì, sono giunte parole di solidarietà da  parte  di Boato, Corleone e Messina "per il suo rigoroso lavoro di cronista"  che  viene "perseguito invece di accertare perché gli investigatori non presero in considerazione le informazioni su Tobagi". "Il processo di Monza dopo ben 3 udienze è stato praticamente oscurato dai media - ha affermato Magosso - non sono state autorizzate le riprese tv e radio quando invece sarebbe importante che la pubblica opinione sapesse i  veri retroscena che al processo sono stati resi noti sull'omicidio di  Tobagi. Di fronte alla testimonianza di Covolo, il generale e il suo legale non  hanno replicato come verificabile dagli atti". (fonte: ANSA, 23 luglio 2007).


 


“Tabloid” n. 7/8 del 2004


Nel  Parlamento due ministri e  due verità sul delitto


Camera dei deputati, 19 dicembre 1983


Scalfaro legge una relazione di servizio di un


un sottufficiale dell’Arma del 13  dicembre 1979:


“E’ in programma un attentato o il rapimento


di Walter Tobagi...Tobagi è un vecchio obiettivo


delle Formazioni comuniste combattenti (Fcc)”.


 


Dal libro “Le carte di Moro, perché Tobagi” di Roberto Arlati e  Renzo Magosso  (Franco Angeli 2003)  riprendiamo un passaggio (pagine 142/143) che riguarda  la risposta 19 dicembre 1983 del Ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro nell’aula di Montecitorio a una interrogazione sul delitto Tobagi. Era stato Bettino Craxi (primo ministro dal 4 agosto 1983) ad accusare: “Qualcuno ha taciuto una nota informativa che preannunciava l’organizzazione dell’assassinio di Walter Tobagi”.  Questa la risposta di Scalfaro:


“Agli atti del reparto operativo del Gruppo carabinieri di Milano 1 esiste l’originale di una relazione di servizio redatto da un sottufficiale  dell’Arma (“il brigadiere Ciondolo”, ndr) il 13 dicembre 1979 nella quale si legge: “Secondo il postino, il...(segue il nome di un altro confidente) e gli altri avrebbero lasciato il proposito  di compiere azioni in  Varese ma avrebbero in programma un’azione a Milano. Il ....non ha lasciato capire pienamente quale possa essere il loro obiettivo ma ha riferito al postino che si tratta di un vecchio progetto delle Formazioni comuniste combattenti (FCC). Per quanto riguarda l’azione da compiere qui a Milano e la zona nella quale il gruppo sta operando il postino ritiene che vi sia in programma un attentato o il rapimento di Walter Tobagi, esponente del Corriere della Sera. La zona in cui il gruppo sta operando dovrebbe essere quella  di piazza Napoli-piazza Amendola-via Solari dove il Tobagi dovrebbe abitare. Il Tobagi è un vecchio obiettivo delle Formazioni comuniste combattenti...”. Dagli accertamenti svolti il postino di Varese si identifica con un certo Rocco Ricciardi. Va rilevato che l’attività dell’Arma dei carabinieri in tutte le vicende sufferiferite è attività di polizia giudiziaria che implica, come tale, il dovere di riferire in via esclusiva all’autorità giudiziaria dalla quale dipende”.


La precisazione è sconvolgente. E’ l’ultima frase a far sensazione. Scalfaro mette  in luce che i carabinieri debbono informare i magistrati. “Questa puntualizzazione – scrivono Arlati e Magosso – appare, alla luce dei fatti, come un rimprovero. Lascia implicitamente intendere che i carabinieri dell’Antiterrorismo di Milano non hanno detto tutto ai magistrati milanesi”.


 


Camera dei deputati, 18 giugno 2004


Giovanardi: “Nessuno ha indicato


gli assassini di Tobagi alla polizia”


 


 


Milano, 18 giugno 2004.  ''Nessuno ha mai indicato a polizia e carabinieri i nomi di chi sarebbero stati gli assassini. Ci mancherebbe altro che fosse emersa una circostanza di questo tipo''. Così si è espresso al question time il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, riferendosi  all'omicidio di Walter Tobagi.


   ''A distanza di 24 anni - aveva affermato poco prima il parlamentare Verde Marco Boato - sono ricorrenti gli interrogativi sulle gravi omissioni da parte di ufficiali dei carabinieri dell'epoca che nascosero e non diedero seguito a una


nota informativa preventiva redatta da un sottufficiale del nucleo antiterrorismo. Già nel dicembre '79, sei mesi prima dell'omicidio, i nomi dei terroristi che stavano progettando l'assassinio di Tobagi, erano noti, ma nulla, assolutamente nulla venne fatto per impedirne la morte. Il 28 maggio scorso il direttore del Corriere, Folli, ha dichiarato: Non si tratta di una storia che possa considerarsi chiusa. La morte di Tobagi  è una ferita ancora aperta. E' necessario che questa vicenda venga riaperta''.


   ''Sulla base di informazioni attinte dall'autorità giudiziaria - ha risposto Giovanardi - devo smentire categoricamente le illazioni dell'onorevole Boato, che non corrispondono a verità, e sono dietro quel filone della dietrologia attraverso la quale i responsabili degli omicidi non sarebbero gli assassini che hanno ammazzato le vittime negli anni di piombo, ma sarebbero sempre trame oscure, la colpa  è dei carabinieri o delle forze dell'ordine, di coloro che, non si capisce perché, non avrebbero cercato di evitare questi  omicidi''.


 ''Il Governo - ha aggiunto il ministro sempre al question time - non ha potuto far altro che attingere dalla Procura di Milano, dai magistrati, con le dichiarazioni di allora e di oggi, la loro volontà di non spiegare nuovamente cose che hanno già chiarito in tutte le sedi competenti. Ricordo solo l'ultima


affermazione del dottor Armando Spataro, che era stato responsabile di quell'inchiesta, che ha ribadito che la morte di Tobagi  è connessa soltanto e solo a quello che rappresentava per la democrazia di questo Paese. Purtroppo è stata una delle centinaia di vittime dell'eversione armata di quei tempi che voleva nei giornalisti, nei magistrati, nei politici, soffocare


e annullare la democrazia nel nostro Paese. Credo che non dovremmo mai finire di condannare quegli assassini e non cercare ancora oggi, nel 2004, come fa Boato, di cercare di dare la colpa ai carabinieri  e a chi combatteva l'eversione e il terrorismo''.


   ''La risposta di Giovanardi  è indecente'' ha replicato Boato precisando, rivolto al ministro, che ''lei semplicemente si  è basato su informazioni di seconda mano e non ha capito assolutamente il significato di questa denuncia''. (ANSA).


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 Da: “Il Riformista” del 12 settembre 2007



Si gioca una grande partita per la
verità e per  la giustizia italiana.


Tribunale di Monza:
il 20 la sentenza
che può riaprire
il  “delitto Tobagi”


“Quella soffiata non salvò Tobagi.
Vorremmo ancora capire perché”


 


di Franco Corleone


Ho già avuto modo di illustrare in modo circostanziato (vedi il Riformista del 10 luglio scorso “Per la morte di Tobagi non serve un capro espiatorio”) la vicenda paradossale del giornalista Renzo Magosso, imputato per diffamazione come autore di una intervista pubblicata dal settimanale Gente del 17 giugno 2004 a un sottufficiale dei carabinieri del nucleo antiterrorismo di Milano alla fine degli anni settanta, nome in codice Ciondolo, che sosteneva di avere consegnato una nota informativa sull’imminente e programmato omicidio di Walter Tobagi, quasi sei mesi prima del delitto e con i nomi dei responsabili. I suoi superiori non ne tennero conto. Questa la grave accusa e questa la ragione della querela del generale Ruffino (allora capitano) e della sorella del defunto generale Bonaventura (ai tempi anch’egli capitano). La querela è stata rivolta contro l’ex sottufficiale dei carabinieri e se ne può magari comprendere il motivo ma inspiegabilmente anche contro il giornalista che ha raccolto l’esplosiva denuncia.


Anche un cieco si accorgerebbe del fine oggettivamente intimidatorio di colpire anche simbolicamente un giornalista impegnato da anni nella ricerca della verità di una tragedia legata alla dolorosa storia d’Italia con l’imputazione di non avere garantito la completezza dell’informazione e l’oggettività dei riscontri. Fino alla pubblicazione del mio articolo le udienze presso il Tribunale di Monza trascorrevano nella noia e nella distrazione dell’Ordine dei giornalisti e della Federazione nazionale della stampa. Grazie alla sensibilità di Franco Abruzzo, ex presidente dell’Ordine della Lombardia, il testo pubblicato dal Riformista è stato inviato e-mail a migliaia di giornalisti.


Così l’11 luglio a Monza si respirava un’aria diversa per quella che si è rivelata un’udienza sconvolgente. Ho avuto la netta impressione che nessuno si aspettasse la presenza come testimone di Dario Covolo (questa è la vera identità di Ciondolo), ma la sorpresa si è tramutata in un imbarazzante disagio di fronte alla sicurezza e alla determinazione con cui ha risposto alle domande degli avvocati e del pubblico ministero.


Dario Covolo ha confermato che sulla base delle informazioni di Rocco Ricciardi, informatore e infiltrato nei gruppi dell’autonomia della zona di Varese, presentò al capitano Ruffino un primo appunto il 13 dicembre 1979 in cui si parlava di Tobagi. Nella relazione consegnata ai suoi superiori, il carabiniere riferisce che, secondo Ricciardi, vi era un progetto di attentato contro il giornalista, che doveva avvenire vicino alla casa di Tobagi (come quasi sei mesi dopo effettivamente avvenne). L’informativa di Ciondolo specifica che Tobagi era «un vecchio obiettivo delle Fcc». E in effetti lo stesso Ricciardi, assieme ad altri militanti delle Fcc (tra cui Caterina Rosenzweig), nel febbraio 1978 aveva effettuato un tentativo di sequestro di Tobagi, in quel caso fallito.


Covolo non si limita a confermare il contenuto dell’appunto reso noto nel dicembre 1983 da alcuni deputati socialisti e confermato nella sua veridicità dall’allora ministro dell’interno Oscar Luigi Scalfaro e che innescò una violenta polemica tra l’Avanti!, il quotidiano del Psi, e la Procura di Milano e Bettino Craxi, ma aggiunge: «Ci sono degli appunti successivi a questo, dove si fa nome e cognome di quelli che devono ammazzare. Mi si fa il nome e si dice: “guarda che il gruppo che sta operando dovrebbe essere la Caterina (Rosenzweig, ndr) e il suo fidanzato, il suo convivente, Barbone Marco”. Non mi si fanno i nomi degli altri però quei nomi vengono fatti in successivi appunti».


La conclusione di questa parte della deposizione è drammatica: «Io non so onestamente cosa venne fatto. Io so che a un certo punto ebbi un grosso diverbio con il capitano Ruffino quando ammazzarono Tobagi, da solo nel suo ufficio […] per questa relazione, su questo proposito».


A questo punto entra in scena il pubblico ministero di Monza che inizia l’interrogatorio chiedendo conferma delle frasi virgolettate presenti nell’intervista di Magosso. Nessuna incertezza nel riconoscere le affermazioni come proprie e implicitamente la correttezza del giornalista. Il pm, dottor Pepè, incalza allora Covolo ponendo una domanda assai stravagante, se cioè avesse fatto fotocopia dei rapporti successivi a quello noto. Ovviamente ha ricevuto una risposta negativa. Ma il pm, dimenticando che il processo è per querela contro un giornalista per avere pubblicato una intervista di una persona protagonista dei fatti, si impegna impropriamente nel cercare di incrinare la credibilità del teste, contrapponendo alle dichiarazioni di Covolo, ribadite e rafforzate in aula pochi minuti prima, quelle processuali di Rocco Ricciardi e di Barbone che negano rispettivamente di avere fatto i nomi e di avere ipotizzato l’omicidio prima del 28 marzo 1980.


Covolo sarcasticamente ha chiesto di essere messo a confronto! Soprattutto è stato impressionante lo scambio di ruoli con il teste che poneva domande al pm rivendicando la sua ricostruzione indipendentemente dalle versioni dei colpevoli di gravi delitti e il suo diritto a dire la sua verità. L’ossessione del pm è invece il controllo delle fonti. Ma a questo proposito il ruolo di Ricciardi, infiltrato e confidente meriterebbe più attenzione. Anche perché la sua collaborazione prosegue nel tempo, anche dopo l’omicidio Tobagi e, tra il resto, porta al pedinamento di Roberto Serafini e Walter Pezzoli, esponenti delle Br, e alla loro morte dopo un conflitto a fuoco con i carabinieri nel dicembre 1980. Si tratta di una collaborazione durata moltissimo tempo, circa due anni, che ha fornito informazioni sia sull’Autonomia che su Fcc, Pl e Br, il che la rende sicuramente una delle più importanti di cui hanno goduto gli apparati dello Stato. E forse per questo è rimasta la più nascosta e la si è voluta tenere segreta e negarla sino allo stremo, sino a che meritoriamente l’Avanti! fece scoppiare il caso.


C’è di più. Il 23 luglio scorso durante un incontro al Centro San Fedele di Milano, Dario Covolo ha riconfermato il suo racconto e Sergio Segio, protagonista della lotta armata a Milano in quegli anni tremendi, ha denunciato il mistero per cui nonostante Rocco Ricciardi l’avesse fatto identificare come uno dei capi di Prima Linea, come poi rivendicò al processo, egli e i suoi compagni furono lasciati liberi di operare. E va tenuto presente che allora Segio non era clandestino e Prima Linea non aveva ancora ucciso nessuno. Ha detto Segio: «Non solo Walter Tobagi poteva essere salvato ma anche molti altri; non lo furono perché a qualcuno è convenuto lasciare le briglie sciolte ai gruppi armati». L’intero dibattito, cui ha partecipato anche l’onorevole Boato e ha visto la presenza dell’ex capitano Arlati, è di deciso interesse (registrato da Radio Radicale è disponibile sul sito www.radioradicale.it) e anche in quell’occasione Covolo ha ribadito le sue verità. Verità che a distanza di trent’anni si continuano a negare e voler tenere nascoste.


Si apre ora così un nuovo capitolo, ma incredibilmente la censura resta pesante. Il 20 settembre si terrà l’ultima udienza, andando poi a sentenza. C’è da augurarsi che la dottoressa Maupoil, giudice monocratico, sia consapevole della grande responsabilità che grava su di lei, solo su di lei, perché è in gioco la libertà di stampa e il diritto all’informazione, oltre che la verità dei fatti.


Il 23 luglio, l’Associazione lombarda giornalisti, con David Messina, ha finalmente manifestato solidarietà a Magosso per il suo rigoroso lavoro di cronista. È davvero fondamentale che questa volta i fari siano accesi su quanto accade al Tribunale di Monza. Il 20 settembre si gioca una grande partita per la verità e la giustizia italiana.


 


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Da “Il Riformista” del 10 luglio 2007


TERRORISMO. LA VICENDA


DEL GIORNALISTA


RENZO MAGOSSO, IMPUTATO


 A MONZA PER DIFFAMAZIONE


 


 Per la morte di Tobagi non serve un capro espiatorio


 


L’Ordine dei giornalisti e la


Federazione della stampa,


il ministro della Giustizia,


le forze politiche e i tanti


sedicenti garantisti, di


destra e di sinistra,


non hanno nulla da dire?


 


 


 DI FRANCO CORLEONE


Tobagi poteva essere salvato? Questo è l’interrogativo su cui si sono arrovellati nel corso degli anni politici, giornalisti, amici, e prima ancora il padre Ulderico e i famigliari. Le polemiche sulle responsabilità della sua morte erano esplose immediatamente. Lo scontro aveva al centro le vicende del Corriere della Sera, stretto tra il ruolo della P2 e dell’amministratore Tassan Din da una parte e il sindacato guidato da Raffaele Fiengo dall’altra. I socialisti scesero in campo accusando i giornalisti avversari di Tobagi di essere i mandanti morali dell’omicidio. Anche questa tragedia entrò nel conto del dissidio insanabile tra Craxi e Berlinguer e ancor più della frattura tra il Psi e la magistratura milanese, ben prima di tangentopoli.


Dopo 27 anni questa vicenda non è ancora storia ma rimane cronaca. Il 28 maggio, in occasione dell’anniversario, la morte di Tobagi è stata rievocata in tono rituale, mentre invece attende ancora giustizia. D’altronde, la ferita è aperta da tutti i punti di vista. Infatti, nel silenzio più assoluto, presso il Tribunale di Monza è in corso un nuovo processo. In realtà, il procedimento penale vede come imputato il giornalista Renzo Magosso, autore del volume Le carte di Moro. Perché Tobagi querelato dal generale Ruffino e dalla sorella del generale Bonaventura.


La querela per diffamazione concerne un articolo del settimanale Gente del 17 giugno 2004 in cui il giornalista Renzo Magosso intervistava un sottufficiale dei carabinieri dell’epoca, Dario Covolo, che dichiarava di avere presentato sei mesi prima del delitto una nota informativa sui terroristi che stavano progettando l’azione criminosa e che i suoi superiori la chiusero in un cassetto. Sulla base dell’articolo, in Parlamento alla fine della scorsa legislatura fu discussa una interrogazione a risposta immediata dell’onorevole Marco Boato e successivamente una interpellanza urgente sui misteri del caso a firma sempre dell’onorevole Boato e sottoscritta dai deputati Intini, Biondi, Pisapia e Bielli. In quella occasione il ministro Giovanardi per la prima e unica volta in vita sua difese la magistratura di Milano e si rifece alle affermazioni del dottor Armando Spataro. Vale la pena riportare una frase sconcertante della risposta del governo: «Quindi il governo non ha potuto fare altro che raccogliere nuovamente dalla procura di Milano, dai magistrati, sulla base di dichiarazioni rese in passato e di quelle di oggi, la loro volontà di non (proprio così, ndr) spiegare nuovamente cose già chiarite in tutte le sedi competenti».


L’onorevole Boato in sede di replica definì la risposta di Giovanardi «semplicemente indecente». Da quel momento si sviluppò, proprio in coincidenza con il venticinquesimo anniversario della morte di Tobagi, una ricerca e un approfondimento sui lati oscuri che facevano dire al direttore del tempo del Corriere della sera, Stefano Folli, «di non ritenere ancora chiusa la vicenda». Sono stati pubblicati alcuni volumi: Il caso Tobagi di Ugo Finetti, Le parole di piombo di Paolo Franchi e Ugo Intini, Walter Tobagi di Daniele Biacchessi. Giovanni Minoli ha dedicato all’affaire diverse puntate de La storia siamo noi e Claudio Martelli una trasmissione che gli ha fatto guadagnare una dura contestazione da parte di Tino Oldani, caporedattore di Panorama sul ruolo di Caterina Rosenzsweig, fidanzata dell’omicida Marco Barbone, che per la procura di Milano «poteva non sapere». È sterminato l’elenco dei pezzi giornalistici usciti in quel periodo che hanno riportato i nuovi elementi emersi dall’inchiesta di Magosso. Cito alla rinfusa i nomi degli autori: Antonio Dipollina, Luca Fazzo, Riccardo Chiaberge, Attilio Giordano, Giangiacomo Schiavi, Sebastiano Messina, Giuseppe Caruso, Dario Fertilio, Enrico Bonerandi, Gaspare Barbiellini Amidei, Stefano Salis, Dino Martirano, Piero Degli Antoni, Gian Guido Vecchi, Annachiara Sacchi, Claudia Fusani, Ruggiero Capone. Nessuno è sotto accusa, solo Magosso è sotto processo per una intervista. La cosa ha dell’incredibile, eppure non suscita scandalo. Le udienze finora si sono svolte nel silenzio più assoluto. Mi sono chiesto la ragione della latitanza dell’Ordine dei Giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa. Qui non è in gioco una difesa corporativa ma l’essenza della libertà di stampa e del diritto-dovere dell’informazione. La giurisprudenza della Cassazione è chiara sul punto, ma la solitudine di Magosso pone un problema politico.


In Sicilia situazioni del genere segnano il destino di una persona. Qui la partita è ancora più delicata. Renzo Magosso da imputato si è trasformato in accusatore. Ha rivendicato la sua amicizia con Tobagi e il suo impegno perché l’oblio non nasconda le ragioni occulte che hanno determinato quella tragedia. Magosso, peraltro, ha riferito in aula una circostanza inedita e clamorosa: venti giorni dopo il delitto, nel giugno 1980, il generale Dalla Chiesa incontrò l’allora direttore del Corriere Franco di Bella e gli disse chiaramente che a uccidere Tobagi era stato Marco Barbone, figlio di un alto dirigente dell’Editoriale. Di Bella chiese a Magosso, che lavorava al quotidiano L’Occhio, e che seguiva le indagini sul terrorismo, di accertare quanto ci fosse di vero. Magosso si rivolse all’allora capitano Bonaventura che confermò la circostanza, aggiungendo: «Abbiamo la certezza, la notizia arriva da Varese». Va chiarito che Rocco Ricciardi, l’informatore citato da Dario Covolo, abitava proprio nel varesotto. Ebbene, il 25 settembre, a poche ore dall’arresto di Barbone, Magosso scrisse sull’Occhio, il tabloid della Rizzoli diretto da Maurizio Costanzo, che era stato arrestato il killer di Tobagi e fece esplicito riferimento a Varese. Solo il 10 ottobre, «in maniera inaspettata e clamorosa», come riferiscono gli atti processuali, Barbone confessò di aver ucciso Tobagi. Magosso dunque non si era sognato nulla. E questa sembra proprio la riprova che nella vicenda ci sia ancora moltissimo da chiarire.


Occorrerebbe allora cogliere l’occasione per far fare finalmente chiarezza e giustizia. Ma l’impressione che si ricava dall’andamento del processo di Monza è che non si voglia andare in fondo, così che chi ha dato un contributo alla verità rischia di essere invece punito: serve a molti una condanna per diffamazione e magari una causa civile per danni per mettere una pietra tombale sulla vicenda.


Perché non fu salvato Tobagi? Fu solo sciatteria e insipienza, o ebbe un ruolo la P2? Fu decisivo l’utilizzo dei pentiti e un indecente rapporto di scambio? Dopo l’uccisione di quattro br in via Fracchia a Genova faceva comodo una ripresa del terrorismo in cui la vittima sacrificale poteva ben essere un riformista socialista, magari vicino alla direzione del maggiore quotidiano italiano? Sono domande inquietanti.


Barbone venne prontamente scarcerato, grazie alla collaborazione con i magistrati, che portò all’arresto di decine di suoi ex compagni. La sua ex fidanzata non venne neppure inquisita, nonostante avesse partecipato al progetto di sequestrare lo stesso Tobagi. Ora il processo contro il giornalista Magosso rischia di trasformarsi, al di là della volontà dei giudici, nella identificazione di un capro espiatorio che sia di monito per chi volesse insistere nel non rassegnarsi a una verità di comodo. L’Ordine dei giornalisti e la Federazione della stampa, il ministro della Giustizia, le forze politiche e i tanti sedicenti garantisti, di destra e di sinistra, non hanno nulla da dire?


 


TOBAGI. ESCE LIBRO BIANCO CON RAPPORTO EX CC     


Milano, 18 settembre 2007. Al giornalista Walter Tobagi,


editorialista di punta del Corriere della Sera e presidente


dell'Associazione lombarda dei giornalisti (Alg) che fu ucciso


dai terroristi della 'Brigata 28 marzo' il 28 maggio 1980,


poteva essere evitata una tragica morte? A questa domanda


risponde un libro bianco esplicitamente intitolato 'Tobagi


poteva essere salvato. I segreti, le bugie e le verita'


nascoste".


La pubblicazione è stata presentata oggi in un convegno al


Circolo della Stampa di Milano, una sala del quale è intitolata


proprio a Tobagi, che è stata coordinato dal presidente attuale


dell'Alg, Giovanni Negri, esponente di Stampa Democratica la


corrente della Fnsi fondata dal giornalista vittima della lotta


armata. Nel volume, tra l'altro, si può leggere il rapporto del


brigadiere dei carabinieri, Dario Covolo in cui il 13 dicembre


1979 grazie a una fonte confidenziale rese noto (questa è anche


la tesi del libro) ai suoi superiori il rischio per la vita del


giornalista specificando perfino la zona (l'attentato fu


compiuto in via Solari a due passi dalla casa della vittima).


   Ma al centro dello stesso incontro si è discusso della


querela per diffamazione a Renzo Magosso (l'udienza conclusiva


del processo è prevista giovedì al Tribunale di Monza),


caporedattore del settimanale 'Gente' e amico di Walter Tobagi,


a causa di una intervista proprio a Covolo, soprannominato


Ciondolo. Magosso, ha sintetizzato Negri, "é un cronista di


razza che ha ricostruito con rigore i fatti e ora deve


rispondere penalmente e civilmente per la correttezza del


proprio operato". "Sono in discussione la libertà di stampa e


il rischio è che chi parla di Tobagi venga intimidito", hanno


concordato Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia e


Andrea Parini, della direzione nazionale della Rosa nel Pugno.


   L'ex leader di Prima Linea, Sergio Segio, ha ipotizzato che


"fosse più conveniente lasciare mano libera al terrorismo per


poi poterlo reprimere meglio riportando l'ordine". L'ex


presidente dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia, Franco


Abruzzo, ha ricordato che "nel gennaio del 1979 fu trovata una


valigetta in cui furono indicati 3 giornalisti da uccidere: io,


Tobagi e Valiani oltre a 35 giudici, e tra questi era stato


appena ucciso Alessandrini; fummo invitati a uscire di casa dopo


le 9 del mattino perché di norma gli attentati accadevano verso


le 8,30". (ANSA).      



 














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